Lettere dedicatorie

delle opere di

Honofrio Giliberto da Solofra

a cura di Carlo Coppola

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 Nota del Curatore. Non vengono corretti gli scempiamenti, e neppure i raddoppiamenti consonantici e si mantiene un generale criterio conservativo, come per quanto concerne l’uso dell’h di parole di derivazione latina. Vengono invece sciolte le abbreviature, eliminati gli accenti nelle preposizioni frà, trà, à con significato di moto a luogo, si accentuano congiunzioni quali affinchè, perché originariamente prive di accento sull’ultima sillaba. Si correggono, infine, gli eventuali errori di stampa. Inoltre & > e, anche se non segnalato.

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Lettera dedicatoria di Vita e Morte di san Rocco

 

Al Ill.mo e Ecc.mo Sing.re

IL SIGNOR

D. FABRITIO

DI CAPUA

Signor della Casa di

Capua,

Prencipe della Riccia, e

Gran Conte di

Altavilla.

 

Conoscendo, Eccellentiss. Signor mio, la debolezza del mio ingegno, e insieme il troppo ardire della mia giovanile etade, in persuadermi, fra le occupationi legali, di farmi ingerire nel corteggio di Apollo e delle Muse; e oltracciò a voler anche alla luce del mondo esporre per mezzo delle stampe questa mia drammatica Rappresentatione; il mio avveduto errore di volermi avventurare ad imprendere atto sì irretrattabile, e periglioso, sono stato più volte per distornare il pensato disegno, scorgendola più tosto informe parto, e materia delle censure de’ Critici, che dotto, e ben formato componimento; ma difeso dalla naturale inclinatione, ch’a si fatti studij, con mio sommo diletto mi sprona; e considerando, essere elle, non alla humana vaghezza: ma alla spirituale divotione appartenenti fatiche, mentre che in esse la essemplar vita, i miracolosi fatti, e la gloriosa morte di Santo Rocco vengono rappresentati; mi risolsi, ad ogni modo, alla mia devota volontà, e al desiderio insieme di molti Amici soddisfare: perlocché, divisando di ciò con la Illustriss. Sign. D. Beatrice Orsina, che di sangue a V. E. è congionta, e Vergine sì religiosa e di spettabil vita, che come vero specchio d’honestà vive da tutti ammirata: di quella Beatrice io favello, che abbandonate le pompe, e’ i fasti del mondo in angusta cella racchiuder si volle per goder poscia, con più sicurezza, gli spatiosi campi dell’Empireo, come di lei, all’hora, che nella Religione, con la professione, confirmossi, così appunto io cantai.

 

Fortunata Donzella,

L’estrema tua beltade 

Ci dimostra del Ciel le dritte strade

Ma gloriosa tu, prendi, e felice,

col cor pudico, e con le voglie honeste

Per terreno Amotor sposo celeste.

E di ragion ben era,

Che bellezze cotante

Fossero obietto a soprahumano Amante,

Dagli occhi versa lacrimoso rio

Che vede Dea terrena unirsi a Dio.

O tu felice a pieno,

 che chiusa in sacra cella,

i rendi al tuo Signor diletta ancella,

Cangi, per rozza veste, aurati drappi,

Caduco bene, per diletto Eterno,

E per poggiar il Ciel, lasci l’inferno.

 

 

Hor io dunque rincorato da lei à non lasciare, per vane chimere, questo pio assunto di far tale honore a sì gran Santo, diedi tantosto effetto al proposto disegno: e ecco, à consigli della stessa Illustriss. Signora, à V. E. le dedico, e consagro assicurato da lei, che maggior, e più sodo appoggio trovar non posso, per mia indubitata sicurezza, quanto il darle V.E. per Protettore e Difensore; la onde essaminando ancor io i sacrificij offerti da V.E. all’Immortalità delle sue sinnumerabili Virtù, e ’l famoso grido e la gloriosa fama de’ suoi Antenati, e’ quali sovente, per la fedeltà, ch’à lor Regi portarono, quasi amorose farfalle, à volontària morte si esposero; voluto far uscir fuori questo parto sotto la sua protettione, havendo certa confidenza, che non sarà niuno ardito à lacerarlo, in vedendolo, dalla spada del suo valore, e dallo scudo della sua Virtù difeso; la priego, adunque, a ricever questo mio dono, qualunque egli si fia, che così mi darà animo a passar più oltre nella strada del celebrato Parnasso, e a mostrarmele nell’avvenire affetuoso tributario di maggiori fatiche; e intanto, chiamandomi in infinito obligato alla Illustriss. S. D. Beatrice d’havermi fatto acquistare un così famoso Padrone, bacio a V.E. le mani, con augurarle ogni grado di vera felicità, da Solfora, a di 5. di Marzo 1642.

