Lettura di 

Alle radici di Solofra

di Mimma De Maio

 

CAPITOLO TERZO

 

IL PERIODO NORMANNO-SVEVO

 

 

1. I Normanni1, venuti a gruppi nell'Italia meridionale come cavalieri di ventura2si trovarono coinvolti nelle lotte del particolarismo meridionale, combattettero infatti sia contro i Bizantini che contro i Saraceni ma anche con l'uno o con l'altro dei principi al cui servizio si erano messi3. Furono vassalli dei Longobardi4e, a causa della debolezza degli stessi capi longobardi, usarono questa condizione come base per l'unificazione dei loro possedimenti in uno stato unitario5.

Tra i principi di cui i Normanni furono sudditi troviamo quelli di Salerno a cominciare da Guaimario V nella cui politica il normanno Roberto d'Hauteville, detto il Guiscardo, entrò così profondamente che la presa di Salerno, avvenuta nel 1077, al di là dei sette mesi di assedio, fu quasi un passaggio del potere da Gisulfo II, ultimo principe longobardo, al Guiscardo. Costui si era anche imparentato con la famiglia regnante avendo sposato Sighelgaita, figlia di Guaimario e sorella di Gisulfo6.

Il nuovo principe di Salerno si presentava come una forza giovane in grado di difendere la città dai Saraceni che minacciavano la sua floridezza. bisogna dimenticare che anche il papa Gregorio VII, nella lotta contro l'imperatore Enrico IV, si poggiò sulla forza militare dei Normanni di Salerno dove si rifugiò e dove morì7.

Il passaggio fu sostanzialmente indolore perché la città continuò ad essere una grande capitale a capo dei vasti domini normanni almeno fino all'unione di tutto il meridione nel Regno di Sicilia con Ruggero II (1130)8.

Nel periodo a cavallo tra la venuta di questi guerrieri nel Principato di Salerno9 e la caduta dello stesso, la pianura di Rota-Montoro subì, come tutte le terre del Principato, profondi rivolgimenti sia perché soffrì i danni delle incursioni normanne sia e soprattutto perché il principe Gisulfo attuò nel retroterra salernitano, proprio per far fronte a quelle incursioni, opere di rinforzo. Al centro di queste c'è il potenziamento del castello di Rota10, né furono esenti i castelli di Forino e Montoro posti a difesa della pianura attraversata dalla via di comunicazione con Avellino. Si deve considerare interessato a questa opera anche il complesso difensivo del Pergola-S. Marco intorno al quale si coglie un rivolgimento viario. Il passo di Taverna-Castelluccia diventa sempre più al servizio di Montoro attraverso Banzano mentre l'arroccamento di S. Agata sarà sempre meno accessibile per via degli straripamenti nella zona di Chiusa11. Nello stesso tempo acquista maggiore sviluppo, protetta dai castelli del Pergola-S. Marco, la via di Turci che pone in comunicazione la conca di Solofra con la valle del Sabato. I Normanni al seguito del Guiscardo prima della conquista di Salerno sottrassero ai Longobardi questi capisaldi che vennero ad aggiungersi alle "nuove terre" avute dai principi12.

Tra questi guerrieri c'era Troisio13che fu presente a Salerno fin dal 1045, periodo in cui iniziarono per opera sua le usurpazioni e le distruzioni che interessarono le terre del gastaldato di Rota. Esse portarono, in seguito ad una guerra contro quel gastaldo combattuta sulla linea Montoro-Serino, alla presa del castello di Rota e al possesso di tutto il territorio. Fu quindi nominato dal Guiscardo conte di Rota nel 1061 prima cioè della caduta di Salerno.

Nel nuovo possesso di Troisio c'erano però terre appartenenti alla chiesa salernitana - tra cui quelle della pieve - che ugualmente Troisio usurpò subendo la scomunica del papa in seguito alla quale sarà costretto a restituirle14.

Tra i saccheggi e le violenze dei primi anni della conquista quelli di Troisio furono più volte denunziati tanto che i guerrieri normanni di Salerno furono considerati peggiori dei Saraceni. A ciò si deve il dissesto del territorio e l'impaludamento di parte della pianura che ne mise in pericolo la floridezza. L'alto bacino del flubio-rivus siccus restò tagliato dalla grande pianura assumendo una nuova definizione che lo fece gravitare non più su Montoro, da cui, si vedrà, sarà diviso anche amministrativamente, ma su Serino intorno cioè all'agglomerato difensivo del Pergola-S. Marco15.

Caduta Salerno Troisio fu confermato nella contea di Rota. Essa - una delle dodici in cui fu diviso il territorio normanno - comprese l'intero gastaldato omonimo fino ai contrafforti che ne avevano segnato il confine tra i principati di Salerno e Benevento. Qui subì un arresto la vivacità mercantile e si bloccò, se pur momentaneamente, il felice rapporto tra la grande città e la sua immediata campagna. Su queste terre, dove c'era stata la libera proprietà di piccoli conduttori, il comes Troisio stabilì un governo di tipo aristocratico ed indipendente arrogandosi tutti i diritti feudali, tra cui quelli di regalia che gli permettevano di estorcere quanto più poteva e che bloccarono la ricchezza produttiva della zona. Siamo infatti nel periodo di anarchia feudale che caratterizzò il primo tempo della conquista normanna16.

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1.      I Normanni ("uomini del nord", termine con cui venivano indicati tutti i popoli scandinavi che si avventuravano sui mari poi ristretto ai soli norvegesi detti anche Vichinghi) dalla Normandia vennero in Italia nei primi decenni dell'XI secolo. Erano guerrieri dotati di spirito di intraprendenza, forza fisica e capacità di difendere le conquiste. Legati da saldi vincoli di famiglia e di amicizia, avevano un concetto di organizzazione statale che dava potere a chi li guidava alla vittoria. Cfr. E. Pontieri, La meravigliosa avventura della "Gens Normannorum", in Divagazioni storiche e storiografiche, Napoli, 1960, pp.21-99.

2.      Alcuni storici li considerano avventurieri, altri li dicono pellegrini di ritorno dalla terra santa, il fatto è che l'Italia meridionale li attirò con le sue terre ubertose e le sue lotte locali.

3.      L'Italia meridionale, divisa in ben nove parti in profonda crisi, favorì l'occupazione normanna, in seguito sostenuta anche dal papato che vide in loro una forza fresca da utilizzare contro il diffondersi della chiesa greca.

4.      Il duca di Napoli favorì il loro insediamento a Capua, con Rainulfo di Drengot che fu conte di Aversa (1030), e il principe di Salerno in Puglia, con Guglielmo d'Hauteville (Altavilla) detto Braccio di ferro che fu conte di Melfi (1042). Guglielmo, Dragone e Umfredo furono i primi fratelli Altavilla, figli di Tancredi, a venire in Italia.

5.      I Normanni non erano venuti con propositi di fondare uno stato ma solo di inserirsi nella società meridionale. Fu per la personalità di altri figli di Tancredi, Roberto e Ruggero, che si giunse all'unificazione.

6.      Cfr. M. Schipa, Il principato di Salerno..., p. 561. Sarà questa posizione a permettere a Roberto di unire le terre del Principato con quelle della Puglia tenute dai fratelli. In Salerno c'era un accentuato spirito filo-normanno che portava a vedere nel Guiscardo un continuatore della politica del suocero e a sperare nella liberazione dalla tirannia di Gisulfo.

7.      La politica della Chiesa nei riguardi dei Normanni, all'inizio di opposizione (Leone IX), cambiò col Concordato di Melfi (1059) quando Niccolò II riconobbe le conquiste di Roberto affidandogli le guerre contro i Bizantini e i Saraceni. Gregorio VII, assediato in Roma dall'imperatore - siamo nel pieno della lotta per le investiture - , fu liberato da Roberto il Guiscardo (1084)

8.      Cfr. C. Carucci, La provincia di Salerno... pp.304 e sgg. In questo frangente molto importante fu l'opera del vescovo di Salerno, Alfano, che si adoperò affinché il passaggio avvenisse senza traumi.

9.      A Salerno i Normanni giunsero tra il 1015 e il 1016 (cfr. F. Hirch-M Schipa, Langobardia meridionale, Roma, 1968, p.180 e sgg.).

10.  Cfr. G. Portanova, I Sanseverino e l'Abbazia cavense (1061-1384), Cava, 1977, pp. 22 e 31 e sgg. In questa pianura il vescovo Alfano dette a Gisulfo alcune fortificazioni ed ebbe in cambio delle chiese che entrarono nell'opera di ristrutturazione messa in atto dalla chiesa di Salerno in questo periodo di passaggio di cui si parlerà (Cfr. G. Crisci, op. cit., pp.192-193).

11.  Cfr. AD, 17. In questo documento, del 1102, il notaio citando la "via antica" la definisce "incongrua ad andandum". A Montoro invece una località detta Strata nei pressi di un tribeo indica presumibilmente la comunicazione con la valle del Sabato e il citato spostamento (AD, 18).

12.  Cfr. S. Tramontana, I Normanni in Italia: Linee di ricerca sui primi insediamenti, I, Messina, 1970. Vale la pena ricordare il grande rivolgimento subito dalle terre del bacino che si sta studiando di cui si è parlato nel cap. II.

