Società solofrana nel XVII secolo

 

Nel 1648 Solofra aveva 890 fuochi nel 1658 il catasto ne registra 516 fuochi con molti "fuochi assenti". Il forte calo fu causato dalla peste che nel 1656 decimò la popolazione facendo scomparire diverse famiglie.

 

La popolazione nel catasto è distribuita in 16 casali: Fontane sottane, un casale già esistente nel XVI secolo e che sarà chiamato Santa Lucia dalla chiesa ivi esistente. Caposolofra, un casale già esistente nel XVI secolo e che aveva assorbito quello di Fontane soprane. Vicinanzo, ancora esiste come casale autonomo. Sorbo, non si divide più in soprano e sottano. Balsami, ha conservato la nominazione precedente. Forna è rimasto con lo stesso nome. Capopiazza, casale che ha inglobato l'antica platea e il Sortito. Cupa, casale che comprende l'abitato intorno alla via che dal Toppolo raggiunge la piazza di S. Agostino. Toppolo, nominazione che nel XVI secolo si riferiva solo ad una località del casale Fiume di cui ha preso il nome. Strada vecchia, casale che comprende le abitazioni intorno alla via che dalla piazza dinanzi a Santo Agostino giunge in piazza San Rocco e che occupano anche tutta la sponde destra del fiume. Piedi S. Angelo, casale che comprende le abitazioni intorno alla via così chiamata perché scende da S. Angelo verso i Volpi e che nel XVI secolo era denominato Burrelli. Volpi, nominazione che nel secolo precedente si riferiva solamente ad una località e che ora ha sostituito il casale delle Casate. Fratta, il casale conserva lo stesso nome del secolo precedente. Toro soprano e Toro sottano, i due casali conservano la nominazione del secolo precedente. Sant'Agata, questo casale ha la precisazione "di Solofra" per distinguerlo da S. Agata di Serino che è la parte bassa dell'abitato intorno al Pergola San Marco e che non appartiene a Solofra.

Carlo de Federico è erario della sig.ra Dorotea Orsini, duchessa di Gravina e principessa di Solofra.

 

PROFESSIONI SECONDO LA NUMERAZIONE DEI FUOCHI DEL 1658

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Conciatori

Coloro che "vivono di fatiche"

Calzolai

Domestici

Commercianti

Mulattieri

Coloro che "vivono di rendita"

Sarti

Braccianti

Battitori di oro e argento

Militari

Tintori di cappelli.

Lavorantì di olio e formaggio

Dottori

Notai

Speziali

Pastai

Barbieri

Caprai

Giudici

Lavoranti di colletti

Macellai

Pittori

Avvocati

Lavoranti di cartapecora

Fruttivendoli

Fabbri

Totale

101

74

58

52

45

25

25

23

22

19

15

5

5

4

4

4

3

2

2

2

2

2

2

1

1

1

1

500

20,2

14,8

11,6

10,4

9,0

5,0

5,0

4,6

4,4

3,8

3,0

1,0

1,0

0,8

0,8

0,8

0,6

0,4

0,4

0,4

0,4

0,4

0,4

0,2

0,2

0,2

0,2

100

  

 

COMPOSIZIONE DEI NUCLEI FAMILIARI

.

STRUTTURA

N. casi

%

Ménages semplici

191

37,0

Ménages estesi

135

26,1

Ménages senza struttura familiare

77

15,0

Solitari

74

14,3

Ménages multipli

35

6,8

Ménages a struttura indeterminata con legami di parentela

4

0,8

 

516

100,0

 

La dimensione della famiglia è determinata anche dall'attività economica.

I viaticali, i commercianti e i negozianti hanno famiglie multiple per le necessità della mercatura che porta alcuni delle famiglie a uscire dal paese e raggiungere fiere e mercati.

I piccoli e medi imprenditori di estrazione artigianale invece danno vita a strutture familiari "estese", dove ascendenti e discendenti del capofamiglia convivono sotto lo stesso tetto.

 

La logica della difesa del patrimonio:

La necessità di difendere l'attività dalle secche della economia vicereale di sostenerla con investimenti, di conservare l'integrità del patrimonio per sostenere il credito spinge a escludere dalla proprietà e dalla rendita quelli che si allontanano dal paese.

La protezione del patrimonio è fatta attraverso la pratica dell'emancipazione che già avveniva nel secolo XVI con la quale il giovane che si allontanava dalla famiglia riceveva un minimo ma non aveva diritto al patrimonio familiare che non poteva essere intaccato.

Nei testamenti di questo periodo il testatore concede i suoi beni solo se gli eredi ritornano a Solofra sempre per far si che il bene sia a disposizione nel sostegno dell'attività locale, sempre più spesso impegna gli eredi a conservare per decenni i sodalizi familiari, anche su basi economiche, con l'obbligo di abitare sotto il medesimo tetto, col divieto tassativo di svolgere autonome attività nella vita pubblica

Anche la donna partecipa a questa difesa della economia della famiglia. Si preferisce assorbire nell'interno della famiglia il forestiero anziché far accasare la donna fuori infatti nei contratti di matrimonio la dote viene dimezzata se la donna si sposa fuori paese. Il matrimonio è strettamente legato al patrimonio e spesso si restringe alla semplice area della parentela. L'amore non è il requisito delle nozze; la scelta dei mariti non è dettata dagli affetti, dai sentimenti, ma ancora una volta è scelta degli "interessi ". La donna ha una grande funzione nella difesa del patrimonio e dell'attività economica, la famiglia no potrebbe sopportare il peso economico della dote. Siamo in una società che si chiude a riccio si difende tende a divenire statica che chiede di sposarsi nel luogo natio e con persone della comunità di appartenenza e mette in atto un processo di endogamia. Troppo deboli economicamente non possono andare oltre il proprio ambiente, sia a livello di borghesi come a quello dei ceti umili. Le alleanze matrimoniali come hanno sostenuto l'economia nel secolo precedente anche in questo secolo continuano a difendere l'economia locale. I matrimoni sono necessari se ci sono decessi perché la donna nell'ancien regime non ha la autonomia necessaria.

In questa economia entrano anche le Chiese e le Cappelle di jus patronale o che accolgono altari di jus patronale e che sono anch'esse elette a difesa del patrimonio in quanto proteggono i beni ad essi donati e sostengono il credito. Esse sorgono nei casali di appartenenza, spesso nei pressi dell'abitazione focale sono gestite dai sacerdoti della famiglia ed accolgono le spoglie mortali del defunto, diventano perciò una specie di simbolo della famiglia o del gruppo parentale

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La difesa della economia locale, resa più debole dopo Masaniello e con la peste, determina l'endogamia geografica dei casali si contraggono matrimoni tra cugini di secondo, terzo e quarto grado proprio per non disperdere il patrimonio e salvaguardarlo.

 

Esempi:

Giulio Ronca del Sorbo prende in moglie Santa Caropreso del vicino casale della Forna, cugina di secondo grado poiché "la sua terra per l'angustia del luogo fa poche famiglie", e "quantunque Santa non abbia dote sufficiente e competente". Ciò è un modo di difesa della economia della famiglia.

Flavio Maffei del Toro, sposa una cugina di terzo grado, Beatrice Ronca del Sorbo, perché, si dice nel documento, Beatrice "per essere poche famiglie non liave potuto né può adesso rìtrovare homo suo pari non consanguineo o affine, col quale s'havesse potuto maritare" anche qui.

Infine Liberato, nativo del Casale di Sorbo, sceglie come sua compagna la cugina di quarto grado Proventia Guarino e chiede la dispensa apostolica "perché in detto casale vi sono pochi fuochi; e... la dote di Proventia è troppo poca per sopportare il peso del matrimonio", (in A.D.S., Processetti matrimoniali, Solofra, 1600-1683).

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Questo fatto, che pure nel XVI secolo avveniva, ma che non è rilevabile, poiché in regime pretridentino, determina ora dei problemi legati alle norme della chiesa post-tridentina, che prevede la denunzia durante il tempo delle pubblicazioni. I contraenti devono ricorrere a varie motivazioni per ottenere il permesso al matrimonio parentale. Ecco allora richiamate le misere condizioni economiche, l'ignoranza del vincolo di parentela, ma anche il pericolo di provocare scandali, la necessità di evitare contrasti familiari e sociali motivazioni che permettono la consacrazione del legame da parte delle autorità ecclesiastiche.

Diventano interessanti quindi i processetti matrimoniali che trasmettono questa situazione, che va al di là delle piccole beghe familiari o di un ambiente gretto. Come diventano interessanti anche le penitenze che la Chiesa impone.

Alcuni esempi di motivazioni addotte per matrimoni endogamici:

Per far chiedere la dispensa matrimoniale: sospetto di una simpatia o di una "pratica" del giovane presso la famiglia con una frequenza superiore al consueto, le chiacchiere del vicinato, rapporti consumati prima delle nozze: dichiarano di aver anticipato gli obblighi coniugali non "per malizia", al fine cioè di ottenere la dispensa apostolica, ma "per fragilità della carne". Le donne aggiungono che non era loro " intenzione ", ma per dire il vero "si ritrovano in questo" e non sanno come. Pertanto le giovani coppie non risultano vincolate all'obbligo matrimoniale "per ratti o per inganni", ma, come è generalmente riconosciuto, per rispettare la volontà delle famiglie e rinsaldare l'unione.

