IL BRIGANTAGGIO POSTUNITARIO

 

 

Il brigantaggio ai piedi del Terminio

 

È il titolo di una ricerca dello studioso di storia serinese Ottaviano De Biase sui fatti del brigantaggio che coinvolsero questa parte dell’Irpinia. Essa fa luce su ciò che avvenne tra gli anfratti montuosi dell’accidentato massiccio dei Picentini, che, proprio per le sue caratteristiche era stato sempre al centro di vicende brigantesche. Qui all’indomani dell’unità si vissero vari episodi di quel lungo e tragico conflitto, che è conosciuto col nome di brigantaggio postunitario. È questo un complesso fenomeno che affonda le radici nell’ampia situazione di prepotenza e sfruttamento da cui il meridione era stato flagellato e che il nuovo ordine instaurato dallo Stato sabaudo riproponeva in forme diverse ma con identiche conseguenze.     

Solofra, posta ai margini di questa aera e con la sua valle aperta sulla pianura, fu interessata solo marginalmente dagli eventi, che ebbero come centro le falde del Terminio, infatti il percorso delle bande giungeva solo a lambire i nostri monti. Nonostante ciò dallo studio del De Biase emerge un suo coinvolgimento agli eventi, a cominciare dal 1861 quando, nell’estate di quell’anno, fu contestata con manifestazioni di piazza l’elezione a sindaco di Girolamo Grassi, espressione dello stato liberale. Al grido di “Viva o re nuosto, morte a’ liberali e ai garibaldini” la sommossa solofrana, che ebbe come centro piazza San Michele, portò alla sostituzione del nuovo sindaco col borbonico Vincenzo Guarino che rese obbedienza all’esiliato Francesco II, re delle Due Sicilie, mentre i possidenti solofrani, rintanati a Napoli presidiata dall’esercito piemontese, attendevano che l’ordine fosse ristabilito. Come per tanti altri episodi di questo genere, anche a Solofra il successo della reazione fu momentaneo, poiché le forze dell’ordine rimisero al suo posto il sindaco Grassi e un mese dopo una causa contro gli oppositori pose fine alla contestazione. Non ebbe maggior successo, l’anno successivo, un analogo tentativo organizzato da Luigi Ronchi, finito con l’arresto di tutti i “cospiratori”. Per fortuna a Solofra non ci fu alcuna forma cruenta, come invece avveniva in altri luoghi dove non raramente il contrasto si risolveva con fucilazioni in piazza, e ciò perché il caso solofrano non fu opera di una banda organizzata ma nacque per moto spontaneo della popolazione.

L’opposizione contro le amministrazioni comunali, nasceva dal fatto che queste erano costituite dalla parte ricca della popolazione che si era impossessata del patrimonio demaniale. Quello delle terre demaniali fu la vera molla che fece scattare la ribellione delle popolazioni, poiché su queste terre i contadini, fino ad allora avevano esercitato gli usi civici, cioè avevano tratto il necessario per vivere. Era loro permesso infatti di raccogliere gratuitamente la legna, i prodotti delle selve ed anche mettere a coltura piccoli appezzamenti. Con la fine di questo regime le terre demaniali furono poste in vendita, ma potettero essere acquistate solo da chi aveva denaro e ciò avvenne sia per vie legali ma anche attraverso vere e proprie usurpazioni. Bisogna dire che, venuto meno l’unico modo col quale nei secoli precedenti veniva alleviata la povertà delle masse contadine, si erano fatti vari progetti di una riforma agraria. Essa avrebbe dovuto ridurre i latifondi ed assegnare la terra ai contadini, ma non fu mai attuata, poiché andava contro gli interessi dei grandi proprietari che erano al potere. Alla povera gente, che vide nel nuovo ordine instaurato un regime di sopraffazione e soprusi ad opera dei soliti potenti, non restò che mettere in atto una serie di azioni contro i municipi e gli uffici del catasto, simbolo della proprietà, contro le case dei “gentiluomini”, possessori delle terre demaniali, contro i simboli sabaudi, insomma contro tutto ciò che aveva determinato il cambiamento. A questa specie di guerriglia, messa in atto da gruppi di briganti, visti dalle popolazioni come eroi, lo Stato sabaudo rispose con una forte azione repressiva ad opera dell’esercito e dei Carabinieri.