13.  Cfr. G. Portanova, op. cit., pp.31-43. Troisio, che venne a Salerno insieme al fratello Angerio (capostipite dei Filangieri), dette inizio alla famiglia dei Sanseverino sulla quale il Portanova ha condotto un pregevole studio che si tiene presente in questo tratto

14.  Ibidem. Anche in questo frangente rilevante fu l'azione del vescovo Alfano che ottenne da Alessandro II la scomunica per i guerrieri normanni (Cfr. P. F. Kehr, Italia Pontificia, VIII, 14 e 351; F. Ughelli, Trogisius..., VII, pp. 382-384 e 571; G. Crisci, op. cit., pp. 187-212).

15.  Questo agglomerato - si è visto chiamato "Serrina de ripilea" - coll'abitato naturalmente difeso, essendo un punto fortificato sulla valle del Sabato, anche in questo periodo acquisterà una valenza particolare. V. infra.

16.  Cfr. G. Portanova, op. cit., pp.31-42. Bisogna considerare che in questa fase iniziale le terre, divise in contee di grandi estensioni, erano tenute come proedia bellica e che questi primi conquistatori-feudatari potevano tenere uomini armati.

 

 

 

 

 

2. In questo travagliato periodo, in cui si disgregavano le antiche strutture del potere, la Chiesa di Salerno, che nell'entroterra era rimasta la sola autorità sicura, per essere più vicina alle popolazioni mise in atto un intenso programma di riforma sostenuto dal papato che intervenne con Bolle e Concili, elevò l'episcopio salernitano a sede primaziale, per dare unità ed indirizzo all'opera di innovazione poggiandosi anche sull'aiuto dei Normanni1.

Il sistema plebano, che aveva caratterizzato l'organizzazione territoriale religiosa della pianura di Salerno, si mostrava ora inadeguato ai bisogni delle popolazioni. Esse divenute più numerose erano alla ricerca di una loro identità intorno ad un nucleo religioso che fosse il segno distintivo di un determinato territorio. Si sentì perciò la necessità di creare entità territoriali più ristrette a cui le popolazioni si potessero rapportare direttamente e che furono le parrocchie2. A ciò si aggiunse l'esigenza di ripristinare il servizio nelle chiese e nei benefici sottratti all'episcopio, di regolamentare l'ingerenza laica nella vita ecclesiastica e di ricostruire le diocesi là dove si erano estinte, interventi che dovevano sanare il degrado che la rottura di delicati equilibri aveva prodotto3.

In questo quadro trova ragione la ristrutturazione che fece il vescovo Alfano dell'intero territorio della diocesi che fu diviso in 13 distretti in rapporto al popolamento. Era necessario, per supplire alla debolezza del controllo politico, mantenere la giurisdizione ecclesiastica legata al territorio e assicurare su di esso un clero gerarchicamente subordinato ai poteri dell'ordinario.

Nella pianura a nord-nord-est di Salerno ci furono ben cinque distretti tra cui quelli di "Montorii" e di "Furini et Sirini"4. Quest'ultimo, unico distretto molto più grande degli altri, si spiega col fatto che, approfittando del disordine causato dall'occupazione normanna, l'arcivescovo di Benevento Roffrit aveva rivendicato proprio i territori di Serino e di Forino posti sulla linea di confine tra i due ex-principati longobardi. Alfano li unì per sottolineare la loro appartenenza, anche territoriale e amministrativa, a Salerno5.

In questo distretto, che si configura come un polo territoriale-religioso, è inglobata la chiesa di S. Angelo e S. Maria del locum Solofre che, non più punto di riferimento di un territorio spopolato, è diventata sede di una parrocchia6.

A tale prima ristrutturazione ne seguirà un'altra nella seconda metà del XII secolo in "archipresbiterati", cioè in nuclei di parrocchie organizzate intorno ad un centro religioso preminente. Questa divisione, che si era resa necessaria per il proliferare di nuove chiese, portò alla scissione del distretto di "Furini et Sirini" in due archipresbiterati facenti capo uno a Forino e l'altro a Serino. Quest'ultimo si estendeva a tutto l'alto bacino del flubio-rivus siccus e comprendeva le parrocchie di S. Agata e di Solofra7. Bisogna tener presente, per considerare il valore territoriale-religioso dell'ordinamento ecclesiastico nell'organizzazione del contado, che la nuova realtà rispecchia la suddivisione feudale che aveva subito l'intera zona8. La corrispondenza tra l'organizzazione ecclesiale e quella politica permetterà ai gruppi che abitano sullo stesso territorio intorno ad una chiesa, uniti da fini e interessi comuni, di amalgamare le norme della vita ecclesiale con gli usi e i costumi propri agevolando il processo di maturazione verso forme più complesse di vita comunitaria.

L'opera di riforma della Chiesa di Salerno tenne presente la nuova realtà venutasi a creare nella pianura alle spalle di Salerno e cioè la crescita del cenobio di Cava a cui erano state donate chiese e terre. Verso l'abbazia metelliana la politica dell'episcopio salernitano, prima ostile, cambiò visto che essa si affermava come punto di riferimento per l'encardement delle campagne e come recupero delle popolazioni rurali alla vita liturgica9.

Si venne a creare un intenso rapporto tra organizzazione ecclesiastica del contado e monachesimo il tutto legato al fenomeno dell'incastellamento per la difesa delle terre e alle istanze economiche dello sfruttamento intensivo di esse.

Le terre della chiesa di Salerno e di Cava furono governate da ciascuna di queste autorità e ciò fu sancito e agevolato da vari privilegi, soprattutto di natura economica, sia al tempo di re Ruggiero che di Federico II10.

Poiché le terre di Solofra dipendevano parte da Cava e parte da Salerno la comunità ebbe rapporti con entrambi i centri religiosi che furono importanti poli di sviluppo socio-economico11.

 

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1.      Importante fu il Sinodo di Salerno del 1067 a cui parteciparono il vescovo Alfano, Ildebrando di Soana (il futuro Gregorio VII), Desiderio di Montecassino, il principe Gisulfo, Roberto il Guiscardo e suo fratello Ruggiero e che sancì definitivamente l’amicizia della Chiesa con i Normanni, la Santa sede sostenne l’aggregazione ecclesiastico-territoriale di Salerno come argine all’espansione della chiesa greca (G. Crisci, op. cit., pp. 218 e sgg.).

2.      La parrocchia è il centro di un distretto ove si esercita una giurisdizione ecclesiastica, la cura animorum sulle popolazioni. Le parrocchie furono organizzate alla fine dell'XI secolo per una più ordinata amministrazione dei beni dell'episcopio salernitano in un periodo di disordine politico (Cfr. B. Ruggiero, Parrochia..., pp.176 e sgg.).

3.      Cfr. G. Crisci, op. cit., pp. 180-181. Fin dalla fine del X secolo il papato aveva cercato di controllare i fermenti di autonomia dall'autorità del vescovo, che portavano al lassismo spirituale e morale, con la concessione al vescovo Amato della facoltà di reggere e governare le chiese e i monasteri fondati da principi e gastaldi. Leone IX inoltre fu a Salerno per sanare, col Sinodo del 1050, la piaga della simonia.

4.      B. Ruggero, Per una storia..., pp.64-65. Gli altri distretti furono quelli di "Nuceria", "Sancti Georgi" e "Sancti Severini".

5.      B. Ruggero, Per una storia..., pp.64-65. Gli altri distretti furono quelli di "Nuceria", "Sancti Georgi" e "Sancti Severini"

6.      Ibidem. La trasformazione della pieve di Solofra in parrocchia portò alla caduta dell'intestazione a S. Maria. La parrocchia avrà, come la chiesa, la sola denominazione di S. Angelo a completamento della trasformazione individuata fin dal secolo prima (V. cap. II). La caduta della seconda intestazione è dimostrata anche dal fatto che sul retro della pergamena della pieve "con una beneventana molto calligrafica", databile in questo periodo, si legge "brebe di S. Angelo" (Cfr. B. Ruggiero, Potere..., p. 88).

7.      P. F. Kehr, op. cit., 45, 358. Nel 1169 Alessandro III confermò all'Arc. di Salerno la divisione. Nel frattempo la parrocchia di S. Agata si era arricchita della chiesa di S. Andrea, quella di Solofra della chiesa di S. Croce. V. PII

8.      V. infra. Nella divisione territoriale normanna Solofra graviterà su Serino.

9.      Lo sviluppo del cenobio cavense, a cui non furono estranei gli ultimi principi di Salerno, Guaimario e Gisulfo, che concessero immunità e poteri giurisdizionali, comincia nel 1025 (CDC, V, n. 754) ma si intensifica nella seconda metà del secolo quando tutte le terre di S. Massimo e la stessa chiesa venne assorbita da Cava. Cfr. B. Ruggero, Per una storia..., pp. 65 e sgg.; Id., Principi nobiltà..., pp. 81 e sgg., 197 e sgg.

10.  Importante fu il Sinodo di Salerno del 1067 a cui parteciparono il vescovo Alfano, Ildebrando di Soana (il futuro Gregorio VII), Desiderio di Montecassino, il principe Gisulfo, Roberto il Guiscardo e suo fratello Ruggiero e che sancì definitivamente l'amicizia della Chiesa con i Normanni. La santa sede sostenne l'aggregazione ecclesiastico-territoriale di Salerno come argine all'espansione della chiesa greca (Cfr. G. Crisci-A. Campagna, op. cit., pp. 45 e sgg.; G. Crisci, op. cit., pp. 218 e sgg.).