In tal senso il matrimonio diventa lo strumento più idoneo per superare inimicizie e sordi rancori, per riportare la pace tra gruppi familiari in discordia.

La Curia rilascia la dispensa per "scongiurare la diffamazione della giovinetta e salvarne l'onore", ma anche il pericolo di innescare vere e proprie faide familiari, di generare "rumore in paese "e provocare "morti nelle stirpi".

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Esempio: Isabella Ronca sposa nel 1654 Giovanni Ronca, cugino di terzo grado, "a causa di alcune dicerie". Infatti, "vi era insorta fama publica in terra di Solofra che per la pratica spesso fatta in casa di Isabella, da tale pratica fosse potuto soccedere qualche atto carnale tra loro. Questo non vi era stato a causa del parentado, per l'effetto che s'havaria potuto a ritrovare a non maritare detta Isabella".

Il matrimonio di Giovanna Guarino e Tomaso Landolfo "si determina nel 1662, a causa della fama di copula carnale che molti dei vicini commentano e sospettano". A nulla servono i dinieghi di Tomaso: "dico la verità in conformità del giuramento e per non offendere Dio e la mia anima come fra questo tempo che ho praticato la casa di detta Giovanna Guarino non ho toccato carnalmente le detta Giovanna, anzi sempre l'ho riguardata onestamente e con ogni rispetto ed onore, e se pure ho praticato con essa e i suoi parenti non è stata ad altro fine la mia pratica e conservazione, se non per amore e per affetto"; e le dichiarazioni di Giovanna: "mai sono stata toccata carnalmente, né meno contatto lascivo per detto Tomaso, per non offendere Dio e l'anima mia, che più presto mi haverebbe fatta uccidere che peccare".

Ursino Alfano, e Isabella Solimene, cugini di quarto grado (1610); Donato Antonio Ronca e Lucrezia Maffei, anch'essi cugini di quarto grado (1647); Antonello Pandolfello e Giovanna Rutilo, cugini di terzo e quarto grado; Cesare Giannattasio ed Adelia Garzillo, cugini di terzo grado; Francesco Grosolino e Giovanna Glido, cugini di quarto grado; Gio. Battista Giaquinto e Aurelia Giannattasio, cugini di quarto grado; Luca De Tura e Caterina Troisio, cugini di quarto grado; Giovanni De Maio e Innocentia De Maio, cugini di quarto grado; Antonio Ronca e Vittoria Petrone, cugini di terzo e quarto grado: Agostino Urso e Lucrezia de Maio, cugini di quarto grado.

Geronima Guarino e Lella Giannattasio sposano nel 1648 Troisio Troisi e Andrea Giannattasio, assassini dei rispettivi padri. Le nozze sono celebrate "volontariamente, per componere pace... in quanto per l'avvenire stanno quieti tra parenti e non vi saranno inimicizie tra loro".

 

Gli obblighi e le penitenze della Chiesa dalla dispense apostoliche:

Obbligo per gli sposi a non convivere sotto lo stesso tetto per un periodo dì quattro mesi consecutivi; di svolgere separatamente servizi settimanali di assistenza e di pulizia nelle Chiese, come accendere ceri, suonare la campane, ed altre incombenze; di presenziare insieme alla celebrazione della messa domenicale, genuflessi davanti all'altare, reggendo candele accese per tutta la durata delle funzioni religiose.

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Caratteristiche delle immigrazioni

Era stato sempre sentito importante difendere l'equilibrio socio-economico del paese nel quale viene assorbita ogni forma di immigrazione i forestieri, sia uomini che donne, che contraggono matrimonio con residenti vengono assorbiti nella politica tradizionale delle alleanze matrimoniali. Sono persone provenienti da altri centri del Regno e appartenenti allo stesso ambiente sociale non escono dai confini del loro status secondo le regole dell'ancien regime. Questi nuovi elementi non incidono sulla struttura della comunità solofrana del Seicento che difende il suo ambiente familiare e sociale. Gli innesti non si qualificano come un movimento immigratorio vero e proprio, non ledono i nuclei familiari sono un fenomeno individuale e limitato che la società locale accetta e controlla per difendere il proprio habitat. Nella difficile realtà del secolo la cultura, i costumi, le convenzioni hanno una parte importante nel controllo della immigrazione che comunque è ostacolata dal fatto che gli individui sono restii ad affrontare l'incognita di nuove esperienze di lavoro, a prendere l'iniziativa di trasferirsi in una terra diversa da quella natia, pungolati dall'incerto avvenire (gli immigrati a Solofra sono appena 42). L'emigrazione maschile interessa l'ambito provinciale dai comuni limitrofi: Montoro, Giffoni, Sanseverino, Castelfranco, Montella, Montemarano. Sono gli stessi paesi da cui è provenuta l'emigrazione nel XVI secolo. Ma anche le altre province del Sud - Puglia e Basilicata - danno il loro apporto e questo sempre per i contatti che i mercanti solofrani hanno con queste terre e per il conseguente trasferimento di individui solofrani in quelle terre.

Il processo di integrazione è favorito dalla famiglia locale, dal rispetto delle consuetudini, e soprattutto attraverso le alleanze matrimoniali. Con le nozze, col vincolo di sottostare a determinate disposizioni, il rapporto di fusione si completa fino a rappresentare un legame di affiliazione non nel significato giuridico del termine, ma in quello più ampio di inserimento nel gruppo sociale, accettandone i valori, le norme, le regole come basi reali. Quasi una scelta obbligata, dunque, che si risolve nel troncare qualsiasi filo di unione col paese di origine. Invero, per ancorare ancor più l'immigrato a Solofra interviene, sotto la minaccia di perdere i beni dotali della futura moglie, l'obbligo della residenza, e talvolta anche della coabitazione con i parenti di recente acquisizione. E tale manifestazione di volontà si rivela uno strumento di cautela e di garanzia nella conservazione e nel consolidamento del patrimonio per tutti i membri della famiglia.

Le province di provenienza degli immigrati sono le seguenti: Principato Citra con il 30,3%; Principato Ulteriore con il 24,2%; Basilicata con il 21,2%; Terra di Bari con il 15,3%; Calabria Ulteriore, Terra di Lavoro e Terra di Otranto con il 3% ciascuna, su 42 stranieri.

Ancora minore è il fenomeno per le donne (appena 13). Le aree di provenienza sono Bitonto, Potenza, Muro, i centri della fascia costiera dell'Adriatico, Monopoli e Bisceglie (Terra di Bari con il 41,6%; Basilicata con il 33,3%; Principato Ulteriore con il 16,6%; Principato Citra con 1'8,59%, su 13 straniere) per i contatti anche residenziali che i solofrani hanno proprio con queste terre ma anche per prestare servizio presso le famiglie benestanti dei mercanti con cui i genitori hanno rapporti. Il processo di assimilazione per la donna risulta non facile; non passa attraverso il matrimonio. La nuova comunità non si presenta, sotto il profilo dell'occasione nuziale, particolarmente disponibile. Ostacolata dalle modestissime condizioni economiche e da una dote poco consistente per la natura dei lavoro svolto, la donna di rado concretizza, questa aspirazione naturale. Le immigrate rimangono tutta la vita presso la stessa famiglia e finiscono per servire più di una generazione dello stesso nucleo familiare. Qualora una dote più cospicua consente loro di prendere marito, la scelta cade su un giovane, anche lui forestiero, proveniente dal loro paese d'origine o da altri centri, testimoniando così una tendenza ad uno stato di emarginazione difficile da superare.

 

Le province di provenienza delle immigrate sono le seguenti: Terra di Bari con il 41,6%; Basilicata con il 33,3%; Principato Ulteriore con il 16,6%; Principato Citra con 1'8,59%, su 13 straniere. 

 

 

 

IL MATRIMONIO E LA DOTE

(1640-1676)

Dai Capitoli matrimoniali e dai Testamenti

 

Il matrimonio è un contratto regolato sulla base di reciproche promesse, accettate e sottoscritte in presenza di un notaio, precedentemente al rito religioso.

Nei Capitoli matrimoniali si individuano solo alcuni elementi delle modalità che precedevano il matrimonio sicuramente c'era un colloquio, che si configura come un accordo orale tra le parti, per stabilire tutto quello che può riguardare il "felice matrimonio" della futura coppia, lo scambio delle promesse che riguardano la dote, sono stabiliti precisi impegni sulle spese delle nozze, la celebrazione della funzione religiosa. Gli oneri del matrimonio gravano sulla famiglia della sposa, dal pagamento degli atti notarili - compresi i capitoli matrimoniali e gli strumenti dotali - a tutte le spese sostenute per gli altri certificati richiesti. La celebrazione del rito religioso è concordata, invece, tra i coniugi, che - rispettosi delle norme tridentine, cioè del tempo feriale imposto dal Concilio e dalle dispense pontificie richieste in casi eccezionali - stabiliscono di comune accordo, in maniera approssimativa, la data del matrimonio. Comunque, la scelta cade particolarmente sui mesi di settembre, aprile, maggio e dicembre. Solo una piccola aliquota di coppie decide di unirsi in matrimonio nei giorni immediatamente antecedenti o posteriori alle tre fondamentali festività della Cristianità: il Natale, la Pasqua e la Pentecoste. Il periodo intercorrente tra la stipulazione dell'atto notarile e la celebrazione in chiesa del sacramento non è eccessivamente lungo. Varia da un minimo di quindici giorni ad un massimo di sei mesi, non mancano matrimoni concordati e differiti nel tempo dai tre ai sette anni.

