Da “Il Campanile”

 

 

La chiesa dell’Angelo diventa Collegiata, un gioiello di arte

e di cultura economica e sociale.

 

 

 

Abbiamo visto nell’articolo precedente come la chiesa di S. Angelo, era divenuta ricettizia, cioè di proprietà della comunità solofrana, ed era governata da un collegio di sacerdoti provenienti dalle famiglie più importanti e ricche del paese. La chiesa, insomma continuava ad essere il principale punto di riferimento della vita cittadina, e, poiché nella società solofrana erano sorte nuove esigenze, essa seppe rispondere anche a queste, confermandosi come il necessario sostegno alla vita della comunità ed un po’ il suo specchio più limpido.

Siamo nel Quattrocento, l’economia solofrana, sostenuta dal governo degli Zurlo e soprattutto dalla politica degli Aragonesi, era in pieno sviluppo. Il grande Alfonso il magnifico aveva dato un grosso incremento proprio alla industria armentizia, cioè ai prodotti dell’allevamento, e quindi alla concia e alla lavorazione della lana.

In virtù di ciò in questa parte del salernitano (per capire la nostra realtà in quel periodo bisogna sempre collegare Solofra a Salerno) si era creata un’area, detta “picentina”, caratterizzata da queste due produzioni che univano Solofra a Giffoni, la concia alla lana. Consistente fu l’aumento dell’attività di concia che forniva le pelli al mercato di Salerno e di Napoli e intenso fu il commercio della lana che passava per la nostra piazza. Tutto ciò aveva fatto affluire a Solofra rappresentanti di alcune famiglie commerciali  -  ad esempio i Petrone, i Grimaldi, i Maffei, ma anche i Buongiorno e i Garzilli  -  che erano venute nel meridione e si erano stanziante nel salernitano proprio per sfruttarne le opportunità di questo tipo di attività.

Era però necessario che tutta questa vita produttiva e commerciale fosse sostenuta dalla finanza, cosa che avrebbero dovuto fare le banche che allora non esistevano. Erano sorti allora dei finanziatori privati, figure economiche che sopperivano alla carenza degli istituti di credito, ma che con pratiche che rasentavano l’usura pesavano sulle attività economiche di comunità ancora deboli. Fu per evitare questo aggravio che scesero in campo le chiese, introducendosi in un ambito, quello del credito, che le trasformò in enti finanziari a sostegno di questo tipo di economia.

In tale contingenza intervenne anche il papato che, concedendo il cosiddetto “censo bollare”, permise alle istituzioni ecclesiali di svolgere questa utile attività di prestito, liberandolo dagli speculatori ed evitando i divieti che lo ostacolavano. A questo servirono le “cappellanie” e gli “jus patronali” che le famiglie commerciali istituirono nelle chiese e questa fu l’ottica che trasformò la nostra chiesa recettizia di S. Angelo in un utilissimo strumento a sostegno delle attività economiche. 

Per la chiesa solofrana non era una novità, visto che già come pieve era stata il centro della vita economica locale, cambiando di volta in volta le forme della propria presenza e del proprio sostegno. D’altra parte in tutto il Medioevo la Chiesa stette vicino alle popolazioni, pronta ad aiutarle nelle loro necessità e a sopperire alla carenze dei tempi, dalle scuole, agli ospedali, all’assistenza, alla più generale funzione di supporto e sostegno, ne aveva seguito insomma l’evoluzione, rispondendo, secondo i casi, ai loro reali bisogni di crescita.

Fu dunque una necessità economica, proprio quando questa economia si apriva a nuove prospettive, a determinare a Solofra il grande fiorire di chiese avvenuto nel Quattrocento. Non solo ogni casale ne aveva una, ma ogni famiglia ebbe la sua cappella, il suo altare, gestito dal sacerdote di famiglia che, provvedeva a procurare al gruppo commerciale di riferimento il fabbisogno finanziario.

Va sottolineato che questa attività non era in disaccordo con la funzione delle chiese, che in quei tempi, all’indomani del Medioevo, abbracciava ancora interamente la vita delle comunità, comprendendone insieme i bisogni spirituali e materiali.

Ma c’è di più. La trasformazione della chiesa dell’Angelo in Collegiata, avvenne in un periodo particolare della vita cittadina, in cui la comunità aveva bisogno non solo di un’istituzione economica, ma anche di un luogo in cui concretamente fosse visibile ciò che essa aveva raggiunto, un Panteon che accogliesse le spoglie mortali dei suoi membri, una struttura che fosse insieme servizio e testimonianza.

Siamo nel periodo, all’inizio del Cinquecento, di massima espressione della realtà solofrana, nel suo secolo d’oro, il periodo migliore della vicenda solofrana, con famiglie economicamente solide, con mercanti in grado di ampliare i propri orizzonti commerciali, con studiosi, come Giovanni Camillo Maffei, capaci di approdare nelle sedi più prestigiose del sapere, una comunità in grado di darsi innovative ed avanzate regole di comportamento, di introdurre nuove attività, di tentare persino la strada dell’autonomia poggiando sulle sue sole forze.

Il miracolo della Collegiata è tutto ciò, è il segno alto di una parabola unica nel Meridione. Accanto ad essa ci sono infatti venti anni di autonomia feudale, ci sono gli Statuti, c’è una concia ricca e varia, c’è il battiloro che con un’ardita astuzia il conciatore aveva saputo introdurre a Solofra da Napoli, dove era gestita da una corporazione potente e chiusa, c’è insomma una vivace vita sociale ed economica che ognuno può leggere nella ricca messe di documenti che solo da poco sono venuti alla luce.

Va sottolineato che se all’inizio dell’“operazione Collegiata” ci fu il sostegno degli Zurlo che seguirono questa evoluzione, la comunità solofrana seppe camminare anche da sola, quando gli Zurlo perdettero il feudo (1528), e seppe reagire alla brutta esperienza della rapace feudalità del Della Marra di Serino. Allora essa rispose con un atto di grande maturità civile chiedendo ed ottenendo l’autonomia, che godette per venti anni.

La Collegiata dunque non è solo il centro del culto a S. Michele, non è solo uno scrigno di arte, non è solo l’istituzione di una comunità feconda economicamente e matura civilmente, ma è tutto questo insieme. Ed è questo “insieme” che fa splendere di una luce diversa questo gioiello solofrano. Le opere di Francesco Guarini e della bottega del padre Tommaso ne sono il completamento, essendo il fenomeno di questa pittura frutto diretto del Cinquecento solofrano, ma ne sono anche un atto di attestazione, e fanno sì che, anche al visitatore distratto e poco addentro nei meandri di questa storia, il nostro Tempio appaia un prodotto unico e straordinario.

 

Mimma De Maio

 

Da “Il Campanile”, agosto 2005 (XXXVI, 8, p. 4)

 

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