 

 

 

 

3. Da Troisio, che si chiamò di Rota, la contea nel 1081 passò al figlio Ruggiero I col quale inizia la dinastia dei Sanseverino, nome che avrà da questo momento il castello di Rota1.

Ruggiero I, che aveva sposato una principessa longobarda, governò nella contea fino al 11252. Le terre del bacino del flubio-rivus siccus ne costituirono la zona orientale che giungeva fino a Serino (usque Serrina de Ripilea)3 e che ebbe come centro Montoro, sede di un suffeudo in mano al figlio Roberto I4.

Nella parte occidentale della contea, che aveva come centro il castello di Rota, Ruggiero si associò Enrico5 che alla morte prematura del fratello Roberto, avvenuta nel 1119, pretese, vivente ancora il padre, il governo delle terre di costui a scapito del nipote Roberto II6, ancora minorenne e affidato alla madre Sarracena7.

La rivendicazione, all'inizio contenuta - Ruggiero fu infatti presente agli atti riguardanti tali possedimenti fino al 11218 - , portò, morto il genitore, alla divisione della contea. Ad Enrico andò S. Severino e una parte di Montoro, quella pianeggiante col castello9. A Roberto II, col quale si formerà il ramo dei Caserta-Tricarico, andò Serino-Solofra e l'altra metà di Montoro - il vico di S. Agata - che formeranno una nuova realtà territoriale, intorno al Pergola-S.Marco10.

Le traversie della contea di Rota si inquadrano nel travagliato periodo di anarchia - una parte del quale si è visto con Troisio - che precedette l'unificazione dei territori normanni e in cui il sistema feudale non si era ancora irrigidito nelle forme stabilite dalla monarchia di re Ruggiero II11. In questo periodo infatti chiese, monasteri e signori laici esercitavano ancora sulle masse rurali, direttamente e a vari livelli, larghissimi poteri fiscali e militari a cui si aggiungeva il controllo sul territorio. C'era una precarietà diffusa circa il diritto di giudicare gli abitanti, visto che le terre erano sottoposte a vari proprietari, che fece avvertire la necessità di riorganizzarle e il bisogno di precisare chi fosse titolare di tali diritti. Questo fu l'impegno dei principi normanni e della Chiesa di Salerno che continuò la già intrapresa azione a favore delle popolazioni.

Nella contea di Rota in questo periodo di disordine spicca il buon governo di Ruggiero I Sanseverino, che amministrò con saggezza le sue terre nominando suoi adepti a reggerle o garantendo il possesso fondiario12. Soprattutto iniziò quella politica a favore di chiese13 e monasteri che sarà la caratteristica del governo normanno. Il comes Ruggiero si qualifica altresì per le elargizioni fatte al cenobio di Cava di cui sarà strenuo difensore14 ponendosi in quella linea di accorta politica a sostegno delle popolazioni di cui si è detto.

L'incardinamento religioso dell'entroterra salernitano a favore del monastero di Cava, poi anche di Montevergine, se era una risposta alle necessità del suo popolamento e alla conseguente maggiore vivacità, dall'altra introduceva un sistema che diverrà una tendenza generalizzata - si assiste a donazioni anche da parte di piccoli proprietari15 - , quella cioè di porre le terre sotto la protezione del grande ente religioso all'ombra delle cui immunità le forze locali, accanto alla mutua dipendenza di occupazioni e rapporti, potevano dare più fecondo incremento alle attività produttive. Basti pensare al grande significato che ebbe la donazione del porto di Vietri fatta da Ruggiero al cenobio perchè ne sottolinea le capacità e ne indica le prospettive connotando comunque la valenza economica dell'Abbazia16.

Ruggiero inoltre non disdegnò di favorire l'aristocrazia longobarda a cui i Normanni si affiancarono, laddove non si sostituirono, e a cui dettero incarichi di fiducia portandoli a far parte della nuova burocrazia17.

Con Ruggiero si ha un ritorno della situazione socio-econo-mica ai valori precedenti la conquista. Riprende il moto dalla campagna alla città, riprende la vocazione alla integrazione tra questi due elementi che erano stati la caratteristica del periodo precedente.

 

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1.      G. Portanova, op. cit., pp. 23-27. Il territorio della contea continuò a chia-marsi "rotense finibus" o "di Rota" fino a perdere gradatamente l'antica denominazione.

2.      Ibidem, pp. 44 e sgg.; GB, p. 573. Ruggiero, che è chiammato "Rogerius senior de castello Lauri, qui de Sancto Severino", è presente nei documenti dal 1081 al 1125 quando si ritirò a Cava dove si fece monaco e dove morì nel 1129. Dalla moglie Sikelgarda, figlia di Landolfo, fratello dello spodestato Gisulfo II, ebbe molti figli dei quali qui interessano Roberto ed Enrico.

3.      A. Di Meo, V, 943. Il tenimento che qui si indica col nome di Serino ("usque Serrina de Ripilea") comprendeva il complesso montuoso del Pergola-S. Marco e il castello "que vulgo Serino dicitur" (AD, 29), che era l'estremo punto del gastaldato di Rota.

4.      Cfr. G. Portanova, op. cit., pp. 47 e sgg. ; F. Scandone, L'alta valle del Calore, I, Napoli, 1911, pp.21-23; G. Tescione, Caserta medievale e i suoi conti e signori, Marcianise, 1965, p. 17. Roberto I, chiamato "dominus et habitator castelli qui dicitur Laure" è presente nei documenti tra il 1109 e il 1119 quando si ha notizia del matrimonio con Sarracena e della sua morte. Si sa di un'investitura da lui fatta nel castello di Montoro a Guglielmo Carbone di Monteforte (1109) alla quale era presente il padre Ruggiero e varie persone della corte di Ruggiero e di Roberto: Petrone de Raimone, i fratelli Robert, Erberto e Ugo chiamati "caput asini", Ugo de Silla, Roberto de Sessa, Roberto de Salerno, Falco de Marancio, Giovanni presbiter de Banzano, Petro presbiter de Maraldo (alcuni di questi nomi si riscontrano anche a Solofra e a S. Agata, v. PII). Roberto ebbe un vicecomes, Giovanni, anche a Montoro.

5.      Enrico è presente nei documenti fino al 1150. Tra i suoi discendenti, che non interessano il tenimento di cui si sta parlando, ci sono i più importanti rappresentanti dei Sanseverino (Cfr. CB, pp. 120, 271, 509).

6.      In un documento del 1121 (AD, 20) si coglie chiaramente la sottolineatura di Enrico che si firma "filius et heres predicti domini Roggerii".

7.      Sarracena è la prima feudataria del tenimento di Serino-Solofra dopo il distacco dall'ampia contea di Rota (Cfr. AD, 23 e 24).

8.      La raccolta documentaria di F. Scandone (Documenti..., pp. 374-375) attesta la presenza di Ruggiero tra il 1090 e il 1121. V. pure AD, 20.

9.      Nel 1129 Enrico è chiamato "senioris filii quondam Rogerii de S. Severino" (F. Scandone, Documenti..., p. 372) lo si può considerare in questa data impiantato nel feudo. Con Enrico ha inizio la dinastia dei Sanseverino-Marsico dopo l'ampliamento del feudo primitivo. Da questo momento Solofra risulta staccata da Montoro. Qui nel 1130 si trova un Rao de Raele, forse usurpatore o sueffedario di Enrico che invece sarà nel castello di Montoro nel 1140 (cfr. G. Portanova, op. cit., pp. 79 e sgg.).

10.  Cfr. G. Tescione, Caserta..., pp. 17 e sgg; CB, 271-275; G. Portanova, op. cit., pp. 78 e sgg. Da questo momento, tranne alcuni eventuali aggiustamenti, il territorio di S. Agata farà parte del tenimento di Serino. In tal modo si forma la realtà autonoma di Serino che si ingrandirà con il dotario coniugale fatto a Sarracena da Simone de Tivilla il quale era feudatario, tra l'altro, di tutto il restante territorio di Serino. Vale la pena richiamare la citata organizzazione ecclesiastica avvenuta in questo territorio e cioè la formazione dell'Archipresbiterato di Serino che rispecchia la nuova dimensione territoriale.

11.  Con Ruggiero II di Sicilia prevalse lo spirito unitario normanno che contraddistinguerà il Mezzogiorno con una storia sé.

12.  È il caso dei fratelli Giovanni e Roberto fu Salerno (forse una famiglia di S.Agata) che avevano avuto i beni confiscati da Troisio e che furono reintegrati nei loro possedimenti (Cfr. F. Scandone, Documenti..., p. 372).

13.  Vale per tutti citare le disposizioni a favore della chiesa del Salvatore di Montoro (AD,17).

14.  Ruggiero fece varie donazioni tra Banzano e S. Agata (oltre a quelle nel più ampio tenimento di Montoro) che furono confermate e integrate tra il 1102 e il 1121 e furono protette, infatti quando nel 1114 i suoi vassalli fecero angherie nelle terre di Cava egli garantì per loro (Cfr. G. Portanova, op. cit., pp. 44 e sgg.; F. Scandone, Documenti..., pp. 372-373). V. pure PII.

