Un territorio dalle particolari caratteristiche

in un angolo della pianura campana.

 

L’incongruenza di appartenere alla provincia di Avellino

 

 

In uno dei nostri ultimi interventi su questo giornale facemmo alcune osservazioni in margine al convegno su Storia e territorio, tenuto a Solofra, che ora vorremmo completare. Quel convegno in particolare sottolineò il legame tra le caratteristiche del territorio solofrano e la sua storia. Stretto fu nel passato questo rapporto che oggi, nella complessità del nostro mondo, si perde e sfugge. Difficilmente infatti si vede l’abbraccio protettivo dei nostri monti alla sua valle che si apriva su una delle pianure più importanti di tutto il Meridione. Furono invece proprio queste due caratteristiche  - protezione ed apertura -  che legarono storia e territorio fin dall’inizio, dando, anzi, origine alla nostra storia.

Esse fecero entrare la nostra conca nell’antico Sannio, un territorio interno che tuttavia aveva bisogno di sbocchi sulla pianura, principale sede delle attività mercantili. Era però necessario che tali aperture fossero ben difese perchè i benefici del commercio non andassero a scapito della sicurezza degli insediamenti. La nostra conca fu per questo considerata, fin da quei lontani tempi, un territorio privilegiato e fu usata come sicuro luogo di sosta, attraverso il quale nel contempo poteva avvenire il contatto con le belle zone pianeggianti del salernitano.

Se ci mettiamo su uno dei tanti posti panoramici che il nostro territorio possiede e con un piccolo sforzo eliminiamo la moderna urbanizzazione, spiccano evidenti diverse sue particolarità e tra queste la funzione di protezione sia dello sperone roccioso di Castelluccia lungo le falde del San Marco sia della collinetta di Chiancarola, dalle quali inoltre si controllava l’unica via di accesso alla pianura. I Sanniti dunque usarono la nostra conca come sicura sede del loro insediamento mentre andavano a svernare con le greggi in pianura, ad essa affidarono i loro cari nelle tombe della collina di Starza, e la sentirono amica e benefica, con le sue acque e con i suoi boschi, tanto da chiamarla “luogo salubre” (salufer nella loro lingua, quindi Solofra).

I medesimi elementi difensivi acquistarono di nuovo grande valore dopo il periodo romano, quando le orde barbariche giunsero fin qui distruggendo tutto. Allora intere zone abitate furono abbandonate, intere città furono rase al suolo, come successe alla sannita e romana Abellinum, di cui si perdette persino il nome. Da noi invece non avvennero distruzioni, la nostra conca non fu abbandonata né distrutta, accolse bensì, protettiva ed ospitale, tutti coloro che fuggivano dai saccheggi e dai pericoli, mentre gli straripamenti del fiume, in località Chiusa di Montoro, creavano, con paludi ed acquitrini, una barriera invalicabile. Fu proprio l’impaludamento di questa pianura ad ostacolare le scorrerie dei barbari, che combatterono i Bizantini di Salerno per molti anni lungo le sponde del Sarno, come dicono i documenti di quella guerra. Nel nostro ambiente accogliente coloro che vi si erano rifugiati trovarono luoghi sicuri in zone naturalmente difese, sulle prime falde dei monti, dove costruirono i loro insediamenti. Ce ne furono ben due  - Le Cortine e Cortina del cerro -  protetti proprio da Castelluccia e da Chiancarola.

La stessa scelta fecero i Longobardi quando, giunti nelle contrade meridionali, inglobarono nel loro Ducato di Benevento la nostra conca, proprio perchè permetteva loro di insediarsi in un posto difeso che nello stesso tempo non impediva l’accesso alla pianura che essi avevano intenzione di conquistare. Costoro fecero di più perchè, quando decisero di occupare Salerno, trasformarono il nostro monte Pergola-San Marco in una barriera difensiva che proteggeva loro le spalle. Allora gli elementi difensivi che la natura aveva dato alla valle solofrana furono esaltati dalle fortificazioni longobarde: da una parte il castello di Serino, dall’altra l’intera collina di Solofra, più oltre il fortilizio di Montoro, cui si aggiungevano quelli di Forino e di San Severino, mentre Castelluccia controllava la via, l’unica della zona.

Due, dunque, furono i momenti in cui gli elementi difensivi della conca solofrana furono utilizzati nella nostra storia, poi venne il momento del commercio, dell’apertura verso la pianura ricca di traffici. Allora la posizione della nostra vallata si mostrò favorevole, poiché il fatto di trovarsi in un angolino della pianura evitava che fosse troppo esposta ai pericoli, che da questa sempre sarebbero potuti venire. Il commercio, che ha permesso lo sviluppo delle nostre attività artigianali, è stato agevolato, fin dall’inizio, da questa posizione defilata su una pianura, per altro molto importante, perchè lo svincolo di S. Severino permetteva il collegamento da una parte con Salerno e dall’altra con la piana del Sarno e quindi col napoletano. Il nostro commercio ha sfruttato esattamente queste due strade, secondo le opportunità: prima ci fu un intenso e fruttuoso rapporto con la grande Salerno longobarda e normanna, poi si ebbe lo speciale ed unico rapporto con Napoli quando, con gli Angioini, divenne capitale.

Si possono concludere queste riflessioni proprio partendo dal nostro naturale rapporto non queste due attivissime zone della pianura campana  - il salernitano e il napoletano -  che ci vede parte integrante, geograficamente e storicamente, della pianura in un angolo della quale ci troviamo. Possiamo quindi riflettere su quanto incongruo sia il fatto che una fascia di questa pianura, che si incunea tra le propaggini dei monti che la circondano, sia inclusa in una provincia della quale essa non ha affatto le caratteristiche. Solo dal punto di vista ecclesiastico è rispettata la nostra vera vocazione, visto che facciamo parte della diocesi salernitana. Senza scomodare tutte le motivazioni contingenti che non fecero spostare di poco, giungendo ai monti, il confine del Principato Ulteriore, che poi divenne provincia di Avellino, qui vogliamo solo fare un cenno ai danni che ci vengono da questa situazione impropria. Essi sono una “superficiale e carente comprensione della nostra realtà e della nostra storia” che deve essere vista nella prospettiva Salerno-Napoli e non in quella “irpina” da cui ci differenziamo per molti aspetti. La mancanza della giusta prospettiva determina di noi una visione distorta e senz’altro impoverita che ci danneggia e spiega i tanti errori che si sono fatti e ancora si fanno quando si parla di Solofra. Nello stesso tempo anche il territorio al quale naturalmente apparteniamo viene impoverito se, nella lettura storica, non si tiene presente la nostra realtà.

Mimma De Maio

 

 

Da “Il Campanile”, 2009 (XL, n. 12, p. 4)

 

 

 

Vai

Pagine dedicate alla geografia di Solofra

 

Pagine dedicate alla storia

 

 

 

Home

 

Altri articoli de “Il Campanile”

 

Scrivi