Di V. E. Divotiss. Servitore Honofrio Giliberto

 

 

Lettera dedicatoria de

Le Stravaganze d’amore e d’amicizia

 

All’Illustriss. e Eccellentiss. Sig.

I L S I G N O R

D. FERDINANDO

O R S I N O

Conte di Muro, Duca di Gravina, e Prencipe di Solofra

 

o voluto pure una volta pubblicare all’universo, ch’io sono di V. E. affettuoso servo; che però vengo con uno stravagante affetto, ad offrirle una amorosa stravaganza; ma non tanto per obligatione, che le devo, sendo essa pur troppo grande, quanto, che son sicuro, che conosciutasi la mia servitù con V. E. l’invidiosa maledicenza non havrà ardire di lacerare questo rozzo parto della gioventù; e accioche conoscano i mordaci Aristarchi (e a lor dispetto imparino a tacere) chi sia, che questa mal composta operetta prottegge, , in brevissimo giro di parole, manifestare al Mondo il meraviglioso tesoro delle virtù e grandezze di V. E. sgombro però d’ogn’aura di adulatione: sappiamo adunque, che in lei risplende la sovra humana nobiltà de’ suoi natali, si scorge la schiettezza nel trattare, s’ammira la bontà de’ costumi, riluce la chiarezza de’ gesti, fiammeggia la purità dell’anima, e in lei lampeggia la corporal bellezza, così frà i mortali luminosa, e vaga, come lucido è il Sole trà le Stelle: ma non passar più oltre, che troppo difficile impresa imprenderei, se presumessi publicare al Mondo l’immense glorie di V. E. de’ quali dal Fato eterno, e dalla natura arricchita, e dotata; e per hora mi basta haver in parte palesato qual’ella si fia alla male dica setta, accioche restino le lor inique bocche otturate: gradisca dunque questo V. E. questo mio piccolo parto, e compiacciasi, non per merto mio , per sua sola benignità, proteggerla; che io, facendo ogni dovuta riverenza, finisco, con pregarle dal Cielo e salute, e esaltatione. di Solofra 30 Agosto 1643.

Di V. E. Humiliss. Servit. Honofrio Giliberto

 

Lettera dedicatoria de

Il Vinto Inferno da Maria

 

A L S I G N O R

F R A N C E S C O

G U A R I N I

da Solofra

Famosissimo Pittore, e mio

Padrone colendissimo

*

Come mal soffre infocato fulmine, racchiuso starsene dentro piovosa nube, mentre è d’huopo, che furibondo la vaporosa materia rompendo, strepitoso fischiando, con horribile bombo balenando, e nell’infima regione dell’aria comparendo a i viventi in accesa, e spaventevole sembianza dimostri; Così mal’ha sofferto il fulmine della sua rara virtù giacer sepolto con dannoso letargo dentro il nubiloso intelletto dell’Universo; ma risonando altiera, e bella, con la gloriosa fama, ha ripiene in un tratto di stupore, e di meraviglia le mente humane; posciache non vi è occhio qua giù, che avido non viva di più tosto ammirare l’opere della sua mano, che di vagheggiarle, già, che il suo pennello fatto emulator di Prometeo, par che voglia con la proportione de’ colori rendere animate le tele, e le mura, come fede ne fanno tanti ingannati nel mirar le sue meravigliose figure, che pomposi i tempij, e superbi i Palaggi, de’ Principi sublimi hanno resi, e com’io stesso posso confessare, che sovente ingannato, mi son ritrovato privo di moto alli imaginati motivi d’immobili figure, come quel saggio Pittore di Zeusi, che dopo haver formata una sconcia vecchia, mirandola proruppe in tanto riso, che rese (morendo) il tributo all’immortalità: La mia rozza penna, credendo prender qualche poco di spirto dal suo pennello, manda, colma di speranza, un suo rozzo parto all’eminenza di sì sublime intelletto, con assicurarsi, che lo splendore di sì famosi colori, renderà lucido, e chiaro quel, che d’impuro, e manchevole (colpa del mio rozzo intelletto) in questa operetta si scorge, e li maledici da sì fatto lume abbagliati, parlar contro d’ella non potranno; gradisca in tanto V. S. questo piccolo dono, e compiacciasi, per gentilezza sua, e non per mio merto, coprirla col manto delle sue virtudi, e se pure la sdegna come cosa mal’atta ad esser difesa, ricevala pure, e la consagri à chi con la prudenza, e col valore puote avvalorarla, ch’io sicuro della sua cortesia fine pregandogli dal Cielo ogni felicità, e li bacio le mani. Solofra 5. di Maggio 1644.

Di V. S. Devotissimo Servidore. Honofrio Giliberto.  

 

All’Illustriss. & Eccellentiss. Signore

I L S I G N O R

DON FERDINANDO

O R S I N O

Conte di Muro Duca di Gravina, e

Prencipe di Solofra.