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Atti matrimoniali di Carabella Garzillo, di Giovanna Graziano e di Genua De Benedettì, in A.S.A., Archivio Notarile, L. Grimaldi rispettivamente ff. 30-33v. (1647), ff. 35-38 (1654); ff. 26v. - 27 (1657). I gruppi familiari che intervengono dinanzi al notaio dichiarano "habuisse colloquium et tractato de felice matrimonio in vulgari sermone". Lella Morena, Angela Mendella, Caterina Giliberto, Giulia Maffei e le loro famiglie si assumono l'obbligo delle spese per il pagamento e la registrazione degli atti notarili, ossia i capitoli matrimoniali e gli strumenti dotali. Soltanto Tomaso de Tura e Caterina Anceli dividono a metà la Somma versata per ottenere la dispensa arcivescovile, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente C. Pandolfello, ff. 11-12 (1656); A. Crescillo, ff. 18-20 (1667); F. A. Petrone, ff. 54-55 (1655), M. A. Giliberto, ff. 2 59-260 (1673); L. Grimaldi, ff. 44-45 (1658).

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Nei capitoli matrimoniali una percentuale modesta di sposi concorda, senza l'intervento di familiari e di intermediari, la costituzione o assegnazione del nuovo patrimonio sia la sua trasmissione in caso di morte di uno dei coniugi, nonché le modalità e la celebrazione del rito religioso. Nella maggioranza dei casi, invece, il ménage della futura coppia risulta determinato dallo sposo, dalla famiglia della promessa, da tutti gli interessati alle nozze tranne che dalla sposa. Essi agiscono in nome della giovane e sulla base di una tradizionale strategia matrimoniale assegnano al nuovo nucleo familiare la quota legittima delle sue fortune e al momento del capitolo matrimoniale assolvono all'obbligo della divisione dei beni patrimoniali. Agli sposi, che molto di rado intervengono da soli, si affiancano i genitori, i parenti, i tutori, gli amministratori, gli amici nelle vesti di testimoni. Il numero di questi ultimi non è stabilito e può variare. In prevalenza sono religiosi, la cui presenza costante dà adito a molte ipotesi: potrebbero essere membri della famiglia, influenti per l'abito talare che indossano e ritenuti più idonei per assicurare il rispetto e l'osservanza degli accordi nuziali; oppure padri spirituali degli sposi, sacerdoti della parrocchia a cui la coppia si affida per la celebrazione delle nozze. La sposa non figura negli atti notarili, sostituita in tutte le principali funzioni da coloro che la rappresentano. invece lo sposo, probabilmente già emancipato, raramente è accompagnato da un membro della famiglia. Come spiegare la diversa partecipazione dei due gruppi familiari? Le fonti sono avare di notizie. La circostanza potrebbe essere interpretata con motivazioni economiche. La sposa apporta una consistente massa di beni; ed è ovvio che la sua famiglia intervenga per tutelare il proprio patrimonio. Viceversa i donativi propter nuptias dell'uomo, semplici integrazioni alla dote, sono di minor valore, tali da non richiedere il ricorso a particolari garanzie. Occorre precisare che la dote è l'impegno più autentico del futuro vincolo. Viene consegnata alle donne al momento delle nozze ed assume le caratteristiche e l'aspetto di un obbligo civile, di un dovere non legato alla sfera dei sentimenti e degli affetti. A secondo della consistenza economica, attesta, inoltre, la rispettabilità della famiglia. Viene ritenuto disonorevole maritare una figlia senza dote, ed acquista merito chi lascia nei propri testamenti anche piccole somme di danaro a fanciulle povere, affinché possano costituirsi un modesto reddito dotale. Nata in forza della tradizione e al fine di provvedere agli oneri del matrimonio, la dote è, al tempo stesso, strumento di difesa e di perpetuazione del patrimonio. Invero, la famiglia, nell'assegnare alle femmine la quota legittima sui beni della casa, a condizione di rinunciare a qualsiasi eredità futura, sia da parte di madre che di padre, non legalizza soltanto la trasmissione dei beni, ma esclude la donna dalle successive suddivisioni del patrimonio; favorisce la discendenza mascolina; evita ulteriori dispersioni del capitale immobiliare. L'obbligo di costituire la dote ricade sui consanguinei, dal momento che la donna prima del matrimonio non possiede alcun bene personale e solo in caso dì morte dei genitori o dì vedovanza le sono trasmessi in anticipo i beni spettanti, sul patrimonio familiare e, posteriormente, quelli promessi dal defunto marito. Talvolta, molto raramente, la dote non proviene dalla famiglia della sposa, bensì da quella dello sposo, che per affetto e per necessità provvede a costituirla. Nel XVII secolo è raro trovar donne che lavorano e che possono provvedere a formarsi da sole il patrimonio dotale. L'accumulo del salario spesso non è sufficiente e si ritrovano testimonianze di affettuose simpatie da parte dei datori di lavoro, che premiano le loro domestiche con un compenso superiore a quello pattuito, aiutandole a costituirsi una modesta dote. Si registrano casi in cui l'apporto al patrimonio della coppia non proviene soltanto dai parenti, ma anche da persone estranee al nucleo familiare. Esse sono presenti alla stipula del contratto di matrimonio e di loro si trova traccia negli atti notarili. Manifestano l'approvazione alle nozze in quanto, indirettamente legate al reddito dotale. Incontriamo così il mundio, in qualità di tutore della sposa; i donatori di piccole somme di danaro, incluse nei beni patrimoniali; tutta una schiera di coeredi, insieme alla sposa, del patrimonio paterno o materno, che riconoscono legalmente alla giovane promessa l'autorità di disporre compiutamente della dote. A costoro si affiancano, inoltre, gli amministratori e i curatori dei Monti dei Maritaggi, che contribuiscono ad accrescere la massa dotale con somme di danaro talvolta rilevanti. A Solofra la tradizione e le norme giuridiche assegnano al padre, cioè al detentore delle fortune familiari, il compito di dotare le figlie. In caso di sua assenza o di morte, gli succedono in qualità di credi i fratelli oppure la moglie nominata, spesso tutrice dei figli. Rare volte entrambi i genitori associano le proprie fortune per realizzare una dote alle figlie. Le fanciulle rimaste orfane, le vedove, il cui numero risulta notevolmente accresciuto dopo la peste del 1656 e le domestiche, "personalmente e con affetto" consegnano la dote al futuro marito. Le prime, rese indipendenti dai lasciti dei genitori, decidono in piena libertà - almeno in apparenza - con chi contrarre il matrimonio: scelta che spesso compiono ancora giovanissime. Per le vedove, invece, il secondo matrimonio è motivato da esigenze economiche e sociali. Nella maggioranza dei casi le nuove nozze rappresentano l'unica soluzione possibile per risolvere situazioni difficili. La donna, rimasta sola, priva dì sostegno e di protezione maschili, è costretta a ricorrere all'appoggio di un nuovo marito allo scopo di tutelare i propri interessi, di difendersi dalle mire dei parenti. In molti contratti troviamo espresse le rinunce della sposa sui beni che deve conseguire a favore del marito, il cui dovere prioritario è quello di rivendicare ed esigere le somme di denaro o i beni lasciati dal defunto presso i suoi parenti o presso la stessa famiglia della sposa, che non ha ancora provveduto a completare la dote. Infine, in numero molto limitato, per le domestiche, che sono accompagnate spesso dai loro padroni, nominati talvolta amministratori dei loro salari fino alle nozze, a cui assistono in qualità di testimoni, la dote risulta modesta, frutto di sacrifici, rinunce e fatiche, e a mala pena permette loro di accasarsi. La dote è anche il contributo reale a fini più pratici: infatti, di volta in volta, la sua costituzione è dettata dalla necessità di saldare vecchi debiti di natura morale, dall'obbligatoria garanzia di una società che sta per costituirsi; dalla esigenza di tramandare a persone fidate l'attività della propria bottega; dalla certezza di ricevere cure ed assistenza nella vecchiaia. Inoltre la dote - in non pochi casi - attesta lo stato di indigenza e di ristrettezza in cui versano gli strati più umili della popolazione. Nella loro dignitosa miseria anche i più disagiati rispettano l'obbligo matrimoniale e costituiscono alle figlie le doti - cosiddette doti simbolo - di valore estremamente modesto e che il nucleo familiare, per saldare definitivamente il debito, si impegna a pagare anche a rate per lunghi anni.

Chi sono questi poveri? Sono i contadini, i servi. i giornalieri che sperano di fronteggiare e superare le proprie precarie condizioni economiche, unendo i propri sacrifici e fatiche a quelli della loro compagna. Temono di "morir di fame", se privati di questo sodalizio.

