Tradizioni solofrane 

Festa del patrono

 

La festa di San Michele Arcangelo è una superba tradizione che ha dato sempre lustro alla cittadina. È una grande sagra, la più ricca, la più lunga, la più sentita per la quale giungono persino dall'America i concittadini lì emigrati e chi non può vi partecipa con un ricco obolo.

Negli anni si è sempre configurata come emblema di Solofra, espressione della sua potenza, un segno di distinzione, divenendo un termine di paragone.

Come tutte le feste è la grande occasione per realizzare tutto ciò che una tale manifestazione popolare ha in sé.

Ecco una pagina di cronaca cittadina del 1913, soffusa di sottile ironia.

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Da notare i fuochi d'artificio che aprono la giornata, l'ansia per il tempo che farà, il voler comparire e fare bella figura. In effetti è questo il senso della festa, un manifestarsi, un mostrare la propria famiglia in chiesa e nella lunga tradizionale passeggiata, un mostrare il proprio paese di cui sentirsi fiero. La festa deve essere grande, i santi non devono mancare nel far compagnia al patrono, a fragorosi botti si affida il compito di esprimere la propria grandezza.

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Il solofrano di Solofra la prima cosa che fa, quel giorno appena svegliato da un allegro scoppiar di petardi sulla cinta del Castello, corre mezzo vestito alla finestra, l'apre ansioso e spinge il naso fuori per consultare il tempo - Oh, gioia, è bello! Tutto soffuso d'un ceruleo chiaro, l'arco del cielo s'inchina ampio e ridente sulla punta del Garofano e sul picco di San Michele, la linea dei monti spicca nitida, un dolce brivido nel tenero fogliame precorre l'apparizione del sole, non c'è una nube; ossia ce n'è una, piccola, lì, verso ponente, che occhieggia, sembra, con un'aria malignetta. È d'un crespo argentino ma da un lato ha un ciuffetto nero, torvo che non affida troppo. A mezzogiorno il tempo potrebbe fare, Dio guardi!, una dimostrazione! Ma il riguardante non vuol guastarsi il sangue con questa previsione e va a fare la sua toletta festiva. Il solofrano, inoltre, ha quel giorno a casa uno o più invitati, parenti o amici lontani e diventa nervoso ed irritabile perché deve comparire con questi. Egli per via non vuol vedere che solo e sempre forestieri per sentirsi fiero del suo paese e constatare il buon successo della festa. Ogni volta che intoppa in una faccia paesana, ne è seccato e le fa una smorfia, come questa fa ugualmente a lui. Egli nella processione vuol mirare tutti i soliti santi sfilare l'uno dopo l'altro, davanti l'alata figura dell'Arcangelo. Guai a mancarne uno, e le botte, che allora sparano devono rompere i vetri... Se tal rottura non si avvera egli rimane male ed increspa il naso scontento. Egli con la moglie e le figliuole pomposamente incappellate deve recarsi in chiesa a sentire il panegirico e andare su e giù almeno una decina di volte, da San Domenico alla Villa. Si capisce che gli capiteranno nella giornata cento ragioni per amareggiarsi ed arrabbiarsi; onde il giorno appresso, andrà sulla Scorza a far le sue vendette con parecchi fiaschi di quelli che fan chiudere un occhio ("Le rane", 15 maggio, 1913, n. 9).

 

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Preparativi

La festa è preceduta da intesi preparativi che cominciano il giorno di Pasqua, quando a mezzogiorno viene innalzato sulla piazza principale del paese il quadro di San Michele, accompagnato da un festoso concerto di campane e mortaretti che annunzia a tutta la valle il solenne inizio del periodo preparatorio.

Ecco un'altra cronaca sui preparativi per la festa che dà il quadro di una vita ormai lontana nel tempo.

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Da notare i due gobbetti che portano in giro per le botteghe, insieme alla fortuna di cui la tradizione li carica, la novena di San Michele.