15.  Cfr. F. Scandone, Documenti..., pp. 371 e sgg. e AD.

16.  Cfr. N. Cilento, Poteri e strutture nell'Italia meridionale del sud, Salerno, 1981. Ai fini del discorso che qui si conduce vale sottolineare la donazione a Cava delle apotheche costruite fuori la città di Salerno che farà Guglielmo di Caserta (1183), comes di Montoro (cfr. G. Tescione, op. cit., pp. 121-122).

17.  Su questa linea si colloca la nomina a vicecomes di Serino, di Guiso di S. Agata, appartenente all'aristocrazia longobarda essendo il padre un gastaldo (AD, 18).

 

 

 

 

4. Dopo la divisione della contea di Rota il tenimento di Serino con S. Agata e col territorio di Solofra fu governato per un lungo periodo da Sarracena prima per la minore età del figlio Roberto II poi per l'assenza di costui dovuta alla sua partecipazione alla guerra in Sicilia e alla conseguente prigionia1.

Durante questo periodo Sarracena sposò prima Roberto Capomazza poi Simone de Tivilla, il potente feudatario di Montella, che le costituì come dotario una parte del territorio di Serino2 che, alla morte di costui, fu da lei unito a quelli gestiti per il figlio3.

Il governo di Sarracena si pone sulla linea seguita dal suocero Ruggiero infatti ella sostenne l'incardinamento religioso di Solofra con donazioni al cenobio di Cava4 che si affiancarono o furono il completamento di altre donazioni fatte da possidenti locali5 e che esprimono la ricerca di un punto di riferimento sicuro in un momento in cui la Chiesa di Salerno era dilaniata dallo scisma di Anacleto II6, ricerca interessata perché Cava si profilava come centro di smistamento dei prodotti della campagna ora che questa era già entrata nel circuito degli scambi.

L'introduzione di Solofra nella sfera cavense risponde infatti all'esigenza di ripresa sentita in questo periodo dalla sua comunità che partecipa alla vivacità commerciale legata ai prodotti della terra e della pastorizia ed ora anche, e in maggior numero, alle attività artigianali una volta naturale complemento della vita dei fondi. Nel ripreso e benefico rapporto di queste campagne con le zone pianeggianti e costiere la curtis mostrava tutta la sua inadeguatezza7.

Durante il governo di Sarracena, Ruggiero II di Sicilia, che aveva unito tutte le terre conquistate dai Normanni in un unico regno a rigida struttura feudale ma favorevole alle popolazioni cui dava un fondamento di potere8, indisse un parlamento generale ad Ariano dove divise il regno in due Capitanie e 11 Giustizierati - il tenimento di Serino con Solofra e S. Agata appartenne al Giustizierato Principato e terra beneventana9 - che erano province amministrativo-giudiziarie10.

Ad Ariano re Ruggiero impose ai feudatari di esibire le concessioni feudali per regolare la vita del nuovo regno e il sistema di divisione dei feudi. In questa occasione i Sanseverino videro confermata la costituzione dei due rami e l'assegnazione dei feudi che ad essi facevano capo. Nei rapporti tra i signori e la popolazione le cose cambiarono sia perché i feudatari perdettero il potere indiscriminato fino ad allora imposto ai vassalli sia perché furono aboliti molti abusi. Essi furono considerati usufruttuari del demanio regio infatti non potevano disporne, inoltre non esercitavano la giustizia, fatta dai Giustizieri in nome del re, né riscuotevano le imposte, richieste dai Camerari direttamente alla comunità dei cittadini11.

Questa struttura statale dette valore alle comunità dei cittadini che, sciolte dai rapporti con i feudatari, dovettero organizzare la vita comune. Si ebbe così una forte spinta alla costituzione delle Universitas, cioè all'organizzazione degli abitanti che vivevano sullo stesso territorio. La loro vita comunitaria era già regolata da usi e consuetudini che ricevevano forza dal fatto che non erano scritti ed erano riconosciuti da ogni membro come nucleo fondante della stessa comunità. Le consuetudini delle popolazioni costituirono la base degli Statuti delle Universitas e, poiché le regole comuni riguardavano per la maggior parte le attività produttive, venne favorita la vita economica12.

La comunità di Solofra, sviluppatasi intorno alla pieve di S. Angelo e S. Maria divenuta parrocchia e dove nel periodo longobardo aveva preso corpo un sistema di regole comuni, sotto la spinta della nuova organizzazione amministrativo-giudiziaria, trovò nei modelli di vita che si erano andati definendo ab antiquo, scanditi dalle feste religiose e che soddisfacevano bisogni comuni, un corpus iuris legato al diritto ecclesiastico, che ha maggior valore perché all'interno del ius divinum e che sarà la base della nuova realtà civile13.

Col nuovo sistema tributario insomma la comunità dovette procedere alla divisione del carico fiscale e alla raccolta dei tributi, regolare i rapporti con gli ufficiali del re. Dovette soprattutto crearsi un luogo comune dove esercitare la giustizia infatti se pur in questo primo periodo non ebbe giudici propri ebbe senz'altro una curia14. Essa mandava i suoi homines idonei, cioè persone adatte allo scopo di testimoni o di fideiussori, a rappresentare prima singole persone poi l'intera popolazione. Da queste persone, espressione di rapporti civili legati ad una vita semplice ma ritenuta degna, si parte nella organizzazione della vita comune. Sono essi che rappresenteranno in seguito la comunità civile15.

La costituzione delle autonomie locali fu favorita dunque dai Normanni che non abolirono il diritto di proprietà, concessero franchigie e permessi, favorirono le attività economiche e artigianali, misero cioè le comunità in grado di autogestirsi. Persino la dipendenza personale nel campo del lavoro favorì la vita in comune.

 

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1.      CB, 271-275. Roberto II, che ebbe tra i figli Ruggiero, Guglielmo e Riccardo (morto nel 1183) e che fu "magister comestabulus et magister justitiarius totius Apuliae et Terrae Laboris", rese importanti servigi sia a re Ruggiero II di Sicilia che a Guglielmo I il Malo e a Guglielmo II il Buono, perciò i suoi feudi si ingrandirono con Caserta e Tricarico. V. la citata opera di G. Tescione (pp. 18-26) che corregge anche qualche errore fatto in proposito dallo Scandone.

2.      Cfr. CB,187-191; F. Scandone, L'alta valle..., II, pp. 165 e sgg, doc. I e II. Simone de Tivilla apparteneva ad una famiglia normanna il cui padre, Guglielmo, teneva un feudo costituito da Nusco e Montella oltre che da gran parte dell'alta valle del Sabato. La concessione del dotario a Sarracena - Serino fu l'unico territorio che non passò al fratello del Tivilla - si spiega col fatto che costei possedeva la parte di Serino più importante perchè fortificata (quella intorno al Pergola-San Marco).

3.      Con Sarracena il territorio di Serino raggiungerà la sua configurazione naturale e sarà il centro del tenimento (Cfr. A. Di Meo, X, p. 252; F. Scandone, L'alta valle del Calore, II, pp. 165 e sgg.).

4.      Si ha testimonianza di una prima donazione fatta nel 1159, confermata nel 1164 dalla stessa Sarracena e nel 1178 dal figlio Roberto. Il documento è importante perché conferma Serino come centro del feudo (è anche centro dell'Archipresbiterato) nel cui castello ha sede la corte, soprattutto attesta a Solofra una vita comune organizzata secondo usi e costumi propri infatti le terre sono donate cum omni eorum jure (AD,23).

5.      Nel 1132 Guglielmo di Maginulfo (figlio di Romualdo) donò una delle sue terre tra S. Agata e Solofra al monastero riservandosene l'usufrutto (AD, 16). Altro possidente locale che pose le sue terre sotto la protezione di Cava fu Martino de Urso de Sasso (AD, 24). V. pure A. Di Meo, X, p. 284.

6.      Salerno fu al centro dello scisma di Anacleto II che lottava contro Innocenzo II e che ebbe come alleati molti conti normanni mentre i Sanseverino di Solofra-Serino si tennero lontani.

7.      Cfr. PII, par.3.

8.      Nel 1127 Ruggiero d'Altavilla, unendo sotto un'unica corona l'intero Meridione, trasformò i feudatari in suoi dipendenti.

9.      Tale Giustizierato comprendeva le terre dei due principati senza Salerno e senza gran parte del territorio di Benevento inglobato nello Stato della Chiesa.

10.  Le Capitanie, una per l'Italia peninsulare (dal Tronto a Roseto calabro) l'altra per l'Italia insulare (da Roseto alla Sicilia), erano rette da un Capitano o Maestro-giustiziere. I Giustizierati, retti da un giustiziere (a cui erano sottoposti anche i feudatari) assistito da giudici e da notai, impedivano la disgregazione feudale. Il nuovo regno ebbe un quadro di leggi che uniformavano l'amministrazione della giustizia ed avrebbero dovuto eliminare gli abusi feudali. Organo supremo era la Magna Curia (composta da 5 grandi ufficiali), corte di giustizia ed organo amministrativo-giudiziario. C'erano pure le Curie Generali, cioè parlamenti convocati saltuariamente e in luoghi diversi, a cui prendevano parte i feudatari del regno e i rappresentanti delle Universitas.