La dote frazionata è quella che prevale su tutte le altre. La sua natura è mista: da una parte, il corredo, l'oro, i gioielli che rappresentano la quota fissa e immutabile; dall'altra l'alternarsi di beni immobiliari e mobiliari. Di tutti i beni dotali l'apporto più immediato, il contributo economico più sicuro è il corredo, che la giovane coppia riceve al momento delle nozze. La consegna della biancheria, assai più spesso degli oggetti di casa e degli attrezzi domestici, ripetutamente indicati negli atti notarili e tutelati con precise clausole e costanti richiami alla tradizione, avviene direttamente o indirettamente, ma mai dopo il matrimonio. Per consuetudine tutto il corredo viene stimato da comuni amici e consegnato di persona alla sposa dai consanguinei oppure tramite il notaio. Nei corredi delle donne solofrane non prevalgono abiti lussuosi, ori, gioielli, ma capi disparati di biancheria e di abbigliamento necessari alla vita quotidiana. Il rimanente della dote, più della metà, è costituito da elargizioni di somme di denaro che, a causa del dilazionarsi delle rate dì pagamento, si trasformano in una vera e propria rendita a vita. Molto contenuta, invece, risulta la quota formata da beni immobiliari e fondiari, che sono molto meno della metà della dote.

Le modalità di versamento variano secondo la natura della dote. Per quella in contanti il futuro sposo riceve, oltre al corredo al momento della celebrazione delle nozze, anche una parte del liquido. La quota restante gli viene pagata a rate, senza interessi, con scadenze che possono protrarsi fino ad un massimo di dieci anni. Se il periodo prestabilito non viene rispettato, si versano gli interessi del 7%. Non mancano casi in cui al momento del matrimonio lo sposo riceve in anticipo l'intera somma. Più dettagliata e specifica è la procedura di assegnazione dei beni, qualora la dote è composta da valori stabili (fondiari e immobiliari). La parte in denaro può essere suddivisa: un anticipo alla celebrazione del matrimonio e la differenza non oltre i tre anni. Nessuna proroga per il patrimonio fondiario e immobiliare, che viene consegnato allo sposo, come risulta dagli atti notarili, immediatamente prima o dopo il rito religioso.

Gli immobili, oggetto della dote, sono in prevalenza case a non più di un piano - uno inferiore terraneo ed uno di sopraelevazione - con il cortile ed il pozzo, difesi da cancelli e grate. Quasi sempre dispongono sul retro dell'abitazione di un piccolo podere coltivato ad orto. Spesso, per offrire ospitalità alle nuove coppie, che generalmente non si allontanano dal nucleo familiare, gli edifici sono ampliati di un'altra stanza ricavata e costruita ex novo sul lastrico. I beni fondiari, in percentuale più modesta, sono terreni a vigneto e frutteto. Tuttavia, il tipo di coltivazione riscontrato non è indicativo per confermare il carattere di coltura a seminatorio arbustato, prevalente nella zona e sviluppatasi nella regione ancora boschiva e collinare, dove ai castagneti ed uliveti si aggiungono l'esteso sottobosco e la produzione del gelso.

La preponderanza, nella costituzione della dote, delle quote in denaro, vincolate a determinati investimenti, trova giustificazione nella volontà delle famiglie di non disperdere i capitali liquidi, ma di contribuire al loro accrescimento. Spesso, per supplire ad una deficienza economica di contanti, si preferisce realizzare vincoli di società tra i parenti degli sposi; trasmettere quote di attività artigianali (concerie); ricorrere all'espediente dei matrimoni doppi e tripli, pur di evitare di mettere fuori denaro. Nei casi di celebrazioni plurime si rileva una singolare coincidenza. Nello stesso giorno, presso lo stesso notaio, vengono stipulati gli accordi matrimoniali e le somme promesse dalle famiglie ai rispettivi figli si equivalgono. Le fonti non chiariscono il perché del simultaneo avvenimento, ma non è azzardato supporre che la parità raggiunta tra il dare e l'avere porti alla reciproca estinzione dei debito.

Comunque, l'assegnazione di qualsiasi patrimonio - sia esso modesto o cospicuo - è assicurata da una lunga serie di garanzie imposte allo sposo ed alla sua famiglia. Il primo atto di tutela è l'affermazione dei diritti giuridici che permettono, in ogni circostanza, di ricorrere alla corte della Vicaria o ad un altro tribunale sia civile che ecclesiastico. Seguono, poi, le generiche promesse di difesa del patrimonio in merito a quello che potrà derivare in futuro da lasciti o donazioni; e l'impegno di investire il capitale in diverse forme di beni e di restituirlo in parte o integralmente nell'eventualità dello scioglimento del vincolo nuziale.

A Solofra la grande peste del 1656, con la lunga catena di morti che lascia dietro di sé, incide indirettamente sugli scambi matrimoniali, sulla costituzione della dote, sulla disgregazione dei grandi patrimoni. La luttuosa epidemia sconvolge la composizione numerica delle famiglie, provoca una catastrofica decimazione nella popolazione, colpisce soprattutto donne e bambini. Si estinguono intere discendenze, scompaiono casati. Ma le conseguenze del fenomeno epidemico non si avvertono immediatamente. Nel primo decennio successivo al terribile morbo il ritmo dei matrimoni si mantiene su un livello numerico costante, piuttosto contenuto. In seguito si registra una depressione della nuzialità, un aumento del celibato maschile, a causa dello squilibrio determinatosi nei rapporti tra i due sessi nelle fasce intermedie di età.

I riflessi della peste sulla costituzione della dote non sono trascurabili. L'accesso all'eredità da parte della donna, venuta a trovarsi sola, libera di contrarre le nozze o di risposarsi, risulta più agevolato. In molti casi la dote è meno controllata. I beni mobiliari, le elargizioni in somme di denaro costituiscono pur sempre la base del patrimonio dotale don una differenza rispetto agli anni antecedenti il fenomeno epidemico. I valori mobiliari, un tempo modesti, oscillano tra i 300 e i 400 ducati, accresciuti non solo nei contanti, ma anche da altri beni immobiliari e fondiari. Inoltre, si ha per la prima volta l'introduzione nella dote di quote frazionate sulle attività artigianali (concerie) della famiglia, con una compartecipazione assente prima dell'epidemia.

 

La donna ottiene oltre alla dote, costituita davanti al notaio ed ai testimoni, altri beni propter nuptias: i donativi da parte dei parenti, l'accrescimento delle quote dotali e l'assegnazione dell'antefato dal futuro sposo. Le elargizioni dei familiari sono sovente condizionate da clausole del donatore, di cui la più ricorrente è la richiesta della coabitazione. Non sempre l'offerta è contemporanea alle nozze; è frequente, invece, l'usanza di rinviare la donazione al momento del decesso in modo da trasmetterla agli eredi. La schiera dei donatori è varia. Può essere un padre che regala alla figlia, una suocera al genero, un cognato. In merito all'aumento della quota dotale è il futuro sposo che, per effetto o in considerazione di determinate circostanze, si assume l'onere di completare la dote. Costituito in nome del vincolo affettivo che unisce la coppia, l'incremento è rappresentato, nella maggioranza dei casi esaminati, da una somma di denaro raramente da un bene immobiliare, che la donna consegue su qualsiasi avere del marito e di cui dispone, con piena facoltà e a proprio arbitrio, sia in vita che al momento del decesso. Quale termine di pagamento, è fissato il giorno delle nozze con dilazioni rateali di due-tre anni, indipendentemente dal versamento della dote. Talvolta, al donativo dato per contanti è associato qualche altro regalo che, nella totalità dei casi, è un abito nuovo promesso alla novella sposa. Gli aumenti della dote sono rari: appena 20 casi su 266 contratti matrimoniali. Non siamo in grado di spiegare il loro fine reale. Potrebbero indicare l'impegno dello sposo, che interviene alla morte del padre o dei parenti della futura compagna. "Fedele" alle consuetudini del Regno di Napoli e "rispettosa della novella regia prammatica" emanata su istanza del baronaggio nel 1617, anche Solofra riconosce il diritto di costituire l'antefato alla donna con pubblico strumento notarile. Questo istituto giuridico estende ad entrambi i coniugi il beneficio di donazioni reciproche. Negli anni antecedenti la grande peste del 1656, un quarto dell'usufrutto dei beni del marito viene assegnato alla donna, mentre un sesto dell'usufrutto della dote è devoluto a favore dell'uomo. Entrambi vengono in possesso dell'antefato soltanto alla morte del coniuge.

Dopo la peste si rilevano sostanziali mutamenti. Le fonti non aiutano ad interpretare le modifiche sopravvenute, legate molto probabilmente ai tragici sconvolgimenti prodotti dal morbo. L'aspetto saliente è rappresentato dal venir meno del fattore della reciprocità. Gli sposi non si assegnano vicendevolmente l'usufrutto dei beni. La donna diventa protagonista attiva: riceve l'antefato dal marito senza ricambiarlo ed il valore risulta accresciuto, più consistente.