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 Se vi recate per un momento alla stazione, all'arrivo dei treni merci, vedete riversarsi dai carri sulla banchina una strana congerie di roba: scatole di dimensioni iperboliche, batuffoli enigmatici, fagotti misteriosi, cassette d'un contenuto sibillino, gomitoli di filo di ferro, ciuffi di piume, ganci, nastri.... alla rinfusa... il materiale occorrente per la confezione dei multiformi aeroplani, imbuti e corbelli da figurare sul capo delle signore e signorine nella prossima festa... E arrivano gli zingari, che adagiati in un angolo della piazza, battono e battono, facendo sprizzare un nembo di rosse faville per una cerchia di curiosi; e traversa la via principale, per fermarsi presso la villa, un carro carico di corazze, di sciabole, di pupi con le teste ciondoloni e le gambe speronate, che tremolano e crocchiano; e due gobbetti vanno facendo la novena di San Michele per le botteghe, l'uno segando un violino e l'altro miagolando strofette... e in cielo Giove Pluvio fa gran provvigione d'acqua per innaffiare quel giorno questa bella valle impennacchiata e festante ("Le rane", 30 aprile 1913, n. 8).

 

Impegnato nei preparativi è soprattutto il Comitato per i festeggiamenti, che si è costituito già l'anno precedente appena terminata la festa, si è impegnato nella raccolta dei fondi e nella stesura del programma, a cui ora dà gli ultimi tocchi prima di affiggerlo sui muri in un lungo e particolareggiato manifesto almeno un mese prima dell'inizio dei festeggiamenti.

 

Il manifesto della Festa di San Michele

è documentato in questo sonetto del 1913:

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Gran festa dell'Arcangelo Michele 
nei giorni sei, sette e otto maggio. 
Cittadini, Solofra a gonfie vele, 
ormai s'appresta a rendere l'omaggio 
 
antico al santo tutelar fedele,
che vendicò di satana l'oltraggio.
Lo sappiam tutti! E dal Partenio al Sele, 
esulti ognuno a sì lieto messaggio!
 
Addobbi vi saranno a dismisura; 
sfarzose luminarie; un oratore, 
che fiume d'eloquenza è addirittura.
 
Orchestra del sistema più moderno; 
musiche e batterie a tutte l'ore; 
l'ultima sera poi... fuochi d'inferno!

C. Troisi (da "Le rane")

 

Il Comitato per la festa

Ha un ruolo importante nella sagra cittadina, in quanto rappresenta tutta la popolazione, per cui il suo capo, 'o masto 'e festa, il regista, colui da cui dipende la riuscita della intera manifestazione, può essere equiparato al Sindaco.

Dal 1888 al 1920 i Sindaci furono anche Capi del Comitato per la festa.

Tale consuetudine fu determinata dall'incendio della statua di San Michele Arcangelo, avvenuto proprio durante la festa patronale che turbò tanto i solofrani che l'allora sindaco, Costantino Vigilante, costituì un Comitato di emergenza da lui stesso presieduto, che in breve tempo riuscì a raccogliere il denaro per il rifacimento della statua. La festa dell'anno appresso fu particolarmente grandiosa e così per trentadue anni la festa di San Michele fu come una festa di stato.

Ecco cosa dice Antono Famiglietti, l'organista della Collegiata, che fu un attento osservatore delle cose solofrane:

Da allora i sindaci anche quelli che non avevano troppa dimestichezza con le pratiche religiose furono i capi permanenti del Comitato della Commissione per la festa di San Michele e si alternarono per lunghi periodi precisamente quelli del proprio sindacato D. Michele Napoli, il Cav. Francesco Buonanno, D. Gaetano Ronca, D. Gaetano Mari e D. Pasquale De Vita che fece l'ultima festa nel 1920. Poi si ebbe a Solofra un sindaco socialista il quale a quel tempo non poteva presiedere manifestazioni religiose così la tradizione del sindaco-maestro-di festa cessò. Ma si fecero indietro anche diverse persone della cosiddetta aristocrazia, per cui i patiti della festa tremavano. Pochi giorni prima della data dell'8 maggio si fece avanti Luigi Aufiero. Era un gelataio, che per ragioni di mestiere girava per le feste e ne aveva esperienza. In un batter d'occhi riuscì a far una buona festa, per cui rimase in carica, sostenuto dal pubblico. Poi venne Michele Troisi, che con D. Felice Giannattasio per oltre un quinquennio soddisfecero le esigenze della popolazione... Il sindaco Pasquale Russo (dopo la guerra) riprese la tradizione del sindaco-mastro-di-festa e per 8 anni fece feste grosse sotto tutti i punti di vista, ma specialmente per le luminarie che affidava alla rinomata Ditta Nicola Del Gatto di Torre del Greco (di fama internazionale). Nel 1957 si presentò lo stesso dilemma del 1921, cioè l'elezione del sindaco socialista che non poteva fare la festa e le difficoltà per trovare la persona adatta. Ma il primicerio (che oltre ad avere il diritto di nominare la Commissione, era diventato... un poco anche lui un patito della festa), si dette da fare e da quell'anno i comitati sono stati formati da giovani volenterosi, che hanno non solo consacrato, ma anche migliorato il carattere di festa primaria alla sagra solofrana. (Antonio Famiglietti, Il maestro di festa nella storia della Collegiata di San Michele Arcangelo, in "Il Campanile", luglio 1976).