11.  Cfr. D. Winspeare, Storia degli abusi feudali, Napoli, 1888, pp. 15 e sgg. Ogni feudo fu sottoposto inoltre ad un servizio militare.

12.  Cfr. F. Calasso, La legislazione statuaria dell' Italia meridionale, I, Bologna, 1929. La forza delle consuetudini nasceva anche dal fatto che erano legate alla vita comune sviluppatasi intorno alla chiesa che è il nucleo primitivo e forte di ogni comunità. Il lasciare le antiche consuetudini permise il consolidarsi dell'identità delle popolazioni. (Il governo cittadino esisteva fin dal tempo dei Romani ma allora si estendeva a tutta la colonia, con i Longobardi a tutto il Gastaldato, con i Normanni, prima della riforma, si riferiva al centro del feudo).

13.  V. i documenti in AD dove è chiara la base consuetudinaria che regola la vita degli abitanti del luogo.

14.  Cfr. AD, 26. Si può porre in questo periodo la maturazione della Universitas solofrana sia per l'esistenza della curia sia poiché al tempo di Federico II si ha di essa un atto che mostra una consolidata maturazione del concetto di comunità organizzata. Vale la pena anche considerare che in questo periodo tanto Solofra quanto S. Agata sono chiamate vico il cui termine indica che la località è diventata una unità tributaria. Cfr. F. Faraglia, Il comune nell'Italia meridionale, Napoli, 1881; A. Alianelli, Delle consuetudini e degli Statuti municipali delle province napoletane, Napoli, 1783.

15.  Per gli homines idoneis di Solofra v. PII e AD. V. pure G. Galasso, Le città campane.... cit., pp. 39 e sgg.

 

 

 

 

 

5. Nonostante le leggi di Ruggiero, gli accaparramenti e i soprusi tra i feudatari normanni ripresero con i successori, soprattutto sotto il governo di Guglielmo I il Malo (1154-1166).

In questo periodo riesplose il contrasto tra i Sanseverino di Caserta - e ora anche di Tricarico - , e quelli di Sanseverino-Marsico quando un discendente di quest'ultimo ramo, il figlio di Enrico, Guglielmo, per aver partecipato ad una congiura contro il re, ebbe confiscati i beni che furono incamerati dalla corona e dati proprio al cugino Roberto II di Caserta-Tricarico che li aveva a lungo rivendicati inutilmente e che era rimasto fedele al re1. Ma alla morte di Guglielmo il Malo però il Sanseverino di Marsico fu reintegrato nei suoi beni dal successore Guglielmo II il Buono (1166-1189) per cui Roberto II, insieme al primogenito Ruggiero II, si recò a Messina - siamo nel 1168 - per ripetere la rivendicazione2. I due Sanseverino di Caserta-Tricarico non ebbero ragione, si videro solo confermati nei loro possessi con l'aggiunta del restante territorio di Montoro3. Alla morte di Roberto II di Caserta-Tricarico (1183) i suoi figli si divisero il feudo more Langobardorum. A Ruggero II andò Tricarico con Serino (e quindi S. Agata e il territorio di Solofra)4 a Guglielmo andò Caserta, Stringano e metà Montoro cioè senza il tenimento di S. Agata5. Si è nel periodo in cui il territorio della diocesi di Salerno, diviso in Arcipreture, come si è visto, vede la parrocchia di S. Angelo, insieme a quella di S. Agata far parte dell'Archipresbiterato di Serino.

Di Ruggiero II, che morì intorno al 11896, si conosce il figlio Giacomo7e si sa che assegnò a Giordano molto probabilmente il suo secondogenito, il casale di Solofra8. Giordano però morì presto9 per cui il feudo ritornò a Giacomo il quale dovette affrontare un'inchiesta della Magna Curia in seguito alla richiesta dell'Universitas di Solofra di decadenza del potere feudale sul casale10.

Inizia alla fine del XII secolo il periodo più difficile della monarchia normanna di Sicilia infatti, morto Guglielmo II il Buono senza eredi, il trono, che sarebbe passato a Costanza, ultima degli Altavilla ma sposa dell'imperatore di Germania Enrico VI figlio di Federico Barbarossa, fu conteso tra Tancredi, un fratello naturale di Costanza, preferito dai Normanni, e lo stesso imperatore11. Di questo scontro fece le spese Salerno dove si era rifugiata Costanza che fu tradita e consegnata a Tancredi suscitando le ire dell'imperatore. Costui scese in Italia (1191) ven-dicandosi con deportazioni, saccheggi e distruzioni che toccarono profondamente la piana di Rota-Montoro12.

Le cose peggiorarono durante la minore età di Federico II, sotto la tutela della madre Costanza (1197-1198) e poi del papa Innocenzo III (1198-1208) quando si aprì un periodo di anarchia di cui approfittarono sia i militari tedeschi, che presero a scorrazzare per il regno, che i feudatari che imposero vessazioni e soprusi. Anche le terre dell'episcopio di Salerno per l'assenza dell'arcivescovo, nonostante i privilegi di cui godevano, furono teatro di arbìtri e manomissioni di beni per cui quando l'arcivescovo ritornò, nel 1200, dovette riorganizzare profondamente la disciplina delle parrocchie13. Le terre dipendenti da Cava, garantite anch'esse da diplomi e privilegi ma più protette dalla fama della grande Abbazia, godettero invece di una relativa pace che favorì il processo di sviluppo economico.

Quando Federico II uscì dalla minore età e fu eletto re (1201-1202) dovette ristabilire l'autorità della monarchia e potette farlo meglio di re Ruggiero le cui Costituzioni erano rimaste in gran parte inascoltate. Soprattutto dovette mettere ordine nell'anarchia feudale degli ultimi anni. Per far ciò convocò a Capua un parlamento generale (1220) dove esaminò tutti gli atti deliberati durante la sua minore età e dove ascoltò sia le lamentele dei rappresentanti delle Universitas contro i feudatari sia le pretese dei feudatari14.

Due anni dopo a Melfi l'imperatore svevo emanò le Costituzioni in cui ridefinì i rapporti tra i feudatari e i vassalli e ristrutturò l'amministrazione dei Giustizierati che furono diretti da funzionari da lui nominati e stipendiati con l'obbligo di controllare l'amministrazione delle cause minori che si svolgevano nelle corti locali15. Le cause maggiori furono invece avocate alla Corte reale dove c'era la Magna Curia16. Le terre ecclesiastiche ebbero il privilegio della giurisdizione sui vassalli. Così fu nel territorio che si sta studiando dove la giustizia fu esercitata a seconda della situazione da Cava o dall'episcopio di Salerno17. Ciò che qui è importante sottolineare è che questi privilegi furono anche di natura economica18 il che sostenne la definizione che avevano acquistato le terre dei due enti.

L'opera riformatrice delle Costituzioni federiciane non toccò le comunità cittadine che Federico preferì chiamare Universitas per distinguerle dai Comuni centro-settentrionali con cui avevano una sostanziale differenza. Egli rispettò le autonomie amministrative che si erano andate instaurando, lasciò infatti che le comunità si governassero secondo le antiche consuetudini, riconobbe loro la personalità giuridica, promosse la costituzione degli Statuta, spingendo quelle che non avevano ancora leggi scritte a farlo, ma non permise che si affermassero le aspirazioni autonomistiche19.

Questo successe all'Universitas di Solofra20che si vide respinta la pretesa decadenza del potere feudale di Giacomo Tricarico21. Il re svevo dette ragione al Tricarico mostrando un aspetto della sua politica che si bilanciava tra le esigenze delle Universitas e quelle dei feudatari. Bisogna infatti tenere presente che in questo periodo l'Universitas di Montoro era entrata nel demanio e Federico non poteva permettere un eccessivo ridimensionamento del potere feudale nella zona22.

Con Federico II dunque l'Universitas di Solofra acquista la piena autonomia amministrativa23. Ed è verosimile porne in questo momento o legare a questo fatto anche l'autonomia territoriale, operata sicuramente da Giacomo quando assegnò il vico alla figlia Giordana da lei portato in dote ad Alduino Filangieri24, nel senso che Giacomo vide nella comunità una capacità che non doveva essere mortificata25. Con l'autonomia territoriale l'Universitas acquistò la pienezza della vita amministrativa e giudiziaria e dovette per forza crearsi una base legislativa che ne regolasse la vita. Non oltre questo periodo deve porsi la scrittura dei primi articoli degli Statuta26.

La comunità di Solofra portava a maturazione piena il moto di aggregazione attorno ai possessores che usavano i proventi delle terre e della pastorizia per il commercio. Questa compagine, prima incerta poi sempre più salda, si mostra in grado di risolvere i problemi tributari, di avanzare la richiesta di sovranità territoriale stringendosi in una comune azione, che è un pactum in cui non c'è solo il desiderio di scuotere il giogo feudale quanto l'esigenza di autonomia avvertita di più dalle popolazioni rurali. La società solofrana si poggiava sul sostegno che le veniva dalle attività economiche che si sono viste emergere nel miglior periodo longobardo e che si vedranno ora prendere consistenza27.

 

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1.      Cfr. G. Portanova, op. cit. pp. 85-88; CB, pp. 271-275. Negli anni della confisca del feudo di Rota il castello di Montoro (tra il 1166 e il 1169) fu in mano al feudatario di Atripalda (Cfr. F. Scandone, Storia..., II, I, p. 177).