Quali capacità giuridiche ha, infine, la donna sulla dote? In vita è gestita dal marito o dai parenti dell'uomo che la ricevono a causa delle nozze. Ne può disporre totalmente prima di morire nel caso abbia avuto figli; altrimenti, secondo la tradizione di Solofra, può decidere a suo piacere nella misura di un terzo, mentre gli altri due terzi vanno a coloro che hanno provveduto a maritarla. Una conferma che la prole non garantisce alla donna soltanto affetto, autorità e protezione nella vecchiaia, ma anche ben definiti diritti giuridici.

_________

Laura e Teresa Garzillo portano in dote due botteghe di conceria; Vittoria Caropreso riceve come quota dotale metà conceria con terreno davanti e metà stenditoio con acqua; Giaquinta Vigilante ha una dote formata da una conceria con stenditoio; Carmosina Garzillo ha in dote due terzi di una bottega di conceria; Beatrice Garzillo una bottega e un terzo di un'altra; Gratia e Laura Petrone ricevono rispettivamente 200 e 150 ducati, quali quote dotali da ricavare dall'attività di "spezieria" dei loro padri, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente M. A. Giliberto, ff. 72-74 (1661), ff. 91-93 (1661), ff. 14-15v. (1666), ff. 95-96 (1669), ff. 169-171 (1670); G. Giliberto, ff. 15-16 0664); F. A. Petrone, ff. 30-33 (1653).

La madre di Zenobia Pirolo e il fratello di Martia de Maio assegnano la dote alla rispettiva figlia e sorella, vincolandola ad alcune condizioni. Chiedono di essere ospitati, alimentati, vestiti e curati in casi d'infermità, finché vivranno, nonché di provvedere a tutte le cerimonie funebri, in A.S.A., Archivio Notarile, C. Pandolf ello, ff. 15v.-17 (1648); A. Ronca, ff. 36-37 (1649).

Camilla Ginolfo, Antonia Petrone, Sebia Albanese, Sebastiana Galasso, Antonia Ginolfo e Isabella de Vulto si impegnano a versare una quota dei loro beni dotali per far fronte ai debiti contratti dal futuro coniuge. Lucrezia Guacci promette di saldare il debito che il padre aveva assunto nei confronti di Livio Guarino, suo cognato, con il denaro della propria dote, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente G. Giliberto, ff. non numerati, (1652); A. Crescillo, ff. 32-34 (1666), ff. 61-63 (1670); F. A. Petrone, ff. 151-152 (1652); A..Ronca, ff. 127-128 (1651);M. A. Giliberto, f f. 73-74 (1658); F. A. Petrone, f f. 2-3 (1654).

Significativo è l'atto matrimoniale di Giaquinta de Maio, promessa sposa di Nunziante Landolfo. Al momento delle nozze la coppia riceve il corredo valutato in 50 ducati, sulla dote complessiva di 350 ducati. Per gli altri 300 ducati si stabilisce che Nicola de Maio, fratello della sposa, deve contrarre società con Basilio Landollo, fratello dello sposo, per lo spazio di tre anni, cominciando dalla presente giornata e facendo diversi negozi del Regno, e comprando pelli pelose e quelle conciarle e venderle e comprare porci, e altri negozi. Nella quale società Nicola deve promettere di impegnare la sua persona, la sua pratica, e investirvi ducati 150, altrettanto farà Basilio e i guadagni saranno divisi a metà con il patto che il guadagno che nascerà dalla società per il detto Nicola, Basilio se lo dovrà tenere suo e per quello pagare a Nunziante la dote della moglie. Se non vi saranno guadagni, i ducati 150 di Nicola andranno lo stesso a Nunziante e Nicola dovrà andare fuori terra di Solofra a fare negozi, senza che venga Basilio, e a condizione che se Nicola non volesse esercitare la società sia ad arbitro di Nunziante contrarre il matrimonio ", in A.S.A., Archivio Notarile, A. Crescillo, ff. 7-8 (1670).

PRONUBI PER LA SPOSA

PRONUBO

N. atti

%

Fratello

67

25,2

Sposa sola -

63

23,7

Padre .

57

21,4

Madre -

18

6,8

Padre e fratello

17

6,4

Altri membri della famiglia

14

5,2

Madre, fratello e mundio

11

4,1

Madre e fratello

9

3,4

Madre e padre

6

2,2

Zio e padre

2

0,8

Tutori

1

0,4

Zio e fratello

1

0,4

 

266

100,0

 

PRONUBI PER LO SPOSO

PRONUBO

N. atti

%

Sposo solo

230

86,4

Padre

35

13,2

Madre

1

0,4

 

266

100,0

 

 

Si considerano i casi di Carmosina de Tura e di Beatrice Parrello. La prima è inviata dalla madre Isabella Guarino, rimasta vedova, e dal fratello Salvatore, a servizio per tredici anni presso Francesco Antonio Guarino di Napoli, razionale della numerazione dei fuochi; la seconda, invece, nativa di Bitonto, ma abitante a Solofra, attende alle fatiche domestiche in casa di Gio Guarino dove è stata collocata dal padre con un contratto ventennale. Nelle condizioni di versamento del salario, per quanto riguarda Carmosina de Tura, le retribuzioni sono trattenute per il "suo maritaggio" e saranno consegnate personalmente a lei e al futuro sposo al momento delle nozze. Beatrice Parrello, invece, tre anni dopo il primo contratto di lavoro, stipula un nuovo atto notarile, in cui lamentando di aver accettato il lavoro impostole dal padre poiché "piccola e di minore età" chiede di limitare il periodo delle prestazioni in casa Guarino ad otto anni. Dichiara, inoltre, di costituire una dote di 24 ducati che le saranno versati al momento delle nozze, in A.S.A., Archivio Notarile, L. Grimaldi, ff. 46-46v. (1642); A. Ronca, ff. 62v. - 63 (1662).

 

I principali Monti dei Maritaggi

 

Monte per la famiglia Vigilante fondato da Pompilio Vigilante; sue eredi sono Costantia, Elena, Geronima, Dorotea, Cassandra e Lucrezia Vigilante, in A.S.A., Archivio Notarile rispettivamente F. A. Petrone, ff. 71-72 (1654), ff. 119-120 (1655); M. A. Giliberto, ff. 10-12 (1661), ff. 111-112v. (1667); L. Grimaldi, ff. 34-35v. (1651); C. Ronca, ff. 272-274 (1654).

Monte della famiglia Giannattasio fondato da Antonello Giannattasio; sue eredi sono Pompilia, Gratia, Dorotea, Dianora e Giovanna, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente F. A. Petrone, ff. 63-64 (1654); A. Crescillo, ff. 21-22 (1669); M. A. Giliberto, ff. 18-20 (1658), ff, 155-157v, (1658), ff. 33-35 (1668).

Monte della famiglia Giliberti fondato da Giovanni Giliberto; sue eredi sono Selventia e Caterina, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente A. Crescillo, ff. 1-3 (1669); Gio. Giliberto, ff. 33-35 (1651).

Monte della famiglia Ronca fondato da Aurelio Ronca, sua erede è Caterina Ronca, in A.S.A., Archivio Notarile, A. Ronca, ff. 6-8 (1662).

Monte della famiglia Landolfo fondato da Gio. Pietro; sue eredi sono Vittoria e Margherita, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente L. Grimaldi, ff. 18-20 (1646); A, Ronca, ff. 96-98 (1656).

Monte della famiglia Verità fondato da Pirro Verità; sua crede è Santella Verita, in A.S.A., Archivio Notarile, M. A. Giliberto, ff. 76-77v. (1655).

Monte della famiglia Pandolfello fondato da Antonello; sue eredi sono Elena e Angela, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente M. A. Giliberto, ff. 35-36 (1672), ff. 132-134 (1672).

Monte dei battitori d'oro della città di Napoli, nella Chiesa di S. Maria della Moneta, per la famiglia Giaquinto fondata da Pompilio; sua erede è Maria, in A.S.A., Archivio Notarile, M. A. Giliberto, ff. 84-86v. (1655).

Cosa sono i Monti

I Monti dei Maritaggi erano istituti economici, costituiti nell'ambito di un casato o a seguito di donazioni a scopo di beneficenza, con l'obiettivo di garantire la dote a ragazze ricche o povere in occasione delle nozze. Il Monte di famiglia tesaurizzava il capitale assegnato dal fondatore attraverso investimenti in qualsiasi attività produttiva; e dal reddito ricavato realizzava una quota fissa o "sussidio" che veniva consegnato soltanto alle figlie dei discendenti di linea maschile del capostipite. Veniva gestito ed amministrato da persone di fiducia, scelte di preferenza nel clan familiare o tra religiosi, ricompensati annualmente per il loro fastidio. Con la fondazione dei Monti dei Maritaggi le famiglie perseguono la consueta "strategia degli interessi": trattengono una proprietà che diviene indivisibile e recuperano le quote dotali in caso di decessi di donne senza figli, agevolando così altre fanciulle del casato.