Credo, che per qualche intrinseco effetto di gentilezza, la famosa penna del Dottor Honofrio Giliberto da Solofra habbia voluto honorare il mio pennello; laonde conoscendomi poco meritevole dell’altezza, in cui egli procura di sollevarmi, anti mal’atto ad esser oggetto di sì purgato inchiostro, in guisa tale, ch’io stretto da qualche mordace lingua non resti offeso, e scorgendo à pieno il suo intento, voluto con questa supplicar V. E. che si degni ricever questo dono à me fatto, degnandosi ancora con la sua prudenza, che accoppiata al valore, dà di sé ragguardevole mostra all’Universo protegger quella, e difender me da’ torti, che alla sua illustre penna, & al mio rozzo pennello alcuno osasse di fare; sono certo, ch’ella lo farà, havendo parti nobilissime, e sovr’humane, à cui così bene campeggia (parola incerta) la generosità dell’animo, hoggi quasi dal Mondo sbandita, e finisco col farli humilissima riverenza, e con pregarle quell’essaltatione, di cui altezza del suo sangue con la Virtude unita è meritevole. Solofra lì 5. Maggio 1644.

Di V. E. Humilissimo servidore Francesco Guarini.

 

Questa lettera di Francesco Guarini è l’attestazione più precisa

della vera grafia del cognome.

 

Vedi

Francesco Guarini: il problema della grafia del cognome

I documenti della famiglia di Francesco Guarini

 

 

 

Lettera dedicatoria de

Le Ruote dell’Universo"

 

All’Illustrissimo ed eccellentissimo Signore

e Padron mio Osservandiss.

 

Il SIGNOR DON

FERDINANDO

ORSINO

Conte di Muro, Principe di Solofra,

Ottavo Duca di Gravina

 

Può il Savio calpestar la Signoria delle Stelle: Può il Grande, carattere dell’Onnipotenza raccolta la turba  degli affetti conservar il Stato con una imperturbabile tranquillità: Indarno s’arma la Fortuna contro il  Prudente: Indarno vomita la Sorte velen mortiferi contro l’Animo ben composto, Ch’egli schernendo la sua tirannica potenza, assicura se stesso dentro se stesso con l’appoggio solo della Virtù: scorgendo io dunque, che ne oppressione di tempo persecutione di Fortuna sono state valevoli à sconvolgere gli eccessi della sua nobiltà, originata pur troppo dagli Abissi, d’un’antichissima e non oscura Virtù, perciò ricorro alla sua protettione: Il cielo, se ben si scopre mentitore nell’opre di Natura, e co’ suoi lucidi occhi, dimostra, che della sonnacchiosa mortalità è custode; con tutto ciò non ha il virtuoso la necessità della sua influenza ad un personaggio come tale, è ben, ch’io ricorra; e è ben di dovere che l’Autore delle Ruote dell’Universo s’appoggi ad un de’ primi Principi del Mondo, accioché adagiato sotto le sue gloriose falde, e fattosi un fortissimo antemurale della sua immortalità, guardando i Lampi della avversità non tema i fulmini della maldicenza; Sono io dunque sicuro, che mi verrà concesso di schernire l’onte della Fortuna, se verrò protetto da un’Heroe così grande: Supplico intanto V. E. che si degni di gradire il mio affetto, e favorire il mio disegno, acciocché, con maggior veemenza, per l’avvenire possa servendola procacciarmi glorie maggiori, e in tanto, come leale e divoto servitore a V. E. profondissima riverenza pregandole dal Cielo ogni prosperità di felici avvenimenti di Solofra lì 5 Marzo 1646

Di V. E.  Divotissimo servidore Onofrio Giliberto.

 

 

 

Lettera dedicatoria de

Il Cavalier de la Rosa

Ed. Turrini, 1663

 

ALL’ILLUSTR. ET ECCELL. SIG.

e Patrone Colendissimo

IL SIGNOR

DON PIETRO FRANCESCO

O R S I N I

Duca di Gravina, Prencipe di Solofra,

e Galluccio, e conte Di Muro

 

In Cavaliero, trasportato dalla volenza delle onde marine frà straniere nationi, viene ad appoggiarsi alla protettione di V. E. mentre già è noto, ch’è che è attributo inseparabile delli Prencipi suoi pari il commiserare le sciagure di chi geme depresso sotto ruota di tempestosa Fortuna: Degnisi dunque V. E. accoglierlo e compatirlo se compare nudo di freggi, perche si trova lungi dalle natie contrade. Io gli invio, e sia per picciola arra del riverente affetto, e della devota servitù, con possesso, e sicurezza, che vantando solo eccessi di nobiltà, del grande animo del donatore, non della picciolezza del dono resterà appagata, e per fine humilissimamente, la riverisco. Solofra 15 Novembre 1660.

DI V. E. Humiliss. Servitore. Onofrio Giliberto.

 

 

 

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