A  Solofra, proprio per la sua posizione limitrofa, ci fu una stazione di Carabinieri molto attiva in perlustrazioni, inseguimenti ed arresti (1867) che fu rinforzata con una truppa di fanteria quando si profilò il pericolo della banda capeggiata da Andrea Ferrigno, che spadroneggiava nella zona senza riuscire a catturarla. In questa occasione i Carabinieri misero in prigione Matteo Scarano con l’accusa di collaborazionismo poiché sua figlia Antonia era la donna del brigante Ferdinando Pica alleato con il Ferrigno. La storia di questo legame si colora di gelosia poiché la donna del Pica, una certa De Martino, che era stata ripudiata per la Scarano, tradì dando notizie della banda ai carabinieri di Montella. In seguito a questa delazione, che evidenzia il dramma delle donne dei briganti, la banda si divise: al Pica andò il territorio dell’avellinese, al Ferrigno il salernitano.

Solofra con Serino fu coinvolta in un altro episodio nel 1876 ad opera di una banda che trafficava tra Turci e la Castelluccia, formata da gente di Cesinali, Tavernola e Volturara, malviventi comuni che approfittarono dei lavori di costruzione del tronco ferroviario e misero in atto una serie di furti ed estorsioni. Ne furono vittime soprattutto i dirigenti della Società ferroviaria, ma anche altre persone come l’industriale Francesco Buonanno e persino l’onorevole Michele Capozzi. La banda fu debellata con l’arresto di tutti i suoi membri per la confessione del guardiano del tratto ferroviario, mentre i militari della stazione solofrana furono premiati con medaglie e premi in denaro.

Gli episodi citati sono solo una parte del grande fenomeno del brigantaggio di questo periodo, su cui si innestò l’azione, sostenuta dallo Stato pontificio, di quelli che volevano un ritorno al potere della dinastia borbonica, persone del clero, funzionari pubblici, impiegati e militari, che sfruttarono il malcontento contadino, generato dalla leva obbligatoria e in genere dal dissesto dell'economia meridionale, ma che attuava una forma già in uso da secoli nel Meridione, quella delle bande armate che si ribellavano alle prepotenze del feudalesimo meridionale e che era una forma di protesta e di rivolta contro di esse.

 

Da “Il Campanile”.

 

 

 

Antonietta da Solofra

 

Banda Carbone costituita il 5 settembre del 1869

 

In seconda fila da sinistra in piedi c’è Antonietta da Solofra

 

Era Antonia Scarano di Matteo la donna del brigante Pica

 

 

 

 

 

I briganti erano contadini, braccianti e pastori che si sentivano defraudati dall’ordine sociale imposto dallo Stato sabaudo, gente che non accettò la sopraffazione e si ribellò alle ingiustizie e ai soprusi dei potenti, perdette fiducia nella giustizia dello Stato e si dette alla macchia.

 

“Erano piccoli gruppi con un capo, che si imponeva per prestigio personale e per ferocia, con sede stabile sui monti nelle zone più impervie e inaccessibili, in boschi fitti, vestiti di panno nero, cappelli a larghe tese, mantelli di lana. Colonne di fumo durante il giorno o falò e lampade nella notte, stracci esposti alle finestre, colpi di fucile intermittenti, imitazione di richiami di uccelli, erano i mezzi di comunicazione mentre sentinelle e vedette, davano l'allarme con fucilate, fischi, squilli di tromba, rumori vari. Per rispondere ai rastrellamenti dell’esercito che durava più giorni, i briganti si spostavano continuamente e al buio, erano costretti a pernottamenti all'addiaccio, veglie, fame, a lunghe marce forzate, scontri sanguinosi d'estate e d'inverno. La loro tattica era la guerriglia che prevedeva la ritirata sui amici e conosciuti condotta su un duplice fronte, quello delle incursioni per razziare e depredare i ricchi proprietari terrieri, e quello sul piano squisitamente militare contro l'esercito piemontese. E se c’era un rovescio abbandonavano sul terreno l'equipaggiamento pesante per avere maggiore scioltezza nella fuga. I feriti venivano raccolti sul terreno e per evitare delazioni, quelli più gravi e intrasportabili venivano uccisi e poi cremati per renderli irriconoscibili”.

 

 

 

 

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