I Monti solofrani

I beni destinati alla formazione del Monte oscillavano da un massimo di 4.000-4.500 ducati dei Troisi al minimo di 2.000-2.500 degli Iuliano. Le quote dotali sono identiche per le dotanti di una medesima stirpe, ma non sono fisse. Iniziano da 200 ducati fino a scendere a 50-60 ducati, valore più ricorrente. Il "sussidio" non è soggetto a controllo da parte degli sposi, ma è dato in fideiessione ad altri consanguinei, in prevalenza parenti dello sposo. In caso di decesso della sposa, senza figli legittimi, è prevista la restituzione integrale al Monte, al fine di dotare altre fanciulle del lignaggio. Le condizioni imposte dagli amministratori al momento della consegna consistono nell'obbligo di reinvestire la quota ricevuta in nuove fonti di reddito e nella rinuncia, da parte della donna, a qualsiasi rivendicazione sul patrimonio familiare. Sui criteri perseguiti nella scelta delle fanciulle da dotare le fonti non sono esaurienti. Tuttavia, dagli atti esaminati, si rileva che il compito spettava agli amministratori e procuratori del Monte, a volte tenendo conto dì precise disposizioni del fondatore. Nel testamento di Lucrezia Iuliano, moglie di Giacobbe Guarino, si riscontrano dati significativi sulle modalità e finalità dei Monti.

Testamento di Lucrezia Iuliano. La testatrice lascia duemila ducati da investire in opere d'annue entrate, secondo l'arbitrio del fratello Annibale e del Canonico Giuseppe Garzillo, dei cui utili pervenendo ogni anno si dovranno maritare due persone cittadine per ducati cinquanta ciascuno e del rimanente fare spese di olio e cere per la cappella del Santissimo in S. Michele Arcangelo. Dispone che siano scelte sei donne povere (due scelte dal Capitolo di S. Michele Arcangelo, due dal Rev. Giuseppe Garzilli, e due dalla Cappella del SS.mo e dal Governo dell'Università), i cui nominativi devono essere messi in sei cartelle che saranno sorteggiate durante la festa di S. Michele Arcangelo nel mese di Maggio, proprio durante le messa solenne cantata, da un figliolo di meno di dieci anni d'età, scelto dal Rev. G. Garzilli. I nominativi delle prime due buste saranno quelli delle due prescelte. In caso di difficoltà spetta a G. Garzilli di appianare ogni equivoco e, nel caso in cui non si sia ben espliciti sulle modalità, per ogni chiarimento sia interpellato il detto D. Giuseppe, se poi gli utili non raggiungono i ducati cento, siano dati ducati quarantacinque a ciascuna beneficiata e il resto alla Cappella del SS.mo. Se poi in quell'anno siano da maritare le donne delle seguenti famiglie, sia data loro l'intera somma di ducati cento: famiglia Annibale Iuliano e suoi eredi di linea maschile, le figlie femmine di Beatrice Iuliano, sua sorella, e alle eredi di tali figlie; una figlia dei coniugi Francesco Ronca e Fenizia Garzillo, purché tale Francesco non pretenda gli interessi delle doti di Fenizia dai suoi fratelli, e se li pretende, che siano pagati tali denari d'interessi a don G. Garzilli in luogo di legato; una figlia dei coniugi Orazio Maffei e Caterina Guarino; una figlia di Francesco Guarino chiamata Camilla e una figlia del defunto Nobile Guarino chiamata Grazia, per ducati cinquanta ciascuno. Siano procuratori del Monte l'erede Annibale Iuliano e il Rev. don Giuseppe Garzìlli, che riceveranno ogni anno per il loro fastidio ducati cinque ciascuno.

A.S.A., Archivio Notarile; L. Grimaldi, ff. 135-138v. (1656)

 

BENI CHE COSTITUISCONO LA DOTE

 

Mobiliari, Attività conciarie, Immobiliari, Fondiari, Immobiliari e fondiari, Mobiliari e immobiliari, Mobiliari e fondiari, Mobiliari, fondiari e immobiliari.

 

VALORE DEI BENI MOBILIARI

.

 

 

IMPORTO IN DUCATI

N. casi

1640-1656

N. casi

1657-1676

Da

 1

 100

 

2

17

101

200

 

20

11

"

 201

 300

 

18

20

"

 301

 400

 

9

20

"

 401

 500

.......

3

8

"

 501

 600

 

2

2

"

 601

 700

 

 

 

"

 701

 800

 

 

 

"

801

 900

 

 

 

"

901

 1000

 

 

 

"

1101

 1100

 

 

 

 

 

 

TESTAMENTI

 

Uno spaccato della vita familiare, nei suoi molteplici aspetti, viene fornito da altri atti notarili, dai testamenti, una fonte idonea a ripercorrere nelle varie fasi la realtà socio-economica di Solofra. Le disposizioni testamentarie, pur nella specifica trattazione di fatti, situazioni, questioni rigorosamente giuridiche, inerenti all'acquisto dell'eredità ed alla capacità di subentrare nel patrimonio dei defunto, consentono di rilevare ed approfondire le conseguenze sociali delle scelte successorie.

I testamenti svelano la preminenza sociale, politica e religiosa della famiglia; la saldezza dei vincoli, dei rapporti di parentela e di amicizia con altri nuclei; l'educazione dei figli, le condizioni dei servi, una casistica relativa ai comportamenti umani non più regolata da consuetudine e costumanze, ma da precise norme del diritto privato. La morte, come la nascita, è tra i fatti naturali che ha nel diritto una rilevanza molteplice, in quanto non designa soltanto un evento in sé, ma coincide, comprende e si identifica con altri negozi giuridici. L'estensione di tutti i diritti, i doveri, gli oneri di una persona fisica si ricollega inevitabilmente ad altri fatti giuridici, al complesso fenomeno della successione. Dalla scomparsa determinata da fattori naturali o violenti dei genitori, in particolare del padre, detentore ed amministratore unico di tutto il patrimonio - sia quello accumulato con propria fatica durante la vita coniugale, sia quello portato in dote dalla moglie al momento delle nozze - si avvia un processo di riassetto del gruppo familiare nelle sue diverse componenti. La realizzazione di una nuova cellula è dettata quasi sempre, se non esclusivamente, dall'immissione di nuovi capitali che solo la morte del genitore può produrre. Il decesso paterno per i figli maschi rappresenta una vera liberazione dalla patria potestà che la precedente emancipazione non ha realmente concesso, ad eccezione di coloro già votati al sacerdozio. Per consuetudine la comunità solofrana ritarda l'acquisizione delle quote patrimoniali spettanti ai figli una volta emancipati. Preferisce investire il capitale in società fondate su mutui e reciproci interessi, depositandolo in banchi pubblici, come quelli, ritenuti più sicuri, della Capitale del Regno, oppure privati, o affidandolo a persone autorevoli, quali, ad esempio, la Badessa del monastero di Santa Maria delle Grazie di Solofra. Anche la successione favorisce gli eredi maschi. La donna, tranne che la quota dotale, non ha alcuna aspettativa successoria nei riguardi della famiglia di origine. A puro scopo illustrativo ricordiamo le disposizioni di alcuni testatori prossimi a divenire padri, ai quali l'incombere della morte non consentirà di conoscere l'erede". L'ignoranza sul sesso del nascituro li induce a dividere il patrimonio secondo clausole ben precise: nell'eventualità di un maschio, al neonato sarà integralmente trasmesso il capitale; ad una femmina, invece, toccherà soltanto la dote di paraggio proporzionale al patrimonio familiare. Anche nelle manifestazioni di religiosità e spiritualità il fenomeno osservabile è una netta discriminazione tra i figli in base al sesso. Si invocano celebrazioni di messe e riti solenni qualora il fanciullo muoia in tenera età, mentre nessuna cerimonia è prevista per le ragazze. La distinzione prosegue perfino nell'alimentazione, dove si richiede un allattamento più prolungato possibile nei riguardi dei maschi, senza estendere il trattamento alle femmine.

Le famiglie a struttura estesa, come quelle dei negozianti e dei commercianti, conservano anche dopo la morte del padre, in virtù di clausole e promesse, basi comunitarie sia nella vita privata, con l'obbligo imposto ai discendenti maschi di coabitare sotto il medesimo tetto, sia nella vita pubblica, con il divieto di svolgere attività autonome. Gli eredi, già impegnati nei commerci paterni o inseriti nelle operazioni di scambio, sono vincolati dalle disposizioni testamentarie a non disperdere arbitrariamente il capitale, a conservare per decenni i sodalizi familiari anche su fondamenta economiche e a sottostare alla tutela e al controllo di amministratori nominati in precedenza dal defunto. 1 figli, sorvegliati dal padre per quasi tutta la vita, protetti anche dopo la morte del genitore, sono costretti a ritardare la costituzione del proprio nucleo familiare o, quanto meno, a realizzarlo al di fuori dei confini paterni col rischio di essere diseredati.

Riguardo alla discendenza, gli atteggiamenti assunti non si ricollegano alle spinte emotive, ai sentimenti naturali di tenerezza, affetto ed imparzialità, ma sono in funzione delle condizioni socio-economiche del casato. Atteggiamenti cristallizzati, espressi e sanzionati secondo rituali fissi che rivelano la mancanza di una completa libertà testamentaria, il sussistere di regole e prescrizioni, di certi diritti-doveri di eredità e che aiutano a spiegare come si intrecciano strettamente tra loro la struttura familiare, lo sviluppo demografico, i fenomeni sociali e l'economia. Da questi principii consegue che i ricchi, per preservare e difendere la proprietà, evitare dispersioni o frazionamento del patrimonio, impongono maggiori restrizioni alle donne e garantiscono la perpetuazione del proprio gruppo assicurando all'uomo prerogative e privilegi economici e giuridici.