2.      A. Di Meo, V, 319.

3.      Evidentemente il re non volle inimicarsi i sue Sanseverino. Dopo il 1168 e sicuramente fino al 1187, quando entrambi stilano un atto riguardante le terre di Montoro e di Solofra, i figli di Roberto II di Caserta-Tricarico, Ruggiero II e Guglielmo, sono in possesso di beni del castello fdi Montoro. Da questo momento il territorio di Montoro sarà diviso da Rota (A. Di Meo, XI, 15; G. Tescione, op. cit., pp. 22-26).

4.      Cfr. G. Tescione, op. cit., p.26; AD, 24, 25, 31. Ruggiero II governò il tenimento di Solofra, facente parte del feudo di Serino, tra il 1162 e il 1189 e fu capostipite del ramo dei Sanseverino di Serino-Tricarico (Cfr. F. Della Marra, Discorso delle famiglie nobili, Napoli, 1641, p. 416).

5.      Si è visto che parte del territorio di Montoro (il vico di S. Agata) apparteneva ai Tricarico di Serino-Solofra (V. AD, 27 e 28). Guglielmo di Sanseverino dette inizio al ramo dei Caserta-Stringano che governerà su Montoro (è documentata la presenza di Guglielmo a Montoro nel 1188 e nel 1194) fino a quando subì la confisca dei beni (fu tra i baroni che non offrirono un adeguato servizio militare a Federico) e Montoro fu posto nel demanio. Il feudo sarà restituito ai Sanseverino di Caserta, tramite la contessa Berardissa, che aveva sposato Pietro de Suria, solo dopo la morte di Manfredi (HB, VI, pp. 917-918; F. Scandone, Documenti.., pp. 393-396; G. Tescione, op. cit., pp. 26 e sgg.)

6.      CB, pp. 32-33; G. Tescione, op. cit..., pp. 26 e sgg.

7.      CB, p. 33; A. Di Meo, XI, a. 1188, p. 19.

8.      Dalla lettura attenta del documento (fatta dallo Scandone superficialmente) riguardante l'inchiesta della Magna Curia che restituì a Giacomo il casale di Solofra, nonostante le parti mancanti, si deduce che Giordano aveva tenuto a vita il casale di cui, a causa della morte prematura, non aveva avuto l'investitura (Cfr. AD, 31).

9.      Nel 1194 Giacomo è a Montoro insieme allo zio Guglielmo per l'assegnazione, ciascuno per la sua parte, di alcune terre di Torchiati (AD, 27 e 28). Non è sicuro che in questa data Giordano sia già morto visto che le terre che Giacomo assegna sono in località Torchiati dove cioè giungeva il tenimento di S. Agata che, appartenendo a quell'epoca a Serino, era nei possedimenti di Giacomo (il padre Ruggiero era morto nel 1189). La morte di Giordano potrebbe porsi anche intorno al 1220 considerando la frase (in AD, 31):"Rogerius quam comes Jacobus tenuerunt ea per triginta annos et amplius". I trenta anni potrebbero riferirsi sia a Giacomo (per cui si arriva intorno al 1210) che a Giordano-Ruggiero (per cui si arriva, con 27 anni, al 1183 che è l'anno della morte di Roberto e quindi della presa di possesso da parte di Ruggiero del feudo di Serino-Tricarico). Secondo la prima ipotesi Giordano fu feudatario di Solofra dal 1189 al 1194, secondo l'altra dal 1189 al 1210 c.a.

10.  AD, 31. La richiesta di decadenza di Giacomo da parte dell'Universitas di Solofra si deduce con sufficiente certezza poiché fu la causa del processo.

11.  Le resistenze da parte dei baroni e delle città che sostennero ed elessero Tancredi (1189) nascevano dalla paura di un assoggettamento del Regno normanno all'impero germanico.

12.  Ne fece le spese l'aristocrazia di Salerno e lo stesso arcivescovo che fu esiliato in Germania insieme a molti salernitani.

13.  CDS, I, 131-135. Le campagne di Salerno furono teatro delle operazioni di Dipoldo di Hohenburg, conte di Acerra.

14.  Nella corte capuana a Federico II non fu presentata l'assegnazione del casale di Solofra a Giordano perché costui era, in quella data, sicuramente già morto e il casale era ritornato a Giacomo Tricarico. Il distacco da Serino del casale di Solofra, che è segno di una evoluzione socio-economica, all'inizio fu dunque momentanea.

15.  Le Costituzioni Melfitane, che integrarono quelle di Ruggiero di Sicilia, insieme alla Magna Charta inglese (1215) sancirono per la prima volta i presupposti su cui deve basarsi uno stato moderno. Nei Giustizierati dovevano tenersi ogni anno due parlamenti, a maggio e a settembre, alla presenza di un nunzio imperiale che raccoglieva le querele delle persone gravate dagli ufficiali regi e faceva inquisizioni. A Federico interessava dare giustizia non molte libertà ai parlamenti municipali come si vedrà nel caso di Solofra (cfr. F. Faraglia, op. cit., p. 35).

16.  Questo modo di gestire direttamente la giustizia confermò la politica accentratrice del re svevo che toglieva ai feudatari ogni potere sui vassalli. D'allora in poi costoro, considerati degli usufruttuari dei feudi, dovettero avere la conferma giudiziaria del re per ogni cambiamento che avveniva nei loro feudi.

17.  I rapporti con questi enti religiosi, che affidarono alle curie locali la giustizia minore, fu favorevole per le istanze che da essi venivano e per le condizioni di cui godevano. Cava ebbe confermati i privilegi normanni, inoltre tutta l'Abbazia con le sue terre venne dichiarata Camera imperiale, situazione che le permise di godere l'esenzione dalle tasse imperiali. L'Arcivescovo di Salerno, verso cui all'inizio Federico non fu tenero, ebbe lo stesso privilegio nel 1221 con la facoltà di delegare per questa funzione altre persone (CDS, I, p. 131-135).

18.  Vale la pena sottolineare l'importanza di questi privilegi. L'Arcivescovo di Salerno ebbe nuove immunità che riguardavano "omnes ecclesias, homines censiles, possessiones et omnia jura [...] in Montoro, Forino, Sirino de pertinentiis eorum" (HB, III, p. 111) nelle cui terre si poteva esercitare il commercio senza essere gravati da alcuna imposta.

19.  Cfr. F. Faraglia, op. cit., pp. 31 e sgg.

20.  Essendo l'Universitas l'insieme degli uomini di un tenimento, essa è un dato di fatto là dove esiste una comunità che con la riforma dei Giustizierati avevano acquistato valenza giuridica. Si può quindi cominciare a parlare di Universitas solo dopo il 1130 e per Solofra sicuramente con l'assegnazione del territorio a Giordano. Ciò però non vuol dire che un'elementare forma di governo locale non potesse esistere prima. Per Solofra il primo atto che esprime maturità amministrativa è questo che qui si discute.

21.  Cfr. AD, 31. La rivendicazione esprimeva la speranza dell'Universitas di veder colpito Giacomo Tricarico, come era avvenuto per gli altri Sanseverino (tra cui lo zio Guglielmo di Caserta) che in quel periodo avevano subito la confisca dei beni per aver partecipato senza impegno ad una spedizione in Sicilia. Il Tricarico evidentemente riuscì a far valer le proprie ragioni forse per i sentimenti filo imperiali del padre Ruggiero al tempo della discesa di Enrico VI. A suo favore c'era inoltre l'art. Ut de successionibus delle Costituzioni melfitane che stabiliva che quando non è assicurata la trasmissione per via diretta, i fratelli possono ereditare solo se il feudo è antico, posseduto cioè dall'avo del feudatario defunto. Di qui l'indagine sull'origine del feudo.

22.  Nella richiesta dell'Universitas di Solofra, da porre nel quadro della politica federiciana a favore delle comunità locali e da collegare a parecchie altre rivendicazioni di autonomia fatte in questo periodo, bisogna considerare la prospettiva dei vantaggi economici legati allo status di essere demanio imperiale.

23.  Winklmann, Acta Imperii, I, p. 776. Un atto che attesta la piena autonomia dell'Universitas è l'imposizione a carico di essa di un tributo per la riparazione del castello imperiale di Pimonte di Amalfi. Il distacco di Solofra da Serino inizia da questo momento anche se le due Universitas continueranno a restare sotto uno stesso signore. Di li a poco, quando Giacomo darà il casale a sua figlia Giordana, l'autonomia territoriale ne sara il compimento.

24.  I Registi della Cancelleria Angioina a c. di R. Filangieri, IV, Napoli, 1967, pp. 110-111. Giordana avrà anche il feudo di Abriola. Serino sarà invece prima del primogenito di Giacomo, Roberto, poi, dopo la perdita del feudo da parte di costui per poggiato Corradino (1268), passerà a Nicola Tricarico (1268-1277) e alla morte di questi sarà rivendicato dalla sorella Adelicia, moglie di Risone de Marra di Barolo, che ottenne il feudo nel 1284. Tra Adelicia e Giordana Tricarico avverrà l'accordo per l'assegnazione a quest'ultima di un terzo del territorio di S. Agata facente parte del feudo di Serino, per fornire questo vico di un posto fortificato (Cfr. De Lellis, Notamenti, VII, f. 540, 700; IV f. 776; IX, p. 76). In questo momento nacque il casale di S. Agata di sopra o di Solofra che andò da Turci alle Casate e a Tofola comprendendo la collina del castello col fortilizio che farà chiamare Solofra "castrum".

