I Caiafa di Solofra

 

 

Tra le famiglie solofrane che abbiamo ricostruito nel loro sviluppo e nella loro composizione c’è il ceppo dei Caiafa. È una di quelle famiglie che si introdusse a Solofra nella seconda metà del XVII dopo la peste del 1656 quando la società locale si ridusse di due terzi. Molti furono i nuovi innesti, persone provenienti dalla Puglia, dove gli Orsini avevano la sede del feudo e dove i solofrani avevano intensi rapporti commerciali, dalla Calabria, dove c’erano mercati frequentati dal commercio solofrano, soprattutto dal montorese, dal sanseverinese o dal serinese, ma anche da luoghi più lontani del salernitano e del napoletano, che da sempre sono stati bacini a cui ha attinto la società solofrana. In genere i nuovi arrivati si insediarono nelle masserie del fondovalle o furono attirati dal lavoro nelle botteghe di conceria che erano rimaste prive di manodopera, ma ci furono anche calzolai, sarti, artigiani del legno e della pietra, costruttori, questi ultimi richiamati dalle distruzioni dei terremoti che si succedettero tra la fine del secolo e l’inizio del successivo e che dettero vita ad un’intensa attività edilizia che portò all’ampliamento delle cortine e alla loro trasformazione in palazzi, formando la base del tessuto edilizio esistito fino al terremoto del 1980. Ci furono anche i battiloro che vennero da Napoli o da zone del napoletano periferiche alla capitale, spinte dal fatto che, nonostante il monopolio che la capitale godeva su questa arte i cittadini napoletani potevano esercitarla a Solofra come avveniva da oltre un secolo. Tra questi ultimi ci furono appunto i Caiafa, battitori di oro e intagliatori che parteciparono intensamente al processo di innovazione e di ammodernamento delle abitazioni solofrane che si arricchirono di opere in legno dorato. Costoro si insediarono a Solofra, come successe per molte famiglie, dietro la spinta di persone del posto a cui si legarono con vincoli economico-familiari. Così fece Giuseppe Caiafa, battiloro napoletano, che si imparentò con i Papa con cui già a Napoli aveva rapporti. Sia Giuseppe che la sorella Anna Maria sposarono infatti membri di questa antica famiglia solofrana  - il primo Fortunata, la seconda Gabriele - e si insediarono tra la Piazza e la Cupa. La loro prima attività fu proprio quella dell’intaglio del legno che poi veniva indorato nelle stesse botteghe. L’attività si ingrandì e si ampliò con i figli di Giuseppe fino a divenire preminente e molto richiesta. Altri legami matrimoniali con i Didonato, i Ronca e i Ziccardi risposero alla stessa logica, e determinano anche l’impianto dei nuovi nuclei nei casali di insediamento delle famiglie con cui si univano, secondo una modalità ben precisa. Si ebbe infatti un insediamento a Caposolofra, uno a S. Agata, uno ai Balsami dove alcuni iniziarono attività in nuovi ambiti artigianali. Tra tutti questi rami spicca quello che si formò con due dei figli di Giuseppe senior, Nicola Vincenzo e Giovanni Domenico, entrambi indoratori, il primo nella bottega del padre a Capopiazza, il secondo al Sorbo. Fu però con Giuseppe junior, figlio di Nicola Vincenzo che la famiglia fece un rilevante salto socio-economico poiché l’attività di “ornamentarista e indoratore” diventò di eccellente qualità con i membri maschi, tutti scolarizzati, mentre le donne furono filatrici e ricamatrici, un’attività che caratterizzava le ragazze della borghesia artigiana. Col nipote Antonio si ebbe il passaggio al commercio dei prodotti conciati e poi alla concia. Il figlio di costui, Domenico, nel 1842 era incluso nell’elenco degli industriali della pelle stipulato dalla Società Economica Irpina. La sua conceria, sempre secondo questa fonte, “conciava cuoi vaccini, pelli pecorine e caprine, cuoi sia del regno che stranieri ed era fornita di macchinari ed ordigni per questa attività”.

Alla linea di Domenico appartiene Vincenzo nato nel 1858, negoziante di prodotti conciari, proprietario scolarizzato i cui figli, cosa nuova ed estremamente rara per quei tempi, tutti, frequentarono la scuola e non solo quella locale che dava i rudimenti del leggere scrivere e far di conto. Si consideri che una delle figlie di Vincenzo, Antonietta, nata nel 1884, fu studiosa ed insegnate di filosofia alla Scuola Normale di Roma, come allora si chiamava l’Istituto Superiore di Magistero, dove conobbe Pirandello e la  Montessori. Qui affrontò problemi di politica femminile e di educazione liberale che espose in due pubblicazioni del 1914: La donna è uguale all’uomo? e Educazione liberale e autoeducazione.

Nella prima opera l’autrice, in tempi di affermazione del femminismo analizza, con la profondità della studiosa di filosofia e con la concretezza dell’insegnante di pedagogia, il ruolo della donna nella società. Nell’altra, seguendo l’indirizzo dato al processo educativo dalla Montessori, considera l’educazione come formazione della personalità dell’allievo secondo le sue naturali disposizioni attraverso “le vie dell’autoeducazione”. La sorella Anna, attenta lettrice di fiabe ed esperta ricamatrice, andò sposa di secondo letto nel 1913 a Flavio De Maio di Raffaele appartenente ad una delle famiglie delle Cortine di S. Agata. La interessante fotografia ritrae la coppia nella casa paterna dello sposo nel giorno del matrimonio celebrato a S. Agata dal parroco Giovanni De Maio, fratello dello sposo, mentre la celebrazione degli sponsali è descritta con dovizia di particolari nel periodico solofrano “Le Rane”. Il matrimonio, che determinò l’impianto della nuova famiglia alla Forna, vide Anna Caiafa, accudire con amorevole cura i figli di primo letto del marito e i nipoti prima di seguire la figlia Luisa, insegnate elementare, quando andò sposa fuori del suolo natio.

Nel chiedere venia di questo ricordo personale ci preme di lanciare da queste pagine un appello a quanti hanno notizie di Antonietta Caiafa, di cui abbiamo potuto fare una breve biografia pubblicata nel Dizionario Biografico degli Irpini, attingendo a pochi ricordi familiari e alle due pubblicazioni citate, che abbiamo trovato tra gli oggetti di famiglia e che ora si trovano tra i libri rari della nostra Biblioteca Comunale.

 

Mimma De Maio

Da “Il Campanile”, febbraio 2007, XXXVIII, n. 2, p. 4

 

 

Antonietta Caiafa

 

 

 

 

 

 

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