La divisione degli averi tra gli eredi nominati avviene sulla base di una rigorosa equità e non sono frequenti i casi di testatori o testatrici che favoriscono uno o più beneficiari a svantaggio di altri, sui beni sia stabili che mobiliari. Raramente si verificano scelte di opzione sul prelievo dell'anteparte, cioè di quella quota dal patrimonio assegnata in prevalenza e in maniera specifica ad uno degli eredi. L'anteparte, anche se non è regola fissa, è costituita per i maschi da somme di denaro e da immobili; per le femmine da semplici capi di vestiario o da utensili domestici. Le fortune trasmesse si differenziano a secondo che a disporne sia un uomo o una donna. I beni assegnati dalle testatrici sono in prevalenza modesti : quote dotali, conseguite secondo il paraggio delle ricchezze familiari, e gli scarsi beni mobili della casa dove risiedono sono a stento distribuiti tra gli eredi, quando liti e procedimenti giudiziari - a cui quasi tutti gli atti notarili fanno riferimento - non ostacolano la trasmissione successoria. Come esempio ricordiamo le norme fissate per Michele e Soccorso, eredi in egual parte di Fabio Troisi: nel caso che sorgano liti tra Michele e Soccorso per qualsivoglia motivo sopra le robbe date dal testatore a Soccorso a tempo della sua emancipazione e lasciate nel testamento, Soccorso voglia e possa domandare a Michele le spese fatte dal testatore. I notai, i dottori, i giudici, nell'intento di salvaguardare i vantaggi del loro status, tramandano di padre in figlio la professione, senza tralasciare di dotare con decoro le figlie, sia che scelgono il matrimonio o il convento.

_______________

Riportiamo i nomi dei padri con le rispettive fonti, in A.S.A., Archivio Notarile, Andrea Ronca e Arcangelo Troisi (Notaio C. Ronca, ff. 384-387, ff. 428-440[16451): Agostino Robino, Gio. Maria Ronca, Ioseph Papa, Giuseppe Ginolfo, Luca de Donato, Giuseppe Morena (Notaio A. Ronca, ff. 95-97 [16501, ff. 150v-152 [1651], ff. 37-40 [1656], ff. 7-10, ff. 96-99 [1659], ff. 30-33 [1662]; Antonio de Vutu e Gio. Leonardo Guarino (Notaio L. Grimaldi, ff. 8-10 [16531, ff. 11-12 [1660]), Marco Antonio Vigilante (Notaio G. Gilibertò, ff. 165-168 [1649]); Vincenzo Vigilante (Notaio F. A. Petrone, ff. 64v.-66 [16521); Carmine Ronca, Gio Santo Garzillo, Bartolomeo Guarino, Vincenzo Giliberto (Notaio C. Pandolfello, ff. 12-13, ff. 101-103,ff. 117-120, ff. 126-130 [1656]: Gio. Santo Lettieri (Notaio A. Crescillo, ff, 34v.-34[1676]); Michelangelo Donato, Prospero Guarino, Pietro Landolfo (Notaio M. A. Giliberto, ff. 83v,84 [1662], ff. 71-73 [1670], ff. 219-220 [1671]).

Sono i casi di Mitiano Ronca, Iuliano Galasso, Felice Petrone, Camillo d'Arienzo, Giulio Maffei, Donato Antonio Ronca e Angelo Troisi, in A.S.A., Archivio Notarile, rispettivamente G. Giliberto, ff. 87-89, ff. 117-120, ff. 138-140, ff. 41-43v. (1649); C. Pandolfello, ff. 85-87v. (1656); M. A. Giliberto, ff. 29-3Iv. (1673); A. Ronca, ff. 84-86 (1651).

A.S.A., Archivio Notarile, G. Giliberto, ff. 17-19 (1649).

Se il matrimonio viene rifiutato, il valore della dote monacale non subisce alcuna variazione e rimane fissato in 400 ducati: cifra notevole che soltanto commercianti facoltosi sono in grado di offrire. Inoltre, mentre le persone più agiate precisano le somme stanziate per impegni specifici (tutela dei figli, ospitalità ai parenti, assistenza medica e acquisto di farmaci) i poveri si affidano alla benevolenza dei prescelti, a cui devolvono il compito di soddisfare le loro ultime volontà, manifestando maggiore sensibilità ed umanità nel richiedere il gravoso incarico. Così troviamo che il tutore svolge il compito attribuitogli senza ricevere alcuna remunerazione o trattenere beni ereditari, come è previsto in molti casi; o che i genitori offrono ospitalità alle figlie rimaste vedove senza chiedere una compartecipazione alle spese di vitto ed alloggio, malgrado le difficoltà finanziarie in cui versano.

Le conseguenze della peste nei testamenti

Era consuetudine in Solofra, prima che la peste producesse i suoi terribili effetti, che le donne lasciassero in eredità prevalentemente beni mobiliari e in percentuali ridotte beni stabili: comportamento aderente alla realtà sociale, alla condizione femminile imposta da quel tipo di società ancien régime. All'indomani del morbo, al termine del periodo infausto, che opera dal punto di vista demografico un processo di notevole sfoltimento, la situazione appare mutata. Il grave evento ha messo in moto meccanismi perversi, ha creato vasti problemi economici e sociali, ha alterato il rapporto tra accesso al matrimonio ed accesso all'eredità. Si sono determinate circostanze transitorie, che tuttavia lasciano tracce significative e provocano grosse trasformazioni nel campo della vita produttiva locale. Le accelerate e rapide successioni consentono di riunire nelle mani delle donne i beni patrimoniali di molte insperate eredità: le probabilità di seconde nozze sono realizzabili; matrimoni e parentele, un tempo impensabili, sono rese possibili dal caso tragico della peste. Si fa più incombente e costante la minaccia di veder dileguare grosse fette del patrimonio familiare. Le forti concentrazioni di fortune comportano nuovi condizionamenti e limitazioni nei confronti delle donne. Prevale la difesa degli interessi immediati; risultano intensificate precauzioni e cautele. Così la peste non si traduce in un positivo processo di relativa maggiore libertà e sicurezza per la donna, che finisce per essere assoggettata ancor di più giuridicamente ed economicamente con altri vincoli ed imposizioni. Si riscontra, inoltre, che, dopo il grave flagello, i beni stabili da trasmettere in eredità diminuiscono proporzionalmente in misura maggiore di quelli mobiliari.

Scarse implicazioni ha, invece, la peste negli atteggiamenti testamentari degli uomini. Le regole di discendenza non risultano indebolite, ma continuano ad essere rispettate con razionalità e rigore. Difficile è, comunque, indicare l'entità delle ricchezze, ricostruire la consistenza dei valori mobiliari ed immobiliari lasciati agli eredi. Non si tratta di un'aridità delle fonti, di una documentazione scarsa e lacunosa, ma di un'omissione volontaria, di una realtà espressamente taciuta. Il timore che l'esatta conoscenza dei beni patrimoniali da parte di malintenzionati possa rappresentare un'occasione per essere derubati o sequestrati, in un periodo storico in cui il banditismo è un diffuso male endemico nel Mezzogiorno, induce la maggioranza dei testatori ad adottare non rivelare l'entità dei propri averi. Nei testamenti essi si limitano, quindi, ad indicare, come punti di riferimento, le annotazioni trascritte nei libri mastri, i conteggi amministrativi sulle loro attività. Nei casi, invece, dove non si riscontrano precauzioni del genere, prevalgono le elencazioni di somme di danaro ricavate dai traffici commerciali, seguite poi da beni mobiliari e fondiari. Unica sostanziale variazione rilevabile è che all'indomani della luttuosa pestilenza nelle disposizioni testamentarie non si fa alcuna menzione delle botteghe. Il morbo - e non è un'ipotesi azzardata - ha prodotto un rilevante mutamento nella vita produttiva di Solofra, ha decimato la popolazione, ha impoverito il numero delle botteghe rimaste senza proprietari o depredate.

