Alle origini della festa di  San Michele di Solofra
Dono
dei Bizantini e dei Longobardi
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   L’8 maggio Solofra ha celebrato una delle sue
  ricorrenze più importanti, quella di San Michele  Arcangelo. Data la storicità
  dell’evento non si può non risalire per i lontani sentieri della storia fino alla origini di questo fatto popolare. Dobbiamo andare ai
  Longobardi che si erano insediati nel beneventano e che avevano creato, con la conquista di
  Salerno, in questa parte d’Italia, un interessante fenomeno antropico-culturale, che andò col nome di “Longobardia meridionale”. Essa resistette, contrariamente
  a ciò che era avvenuto nelle altre parti d’Italia con la conquista di Carlo
  Magno, fino alla venuta dei Normanni, alla fine del
  XI secolo.  Ebbene tale giorno ricorda
  la vittoria che questo popolo ebbe a Siponto sui Bizantini, appunto l’8
  maggio del 625, e che fu attribuita all’intercessione del Santo
  Angelo, che stendeva la sua ala protettrice dalla grotta di Monte S.
  Angelo sul Gargano. San Michele, raffigurato con spada e corazza e tanto
  simile al loro dio, colpiva profondamente l’immaginazione di questo popolo
  guerriero che riconosceva in lui le sue stesse virtù, i suoi stessi ideali, di un popolo che non era venuto in Italia
  per distruggere e depredare, come avevano fatto altri, ma per stabilirvisi,
  attratto dalle amene nostre contrade. Esse furono scelte come loro sede in un
  afflato affettivo che faceva accogliere istituzioni e modi di vita e quindi
  anche la religione, che è il più forte collante dei popoli. In questo
  sostrato il nuovo popolo si introdusse quando scelse
  l’Arcangelo come guida e protezione, sostituendolo al loro Wotan. Era un segno dell’abbandono fiducioso ad una terra
  che sentiva amica e che il miracolo dell’apparizione ai piedi del Gargano
  sosteneva ed inverava. Il culto a San Michele già
  si praticava nelle nostre contrade, era stato infatti
  diffuso dai Bizantini, i romani di oriente, apparteneva a quella civiltà di
  ceppo greco-ellenistico, che erano gli eredi
  naturali dell’impero romano d’occidente. Quando questi rappresentanti della
  romanità orientale tentarono di salvare l’Italia, la sede di Roma, dalla invasione barbarica, vi introdussero due culti che
  divennero il substrato della nostra religiosità, il culto a Santa Maria del
  15 agosto e il culto a San Michele. Quest’ultimo
  però era nella forma “ingrottata”, praticato cioè nelle grotti come quella di
  Monte S. Angelo e come quella, più vicina a noi, di Montoro, e si celebrava
  il 29 settembre. A Solofra, dove già i Bizzantini
  da Salerno avevano creato un centro religioso nella pieve rurale, in cui
  c’era il culto a Santa 
  Maria del 15 agosto, l’ulteriore passo fu fatto dalla famiglia
  longobarda che si era insediata da noi, la quale introdusse nella religiosità
  locale, senza nulla distruggere ed innovare, il culto al Santo Angelo. Nella
  pieve solofrana, di cui abbiamo un interessantissimo documento che è di un
  periodo molto posteriore (i documenti dicono tante cose se si leggono con le
  coordinate storiche giuste), si trova il processo di introduzione
  del nuovo culto su quello precedente, poiché tra le feste che si celebravano
  in essa c’era proprio la festa dell’Angelo, dell’8 maggio appunto, quando la
  comunità solofrana portava all’episcopio salernitano, a cui la chiesa
  apparteneva, il “censo di ricognizione”. Era questo il tributo centrale, il
  più importante, quello legato alla titolarità della chiesa e che indicava la radicalizzazione del culto micaelo
  rispetto a quello alla Vergine, che pure si continuava a celebrare nella
  chiesa, il 15 agosto, giorno in cui finiva l’anno liturgico. In questo
  documento c’è la cifra longobarda che si insediava
  in un luogo senza distruggere nulla di ciò che trovava, c’è il segno di un
  processo di integrazione fatto di rispetto per la civiltà esistente e di
  assunzione partecipata di quei valori, un processo fatto di apertura e
  accoglienza. Il nostro San Michele non è il santo che un popolo dominante
  introduce in un luogo per riceve, attraverso di esso,
  l’adesione della gente che domina, come pure è avvenuto tante volte e in
  tanti luoghi nella storia, ma è un santo che quel popolo ha trovato delle
  nostre contrade, un santo espressione della nostra non della loro civiltà, un
  santo che ha subito solo un breve tragitto prima di insediarsi nella nostra
  comunità e nella nostra chiesa, ma anche un santo che il longobardo sentiva
  tanto vicino e simile al suo. E si può affermare
  senza dubbio che sia stato proprio questo santo, San Michele, a creare
  l’amalgama tra le due entità etniche, la nostra e la loro. La vicenda della
  sua introduzione a Solofra, dei suoi primi passi nella nostra conca esprime
  un processo di integrazione straordinario che
  significa avvicinamento, un andare di due realtà verso un legame di valori, è
  quindi un processo che arricchisce entrambi. Non per niente  Quando nell’immediato dopo terremoto molte classi della
  Scuola Media si recarono a Brescia, il gemellaggio che strinsero con quella
  comunità si poggiò sulla comune identità longobarda, e quella città lombarda
  scelse di convogliare una parte dei suoi aiuti a Solofra proprio partendo da
  questa comune identità. Allora fu sottolineata, nei
  discorsi di accoglienza, la nostra maggiore e particolare identità
  longobarda. Infatti le contrade del nord alla venuta
  di Carlo Magno in Italia divennero carolinge, le
  nostre invece  - il Ducato di Benevento
  e poi i due Principiati (di Benevento e di Salerno) -  rimasero longobardi per altri due secoli e
  ciò per motivi strategici e politici. Carlo Magno, che nel Natale dell’800 si era fatto incoronare dal papa imperatore
  fondando il Sacro Romano impero, si guardò bene dall’estendere il suo dominio
  oltre il giovane Stato della Chiesa. Il prevalere di questi interessi fece sì
  che rimanesse in vita il Ducato longobardo meridionale che in altri due secoli
  ebbe il tempo di creare nelle nostre contrade quell’enclave antropico-culturale
  di cui si diceva. Mimma De Maio  | 
 
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