 

In questo periodo la festa di San Michele divenne una delle più belle del sud, capace di gareggiare con la Piedigrotta, sia per le luminarie, che per i fuochi pirotecnici, per i quali erano chiamati gli stessi artisti della festa napoletana.

Nonostante questo organo superiore, i cittadini collaboravano in modo determinante alla realizzazione della festa. C'era, per esempio, un Comitato specifico per i fuochi d'artificio, formato da cittadini che si impegnavano in vari modi nella raccolta di denaro, persino con la vendita di prodotti donati a tale scopo. Poi la consuetudine cambiò e, con lo svilupparti della realtà industriale, furono i singoli cittadini a presentare il tributo pirotecnico. Restò una traccia del Comitato per i fuochi ai Volpi, dove fu istituito un libro di risparmio che funzionava come un salvadanaio, dove lungo l'anno venivano depositate le offerte dei fedeli. Alla scadenza della festa il denaro veniva restituito, ma con una somma in meno, usata per i botti del rione a San Michele. Per lungo tempo i fuochi dei Volpi furono un famoso tributo fatto quando la statua giungeva in quel rione durante la processione.

Gli anni hanno visto la festa adeguarsi alla trasformazione dei costumi, ma sempre essa ha costituito un fatto importante nella vita della cittadina. Tutti concorrevano affinché il paese acquistasse un aspetto nuovo. Negozi, case, strade venivano messi a nuovo, come per l'arrivo della primavera. E poiché il clima solofrano è particolarmente instabile in questa stagione se ne determinò lo spostamento a giugno, la seconda domenica.

 

La decisione di spostare la festa al mese di giugno fu determinata in seguito ad una copiosa nevicata che impedì persino di entrare in chiesa.

 

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Le luminarie

Tra gli elementi della grande sagra un posto preminente ebbero le luminarie a cui si affidava il compito di colorare le sere della festa di fantastici disegni anche semoventi. Diventarono un elemento dominante specie quando l'illuminazione notturna era ancora fioca e rada.

Le vie principali brillavano come giorno e la folla sfilava ammirata. Correvano i commenti, i confronti con gli anni precedenti, ognuno aveva da dire la sua, in una lunga gioiosa diatriba. Le luminarie erano giustamente un vanto per il solofrano, un segno per il devoto, una nota di progresso specie quando l'elettricità, da poco conquistata, appariva attraente e magica per la capacità di mettere in fuga le tenebre.

Ecco sull'argomento un sonetto:

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Fitto abbagliante luccichio di mille 
vivide bianche lampadine ad arco, 
 da parer un incantato parco 
il borgo, a l'ebre, attonite pupille.
 
Che folla! Gente v'è pur d'altre ville; 
gaia passeggia, franca d'ogni incarco: 
un querulo pezzente, a qualche varco: 
rota la giostra, con clamor di squille.
 
La musica, su un palco, fa l'Aida: 
passan fanciulle in novi abiti chiari: 
ad ogni tratto un venditor che grida.
 
Ta - là: è il tiro a segno: i campanari 
lanciano i sacri bronzi in pazza sfida.
Dimenticati e bui, dentro, gli altari.