Restano da precisare i criteri seguiti da testatori nelle condizioni imposte per l'accesso all'eredità e che obbediscono ai principi di solidarietà familiare, al fine di promuovere più vaste forme di stabilità e salvaguardia del patrimonio. Le prescrizioni delle donne si concretizzano nell'obbligo della residenza a Solofra, nell'assegnazione dei beni mobiliari in prevalenza alle figlie, nell'impiego richiesto ai figli maschi di preservare le sorelle "da qualsiasi molestia". Un insieme di vincoli giustificati dalle precauzioni e dai timori che "il patrimonio, per quanto poco e misero, non deve andare disperso, né mai essere affidato ad estranei". Gli uomini, prendendo in considerazione anche l'eventualità di fattori imprevedibili, come le guerre e le epidemie, impongono alle mogli ed alle figlie, una volta rimaste vedove o orfane, la residenza nei monasteri femminili; agli eredi maschi, invece, la conservazione dei beni con note, suggerimenti, consigli scrupolosi sugli investimenti e l'oculata amministrazione. Volgendo ora lo sguardo all'intero campo delle differenziazioni riscontrate in materia di successioni, si può parlare nella ripartizione del patrimonio di una netta prevalenza della discendenza maschile, unilaterale, patrilineare, fenomeno non alterato neppure dall'evento del terribile flagello della peste". Conseguenza diretta di quanto in precedenza esposto, tale comportamento non rappresenta una discriminazione, ma una selezione naturale, operata tra i parenti. "Nelle regole di discendenza non vi è nulla di intrinsecamente ovvio": in esse si riflettono i condizionamenti storico-sociali, i risultati delle concentrazioni delle ricchezze private, la fitta rete delle alleanze matrimoniali e della struttura di scambi. Quindi testatori e testatrici si uniformano nella scelta degli eredi senza manifestare incertezze, senza cadere in contraddizioni; si ispirano a quei principi che formano la base, il presupposto dell'organizzazione familiare. Nominano quali credi universali i figli maschi in quanto sono in grado di assumersi gli obblighi derivanti dalla collocazione sociale, di perpetuare il nome del casato, di garantire la continuazione prestigiosa della stirpe. Osservando, inoltre, una severa giustizia, il patrimonio viene diviso equamente tra gli eredi in rapporto anche alle spese sostenute per allevarli ed istruirli. Per esempio Gio. Matteo Morena nomina coeredi i due figli dott. Ambrosio e il chierico Vito Antonio; e, "a disgravio di sua coscienza", dichiara di aver speso duemila ducati in contanti a favore del primogenito per mantenerlo agli studi a Napoli e per il suo maritaggio, e di stabilire, pertanto, che, fino a quando egli risiederà fuori Solofra, non gli spetterà alcuna somma di danaro.

Nei testamenti, nelle clausole sui lasciti è presente poi una serie graduata di previsioni di situazioni particolari e complesse che, per la varietà dei casi previsti di tecnica giuridica, risulta difficile elencare. Confermano, comunque, la tendenza generalizzata di un'identità di indirizzi e di comportamenti, di una strada obbligata, segnata dalle condizioni sociali ed economiche presenti a Solofra. Rileviamo che i testatori, una volta interrotta la discendenza diretta maschile, scelgono i fratelli ed i nipoti, seguiti dalle figlie, dalle Chiese e dalle Cappelle; le testatrici, invece, i mariti e i fratelli in eguale misura, le figlie e le Chiese. Un dato significativo nelle designazioni tra i coniugi è rappresentato dalla considerazione che la donna preferisce nominare erede universale il marito in proporzione maggiore rispetto ai fratelli, mentre gli uomini avvantaggiano i fratelli piuttosto che le mogli, in un rapporto inversamente proporzionale. Superfluo è aggiungere che per gli uni e le altre i valori sono superiori verso i fratelli che verso le sorelle, mentre non vi sono casi di sorelle e fratelli nominati coeredi. Lo studio sulle varie disposizioni testamentarie mette in evidenza il posto del tutto privilegiato attribuito, nel sistema di parentela, ai collaterali, ai fratelli del testatore o della testatrice. Una figura familiare di sostegno e fiducia a cui ricorrere in qualsiasi avversa circostanza, nei casi di nomina di tutori, di amministratori, esecutori testamentari, in tutti gli altri obblighi inerenti alla difesa e stabilità del patrimonio. La scelta preferenziale non è regolata da criteri individuali o affettivi, ma da spinte più razionali, conseguenti alla strategia matrimoniale che si fonda sullo scambio delle donne, dei beni, dei servizi, e, quindi, sull'immagine di una salda e completa unione familiare.

Si è già osservato che il matrimonio risponde alla legge degli scambi con una reciprocità di relazioni a breve o medio termine. Le combinazioni di parentela, secondo una pratica stabile ed abituale, riflettono le condizioni economiche e sociali delle famiglie. In tal senso il caso di Solofra, a causa della sua struttura, fornisce lo strumento più valido per approfondire e distinguere il motivo del ricorso al matrimonio doppio, alle nozze tra cugini incrociati e le conseguenze che derivano da queste unioni. I negozianti, i commercianti, gli artigiani in possesso di ingenti capitali mobiliari, essendo già associati in affari con i propri fratelli, tendono a che la trasmissione delle loro ricchezze avvenga nell'ambito della stirpe, sempre in base alla considerazione di non frazionare la massa patrimoniale. Il matrimonio tra cugini, tra consanguinei, obbligatorio in un certo senso per i discendenti di questi ceti, consente il recupero di capitali in un arco di tempo circoscritto e limitato. Coloro che vogliono accumulare il capitale, e non intendono smembrarlo o congelarlo per più generazioni, mostrano di preferire il matrimonio doppio, in cui - per il principio e l'osservanza della reciprocità - gli scambi si equivalgono e si annullano. In quest'ottica i capitoli matrimoniali e i testamenti intrecciano un "dialogo" in cui si individuano i principi fondamentali dei gruppi parentali esistenti a Solofra e costituiti in clans, in quanto soddisfano i tre requisiti essenziali: la regola della discendenza unilineare; la regola della residenza; la regola dell'effettiva integrazione sociale.

Nel 1659 Solofra "fa di fuochi numero 350 e in essa vi sono quindici famiglie: Maffei, Guarino, Pirolo, Garzilli, Vigilante, Giannattasio, Ronca, Grimaldi, Troisi, Moreno, Pandolfelli, Giliberti, Petrone, Landolfi e Fasano, ossia clans uniti, da forti sentimenti di gruppo, improntati alla difesa del prestigio, al rispetto rigoroso delle norme della discendenza, alla tutela e salvaguardia della società in un territorio a coltura mista, tipica delle zone a seminatorio arbustato. Così il clan impone tra l'altro di "pigliar moglie che non passano i ventiquattro anni"; e se pure alcuno si "accasa con donne di maggiore età lì è necessario avere dote arrotondata ad una grossa somma in contante"; ed ancora deve "per condizione e grado sposare, né può cercare altro fuori di Solofra a causa del morbo della peste"; e perché "se si colloca marito fuori Solofra, haverà dote dimezzata". Una catena di vincoli limita e condiziona i componenti del gruppo anche in materia di sepoltura. Nelle parrocchie di ciascun casale le famiglie benestanti conservano la Cappella privata, simbolo del prestigio e dell'autorevolezza del casato, ma anche del persistere di un processo endogamico dopo la morte. Spesso le ultime volontà dei testatori non sono indicate soltanto nei testamenti. All'atto originario, chiuso e sigillato, si aggiungono i codicilli, scritti che rivelano le angosce dei moribondi ancora legati ai problemi.

Le Cappelle delle famiglie solofrane nominate negli atti notarili

Oltre la Chiesa di S. Giuliano i membri dei casati scelgono per la sepoltura dei loro congiunti la Collegiata di S. Michele Arcangelo, la Chiesa di S. Agostino, la Chiesa di S. Maria delle Grazie, la Chiesa di S. Domenico, la Chiesa di S. Croce, la Chiesa di S. Andrea del casale di S. Agata di Solofra.

Cappelle o chiese possedute dalle famiglie solofrane:

Caropreso: Cappella di Santa Lucia alle Fontane sottane;

Corona: Cappella di Santa Maria delle Grazie in S. Agostino;

Didonato: Cappella in S. Giuliano;

Fasano: in S. Michele Arcangelo;

Garzilli: Cappella della SS. Annunziata, Cappella di S. Bartolomeo in S. Agostino;

Ginolfo: Cappella di S. Maria dell'Arco in S. Andrea;

Giaquinto: Cappella di Monte Vergine, Cappella di S. Silvestro e una Cappella in S. Andrea;

Graziano: Cappella in S. Agostino;

Guarino: Cappella della SS. Concezione in Santa Maria delle Grazie, Cappella di S. Giovanni in S. Agostino, Cappella del SS. Salvatore in S. Michele Arcangelo;

Landolfi: Cappella di S. Tommaso;

Maffei: Cappella di S. Antonio in S. Agostino;

Morena: Cappella di S. Maria di Porto Salvo in S. Maria del Popolo alla Forna;

Papa: Cappella di S. Lorenzo in S. Michele Arcangelo;

Pandolfello: Cappella di S. Nicola in S. Agostino;

Parrella: Cappella di S. Matteo in S. Michele Arcangelo;

Pirolo: Cappella di S. Caterina in S. Agostino;

Petrone: Cappella in S. Agostino;

Ronca: Cappella dei SS. Pietro e Paolo in S. Michele Arcangelo, Cappella della SS. Ascensione, Cappella di S. Maria della Purità;

Rubino: Cappella di S. Stefano in S. Michele Arcangelo;

Troisi: Cappella della SS. Assunzione in S. Michele Arcangelo, Cappella della SS. Annunziata in S. Agostino;

Vigilante: Cappella di S. Giovanni Battista, Cappella di S. Martino in S. Agostino;

Vulto: Cappella in S. Croce.

Da Flavia Luise Solofra tra il 1640 e il 1676 nei capitoli matrimoniali e nei testamenti (in "Melanges de école francaise", 95, 1983, 1, pp. 299-338).

 

 

Solofra nel Seicento

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