I legami tra Solofra e Serino

Attraverso la storia della parrocchia di San Sossio

 

 

Non tutti gli studi di storia locale consentono di fare collegamenti con la storia del territorio limitrofo. Ciò invece è permesso dallo studio recentemente pubblicato  - La Parrocchia “SS. Corpo di Cristo” in S. Sossio di Serino -  dal parroco Francesco De Simone, che raccoglie preziosi ed importanti documenti. Interessanti sono infatti i richiami con la realtà e la storia solofrana prima di tutto perché i due centri, per un lungo ed importante periodo dell’alto Medioevo, fecero parte dello stesso Archipresbiterato e del medesimo feudo. Anche prima i due territori erano stati uniti nella colonia sannita e poi romana di Abellinum (Atripalda), entrambi avevano visto il loro territorio trasformato in ager publicus per aver parteggiato per Annibale, e ancora oggi conservano molte vestigia di quel passato. Fu però nel periodo altomedievale, quando il Pergola-San Marco fu trasformato in un importante complesso difensivo al confine del Ducato longobardo di Benevento, che Solofra e Serino si trovarono fortemente unite attraverso i due castelli. Il fortilizio di Serino, centro del sistema difensivo, era in comunicazione con quello di Solofra, suo rinforzo, sia attraverso Castelluccia che attraverso Turci; persino l’avvallamento tra i monti Pergola e San Marco, significativamente chiamato Varco di Finestra e facilmente raggiungibile dal versante di Serino, fu usato per le comunicazioni. Questa unione fu in seguito consolidata da un doppio legame, ecclesiale e amministrativo. Fu infatti costituito l’Archipresbiterato di Serino, che comprendeva Solofra e che ebbe la funzione di difendere sul confine il territorio dell’episcopio di Salerno dai tentativi di ampliamento di quello beneventano. E subito dopo, quando i Normanni si impossessarono del Principato di Salerno, fu costituito il feudo di Serino, affidato dal normanno Troisio, conte di Rota e capostipite della famiglia Sanseverino, ad un ramo del suo ceppo, i Tricarico.

Il forte vincolo costituito da questa duplice unione, non diminuì quando successivamente si formarono le parrocchie perché, in tempi resi difficili dalla contingenza del governo normanno, esse risposero al bisogno di creare unità religioso-territoriali più piccole, che stessero più vicine alle popolazioni. Questa fu la funzione, non solo in tale Archipresbiterato, delle parrocchie che unirono intorno ad una chiesa le popolazioni, le quali ebbero nel diritto divino la prima regola di vita che scandiva le loro giornate e i periodi dell’anno e che fu alla base della formazione delle prime comunità di cittadini. Le chiese parrocchiali, sia a Serino che a Solofra, regolavano la scansione della giornata, proteggevano il lavoro del fedele, persino accogliendo nei loro magazzini i prodotti del territorio per metterli sotto la protezione del santo, anche dando i primi rudimenti del sapere con la lettura dei libri religiosi, i canti, l’agiografia.

Poi avvenne che questi centri religiosi, proprio perché erano legati al territorio cominciarono a distinguersi secondo le realtà locali. A Serino per esempio si ebbero chiese che raggrupparono intorno a loro più centri abitati, mentre a Solofra ogni casale ebbe un numero maggiore di chiese, cui si aggiunsero molte cappelle private. E ciò perché nel caso solofrano la chiesa ebbe la funzione di proteggere la mercatura e i suoi prodotti. La stessa funzione espletarono i numerosi monasteri solofrani, ben cinque in un centro molto più piccolo.

Fu proprio la diversa evoluzione della realtà solofrana, rispetto a quella di Serino, che portò alla divisione dei due territori anche dal punto di vista amministrativo. Ciò avvenne ad opera del feudatario di Serino Giacomo Tricarico  - siamo a metà del XIII secolo -  che costituì il feudo di Solofra, assegnandolo a sua figlia Giordana quando andò sposa ad Alduino Filangieri. Fu invece un motivo politico  - l’inimicizia tra i feudatari di Serino e Carlo I d’Angiò -  che portò all’ampliamento del territorio di Solofra a spese di quello di Serino. In questa occasione il re francese divise in due il grande casale di S. Agata, che occupava tutto il versante meridionale del Pergola-San Marco, dandone la parte più ampia, col castello e col passo di Turci, a Solofra.

Da questo momento la sorte dei due territori fu diversa, per esempio nell’uso del castello che da noi ospitò sempre le milizie e fu anche al centro di uno scontro tra i due feudatari  - il Della Marra di Serino e lo Zurlo di Solofra - quando il primo tentò, non riuscendovi, di occupare il nostro feudo. Certamente le opportunità di guadagno che le attività solofrane offrivano ad un feudatario erano allettanti, per cui i feudatari di Serino non desistettero dal tentativo di occupare Solofra, e ci riuscirono un secolo dopo con Ludovico della Tolfa. Costui, approfittando della cacciata degli Zurlo, acquistò il nostro feudo, dando inizio, per noi, ad un infausto periodo di prepotenze e soprusi, che però durò poco, poiché la comunità solofrana seppe reagire, acquistando a sua volta l’autonomia presso la corona spagnola.

Diverso fu il rapporto tra le popolazioni, sempre intenso e fruttuoso, specie con gli abitanti dei casali limitrofi, e questo anche per il fatto che Serino conservò il possesso di S. Agata di sotto fino alla fine del XVIII secolo. Molte furono le famiglie serinesi che si trasferirono in territorio solofrano e viceversa, costanti i matrimoni tra individui dei due centri, i nostri artigiani portarono a Serino l’artigianato delle scarpe e accolsero nelle loro botteghe i lavoratori delle “terre bagnate dal Sabato”, né va dimenticato lo stretto rapporto tra i Solimene e la bottega di Francesco Guarini, persino il magnifico cassettonato della Chiesa di S. Agata fu voluto dal principe Caracciolo, feudatario di Serino, per imitare quello che Francesco Guarini stava creando nella Collegiata.

Infine vale sottolineare la figura del canonico solofrano Felice Antonio Grassi, che resse la parrocchia di San Sossio dal 1769 al 1776; un breve tempo, per contrasti col sindaco del paese, ma significativo, come mostra un importante documento pubblicato nello studio da cui abbiamo preso le mosse, che descrive, nel 1776, lo Stato della Mensa della Parrocchia.

Mimma De Maio

 

 

Da Il Campanile, marzo 2007 (XXXVIII, n. 3, p. 4)

 

 

 

 

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