25.  Bisogna tenere presente che il governo di Giacomo, la cui morte può porsi dopo il 1258 (CB, p. 33), come quello di tutti i Tricarico, fu favorevole all'organizzazione civile ed allo sviluppo urbanistico (di lui è detto "qui semper ecclesias construxit, hedificat, dilexit et diligit", Regesto Pergamene di Montevergine a c. Mongelli, II, p. 34), cosa che si coglie nel vico di Solofra. Giacomo non potette non considerare il valore pregnante della rivendicazione solofrana.

26.  Il governo dell'Universitas consisteva nell'amministrazione dei beni comuni, nella divisione tra i cittadini dei vari balzelli e nella distribuzione delle collette da versare alla Regia Camera o al feudatario, nell'esazione delle somme per le opere comuni e nell'esercizio della giustizia primaria. Tutto questo è regolato dai 54 articoli dei Capitula antiqua Universitatis terre Solofre antiquitus edita (Cfr. C. Castellani, op. cit., pp. 34-47) che dovettero avere una prima forma scritta nel periodo federiciano proprio perché lo Statuto era richiesto dall'autonomia amministrativo-territoriale. L'analisi di questi articoli, che esula dai limiti del presente lavoro, mette in risalto una società silvo-agro-pastorale come quella che emerge dai documenti (v. AD). Per gli elementi di antichità degli Statuta solofrani v. R. Raccioppi, Gli Statuti della Bagliva delle antiche comunità del napoletano in ASPN, II, 1884, pp. 347-377 e III, pp. 508.

27.  La vita comunitaria è favorita dal fatto che tra conduttori e proprietari si erano creati vincoli stretti, dall'uso delle terre comuni dette pertinentiae le quali seguivano le vicende del fondo conservando il carattere di beni comuni. La delineazione di questo tipo di vita comunitaria è in PII

 

 

 

 

6. L'autonomia territoriale ed amministrativa raggiunta dall'Universitas di Solofra ne sottintende un'altra: quella economica, condizione per l'esistenza delle prime. Inoltre la richiesta di affrancazione dal potere feudale fa emergere prospettive economiche tali da motivarla e sostenerla, fa emergere cioè una presa di coscienza di una ben consolidata comunitas, un'ansia di partecipazione diretta alla vita comune, cioè un gruppo di cittadini mossi da particolari interessi e sensibili a diritti che si vogliono difendere.

Rispetto alla realtà socio-economica individuata alla fine dell'epoca longobarda si può collocare in questo periodo, e per le ragioni su dette, una maggiore maturità di questa società agricolo-pastorale che trova nel commercio la possibilità di uscire dalle secche dell'economia chiusa. Essa nel primo periodo normanno, quando in un certo senso si erano rallentati i rapporti col centro urbano di riferimento, seppe ripiegarsi in sé attingendo alle proprie risorse per una ridefinizione delle possibilità produttive locali e accedere ad una sorta di specializzazione che la fanno ora emergere con una fisionomia propria. Il suo è proprio il caso di quei "loci", di cui parla il Galasso, "emergenti per vitalità o per vocazione dalla dominante vita rurale della regione", insomma uno di quei centri che in questo periodo acquistano "fisionomia artigianale propria" con strutture specifiche1.

Tutto ciò potette avvenire perchè questa comunità si trovava in quell'entroterra salernitano, più volte citato, che costituiva con la città un polo vitale di interazione e che, nonostante l'assottigliamento all'epoca dell'anarchia, non aveva mai smesso di essere un elemento portante dell'economia di Salerno. Protetto dai Normanni, che lo avevano sempre considerato uno dei più ricchi del regno, questo entroterra fu al centro di uno dei fenomeni economici più salienti di questo periodo.

L'economia salernitana, che si poggiava su di un'agricoltura legata alla produzione silvo-pastorale ed artigiana amalgamata dalle attività mercantili, non attingeva da questa realtà solo i prodotti, vi attingeva soprattutto il capitale creando un'interrelazione feconda fra tali elementi. Si era prodotto insomma un fenomeno particolare legato alla peculiarità di questo entroterra. Qui la disgregazione dell'economia chiusa non aveva provocato alcuna frattura tra le attività agro-pastorali e quelle artigiano-manifatturiere quando queste ultime si erano trasferite in città e avevano acquisito un carattere più specialistico. Le prime infatti fornivano a quell'artigianato uomini, denaro e la materia prima che in più giungeva al centro artigianale anche dopo aver subito una prima trasformazione nei luoghi di origine, il tutto agevolato da un particolare tipo di mercatura. Ancora una volta stretti erano i rapporti tra la città e la sua campagna2.

Questo fenomeno è evidente per quanto riguarda il prodotto principale della pastorizia dei monti che orlano a nord e ad est l'entroterra salernitano, sia la lana asportata dalle pelli che le stesse pelli, le quali prima di essere lavorate nelle botteghe di Salerno subivano, le une a Solofra le altre nei casali di Giffoni e di Rota, un primo trattamento utilizzando le acque dell'Irno e quelle del flubio-rivus siccus3. Il rapporto tra la città e i centri artigianali di piccole dimensioni dell'interno si nota anche per altre attività come la lavorazione del ferro che è presente a Montoro-S. Agata e si impianterà a Serino4.

A determinare e a sostenere lo sviluppo artigianale della Salerno normanna continuano ad essere gli Ebrei, che già costituivano una colonia ricca e vivace presente anche nell'entroterra salernitano. Le loro attività legate alla macellazione e alla lavorazione degli oggetti in pelle li avevano messi al centro di una sorta di monopolio. Ora appaiono un gruppo specializzato in specifiche attività artigianali: lavorano il prodotto della pastorizia, la lana e le pelli cioè, svolgono le attività di concia e di manganatura e tintura delle stoffe come lavori autonomi. In più in questo periodo in cui si diffonde l'uso della moneta tendono a diventare per le possibilità che il prestito offriva un forte gruppo finanziario 5.

Proprio le prospettive economiche che offrivano gli Ebrei avevano spinto i re Normanni ad affidare il controllo della giudaica, il rione salernitano con le abitazioni e botteghe ebraiche6, all'Arcivescovo trasformandoli in suoi vassalli. Questo fatto agevolò i rapporti tra questi artigiani e le terre dell'episcopio donde proveniva la materia prima per le loro attività7 e trasferì le botteghe anche fuori Salerno8. Comunque l'artigianato ebraico al tempo di Federico II era divenuto così ricco che l'imperatore lo farà controllare dal regio erario9.

Per la ricchezza artigianale a Salerno erano stati confermati tutti i privilegi goduti nel periodo longobardo a cui si erano aggiunti il ius funducariorum e poi il ius tintoriae10 e, tra i iura nova di Federico II, il ius auripellis11. Questi ultimi attestano la diffusione di un artigianato di lusso - tessuti preziosi e oropelle - che fu una voce importante del commercio di Salerno e di Amalfi12. In special modo a Salerno dovevano esserci molte botteghe specializzate nell'arte di impreziosire le pelli con fogli di oro e di argento se l'imperatore svevo ne concesse alla città, unica dopo Napoli, la privativa13. Tali privilegi economici, tutti legati ai prodotti delle montagne dell'entroterra salernitano, confermano l'esistenza di un polo in questa area di produzione e indicano dove affondano le radici dell'attività artigianale - la concia delle pelli appunto - che caratterizzerà l'alto corso del flubio-rivus siccus.

Il grande re svevo pose estrema cura nel proteggere questa realtà e si adoperò affinché il terzo elemento, che è alla base del fenomeno economico di cui si discute, e cioè il commercio, fosse favorito.

La mercatura era diventata una caratteristica di questa pianura ad opera soprattutto degli amalfitani14 ora il suo ulteriore sviluppo la connota profondamente - si è detto che più che dei Normanni l'unificazione della Campania fu opera del commercio - . Si era creato un ampio circuito di scambi sostenuto da una sottilissima ragnatela che percorreva le campagne raccogliendo i prodotti nei mercati minori per convogliarli poi nel grande mercato di Salerno15 dando a questo tipo di commercio, legato al mondo rurale, la caratteristica di mercatura di raccolta che in quel periodo si riscontra anche nel piccolo cabotaggio commerciale delle navi salernitane lungo le coste16.

Federico II creò positive condizioni per facilitare gli scambi con l'apertura di nuove fiere e l'impegno a tenere sicure le strade. L'esportazione affluiva copiosa a Salerno17 dove, accanto alla ricca colonia di amalfitani, c'erano anche gaetani ed altri mercanti in mutua relazione di affari18.

Anche Cava aveva nel mercato salernitano i propri funzionari che la collegavano con i suoi porti di Vietri e di Cetara. Fiorente fu pure il commercio metelliano che raccoglieva non solo i prodotti delle terre dell'Abbazia ma anche quelli dei fondi di liberi possessori che avevano contratti protezionistici col grande monastero19.

Il Meridione diventò in tal modo un posto importante per le città del centro e del nord le cui attività industriali vi trovarono sia uno sbocco alla loro produzione che una base di approvvigionamento. Esso fu meta dei mercanti veneziani, genovesi, pisani, fiorentini e ragusei20 che ebbero privilegi fin dal tempo di re Ruggiero e contro cui Federico II non fece una lotta a fondo visto che erano una spinta all'economia locale21.

La loro concorrenza fu però fatale per Amalfi che, pur se continuò a svolgere un ruolo importante nel commercio, si vedrà scalzata da questi mercanti nel periodo angioino22.

Alla soglia dell'autonomia amministrativa e territoriale di Solofra c'è, col declino di Amalfi, l'inizio di un ridimensionamento delle prospettive economiche dell'entroterra salernitano dove vivrà stentatamente l'artigianato ormai stabilizzatosi e dove se è vero che l'insediarsi di ogni nuova signoria significò occasione di nuovo sviluppo e nuova forza23 - e fu quello che successe a Solofra col passaggio alla signoria dei Filangieri e degli Zurlo - ma lo fu nelle forme stanche che dalla dominazione angioina in poi caratterizzeranno il Meridione.

 

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1.      G. Galasso, Le città campane..., pp. 129-130. Il Galasso individua in questo periodo una vita artigiana organizzata a struttura familiare e concentrata in determinate contrade.

2.      Cfr. A. Sinno, Commerci e industrie nel salernitano, Salerno, 1954; D. Cosimato, L'arte della lana nella valle dell'Irno in Saggi di storia minore, Salerno, 1964, pp. 12-30.

3.      Si è visto più volte il legame tra questi centri. V. infra.

4.      L'ampia famiglia di fabbri individuata tra Montoro e S. Agata svolge un'attività artigianale di questo tipo prima di trasferirsi in forme più ampie nella valle del Sabato (Cfr. PII, par. 2).

5.      Cfr. A. Marongiu, Gli Ebrei di Salerno nei documenti dei secoli X e XIII, ASPN, 1937, pp. 238-266; A. Milano, Storia degli Ebrei in Italia, Torino, 1963. L'usura era proibita per i cristiani non per gli Ebrei (HB, IV, p. I, 10-11).

6.      Nel rione ebraico di Salerno c'erano le botteghe della macellazione degli animali, della lavorazione degli otri ed altre manifatture. Qui c'erano anche botteghe per la concia tanto che essi usufruivano di permessi per l'uso dell'acqua (CDC, V, n. 841).

7.      Il rapporto con Solofra è assicurato dal legame della pieve con l'episcopio e dalla pastorizia che era una voce importante dell'economia locale. Vale la pena considerare che le "contrarie", di cui parlano gli Statuta solofrani, si trovano proprio nelle terre della pieve lungo il flubio ("dal ponte in bascio", ivi).

8.      A. Marongiu, op. cit., p. 257 n. 2 ("Infra civitatem Salerni vel pertinentiis suis"). Si possono individuare anche altri luoghi dove sorgevano queste attività di lavorazione e primo trattamento della materia prima. In ABC (Arca 21, n. 33) si legge della concessione, fatta da Cava agli Ebrei, dell'acqua Volnei "pro coriis conciandis". Che fuori Salerno ci fossero botteghe artigianali anche non ebree si coglie in una già citata donazione a Cava, da parte del conte di Caserta e Montoro, Guglielmo (1183), di una terra con orto e apotheche costruite fuori la città (G. Tescione, op. cit., pp. 121-122).

9.      G. Paesano, op. cit., II, p. 83.

10.  Guglielmo d'Altavilla nel 1121, per proteggere la produzione e il commercio della lana, aveva dato il ius funducariorum, Tancredi aveva concesso (1190) all'Arcivescovo il ius tintoriae su tutte le tintorie e le celendre esistenti nella diocesi. Federico II protesse l'uso dei torrenti per queste attività (Cfr. G. Yver, Les commerces et les merchands dans l'Italie au XIII° et au XIV° siècle, Paris, 1903, pp. 90-95).

11.  Cfr. HB, IV, I, pp.197-200; L. Bianchini, Storia delle finanze nel Regno di Napoli, Napoli, 1888, pp. 57 e sgg. L'auripellis è l'arte di impreziosire la pelle con fogli di oro o di argento.

12.  Cfr. G. Coniglio, Amalfi e il suo commercio nel Medioevo, in "Nuova rivista storica", 1944-1945; A. O. Citarella, Il commercio di Amalfi nell'Alto Medioevo, Salerno, 1977; G. Yver, op. cit.

13.  L. Bianchini, op. cit., pp. 73-84 e 81-84. Questa produzione fa emergere il bisogno che dovette avere Salerno di procurarsi la materia prima e indica quale sia stata la spinta a far acquistare autonomia e specificità alle prime forme di concia solofrane e cioè di sostegno alle attività economiche salernitane. L'arte dell'oropelle si impianterà a Solofra con la spinta produttiva data dagli Zurlo (XV sec.) ma decollerà nel secolo seguente fino a divenire una prerogativa dell'artigianato locale.

14.  Cfr. A. O. Citarella, op. cit.; A. Leone-G. Del Treppo, op. cit.; G. Imperato, op. cit. In special modo la pianura di Rota e Forino fu favorita dal commercio amalfitano che usava la grande via di comunicazione di Avellino per raggiungere la Puglia.

15.  Cfr. G. Galasso, Le città campane..., pp. 87-117; G. Coniglio, op. cit; G. Yver, op. cit., pp. 1-6. La campagna di Salerno alimentava il fabbisogno della città ma anche del suo commercio.

16.  Cfr. T. Schaube, Storia del commercio dei popoli latini, Torino, 1915; G. Yver, op. cit. A Solofra si coglie in questo periodo una traccia di questo tipo di mercatura (Cfr. AD, 9 e PII, par. 1 e 3) che si conserverà tale fino ai tempi d'oro del cinquecento solofrano.

17.  Edrisi, il geografo arabo che alla metà del XII secolo descrisse per re Ruggiero I l'Italia, dice di Salerno: "città illustre, dai fiorenti mercati" (Edrisi, L'Italia descritta nel "Libro del re Ruggiero", Roma, 1883, p.90). I Normanni avevano sostenuto con privilegi il commercio come le libertà di traffico concesse da Tancredi (Cfr. T. Schaube, op. cit., p. 246).

18.  Cfr. A. Leone-G. Del Treppo, op. cit. Ad Amalfi si trovava di tutto.

19.  Cfr. G. Galasso, op. cit., pp. 123 e sgg. Importante sottolineare il ruolo di Cava nella definizione delle modalità produttive e artigiane della zona. Il cenobio promosse le attività mercantili a sostegno delle quali c'era il suo commercio marittimo e nelle quali favorì l'immissione della ricchezza fondiaria. Cava si qualifica come un'istituzione di ampio respiro non solo attenta alla cura animorum. Le popolazioni vivevano in mutua dipendenza di uffici ed occupazioni col monastero. In AD, 26 si coglie questo rapporto commerciale con Cava (Cfr. T. Schaube, op. cit; L. Bianchini, op. cit., p. 69).

20.  Vale la pena sottolineare che i mercanti di Ragusa erano i maggiori fruitori dei mercati della Puglia dove affluiva anche il commercio solofrano.

21.  Questi mercanti, che si rifornivano anche di pelli e dei suoi prodotti come i genovesi e i pisani, saranno favoriti nei loro interessi dai mercanti indigeni, che si posero nei loro riguardi in posizione di inferiorità, e dalla passività delle popolazioni (Cfr. D. Abulafia, Le due Italie, Napoli, 1991, pp. 20 e sgg.; T. Schaube, op. cit., p. 614).

22.  Cfr. A .O. Citarella, Il declino del commercio marittimo di Amalfi, ASPN, 1975, pp. 9 e sgg.; E. Pontieri, La crisi di Amalfi medievale, ASPN, 1934, pp. 8 e sgg.

23.  G. Galasso, Le città campane..., p. 130.

 

 

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Capitolo primo

Presenze sannitiche e romane nel bacino del flubio-rivus siccus

Capitolo secondo

Influssi bizantini e realtà longobarda 

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Parte seconda

La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e Montevergine

Documenti sanniti

Documenti romani

Appendice documentaria: documenti longobardi

BIBLIOGRAFIA

 

ABBREVIAZIONI

ABC

Archivio della Badia di Cava.

AD

Appendice documentaria.

ASA

Archivio di Stato di Avellino (Protocolli notarili).

ASPN

Archivio Storico delle Province Napoletane.

ASPS

Archivio Storico Province Salernitane.

CB

Catalogus Baronum, Commentario a c. di E. Cuozzo, 1984.

CDC

Codex Diplomaticus Cavensis, I-VIII, 1873-1893; IX,1984; X, 1990.

CDS

Codice Diplomatico Salernitano, Salerno, 1931

CDV

Codice Diplomatico Verginiano, 1977-1993.

HB

Huillard-Bréholles, J-L.-Alphonse, Historia diplomatica Friderici secundi, I-VI, 1852-1861.

IGM

Istituto Geografico Militare, Carta Topografica programma-tica regionale, Campania, tvv. 25 e 33 quadrante 185 I e II.

PII

Parte seconda: La conca del flubio-rivus siccus nelle carte di Cava e di Montevergine.

RNAM

Regii Neapolitani Archivii Monumenta, I-VI, 1845-1861.

 

 

 

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