C. Troisi

In una cronaca le luminarie della festa del 1910:

 

Ottime le luminarie a gas acetilene. Via Municipio e Piazza Umberto I, davano un colpo d'occhio incantevole per le migliaia di fiammelle simmetricamente disposte dalla Ditta Fratelli Vignola, come di grandioso effetto riuscì il viale Elena per opera dell'artista Giordano De Stefano ("Le rane", maggio 1910).

 

Le strade si addobbavano a festa nei balconi fioriti, nelle vetrine ben messe, nei marciapiedi ricchi di bancarelle dai fantasmagorici colori, nelle piazze dove le giostre e i saltimbanchi attiravano la folla allegra. E questa folla, che animava le vie fin nelle ore più tarde, che si arricchiva di forestieri, di confinanti, di parenti e di amici lontani, questa folla, che con il suo lento murmure muoveva nelle vie, era la vera protagonista, poiché esprimeva ciò che veramente era la festa: il bisogno d'incontrarsi con il proprio simile, di comunicare ed ascoltare, di evadere dalla realtà quotidiana, di stare insieme all'altro, vicini in un incontro generale, espressione d'una esigenza primordiale.

Con cura erano scelte le bande musicali accolte in palchi appositamente eretti e variamente dislocati nel centro. Le migliori si alternavano nella piazza principale ed in piazza San Rocco, seguite attentamente da un pubblico competente e preso. Nei giorni di festa sfilavano per le vie del centro nella grande parata del defilè che accompagnava le Autorità fino alla Collegiata per la processione.

Poi la tradizione delle bande cedette il posto agli spettacoli della musica leggera. Così quelle malinconicamente languivano dinanzi ad un pubblico sempre più scarso ed anziano, mentre gli altri venivano accolti da una folla straripante di giovani entusiasti. Ora la tradizione delle bande musicali si è persa.

 

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La processione

Nelle strade addobbate, in uno scenario appositamente preparato, si svolgeva l'evento più importante, la processione ricca di stendardi e confraternite.

Solenne l'incedere del sacro corteo con il patrono coperto d'oro e di voti preziosi preceduto da una lunga fila di santi.

È domenica mattina  - mezzogiorno -  al passaggio i balconi si riempiono di gente, le note della banda si stendono nelle vie, aleggiando sui devoti, che, o in processione, o disposti in due ali, ai lati della strada, prendono parte al sacro rito. Nell'aria primaverile l'acre odore dei fuochi accompagna l'incedere di santi, di associazioni e, una volta, anche delle Congreghe locali nei loro caratteristici costumi.

 San Michele è preceduto da ben dodici santi, ognuno portato a spalle.  

Nella processione vengono trasportate a spalla altre numerose statue di santi considerati un po' come compatroni di Solofra. Essi hanno una storia.... Molte famiglie nobili solofrane avevano anche casa a Napoli, dove trascorrevano il periodo invernale. Furono queste a costituire qui l'Arciconfraternita dei Nobili Bianchi che era una filiale dell'omonima che ancora oggi esiste a Napoli. Con lo stesso spirito di imitazione allorché fu costruita la grande Collegiata di S. Michele si resero promotori di una grossa Cappella dove fu eretto un altare per la statua del santo patrono e sei nicchie per le statue di S. Giuseppe, S. Vincenzo Ferreri, San Nicola da Tolentino, San Giuda Taddeo, San Gaetano, San Filippo Neri, alla maniera (ridotta s'intende) della cappella di San Gennaro a Napoli ove sono custodite le statue dei compatroni della città. Ne conseguì che anche a Solofra si dette, in occasione della festa del patrono, grande importanza alla processione con la partecipazione di tutti i santi compatroni e con l'aggiunta di S. Rocco che è il principale. Pertanto per molto tempo anche la processione di Solofra fu denominata processione delle statue, come quella di San Gennaro a Napoli, che si svolge il sabato precedente la prima domenica di maggio. Col passar del tempo poi i santi aumentarono: i Cappuccini aggiunsero San Francesco, la Congrega dell'Annunziata di Sant'Andrea Apostolo intervenne col suo santo, vi furono introdotti anche Sant'Antonio, San Luigi e San Giovanni Battista. Negli altri paesi non si trovano le persone neanche per il trasporto dei santi principali, a Solofra la tradizione continua: tutte le statue fanno il giro del paese sotto il sole scottante.

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Già nei giorni precedenti i più giovani alla prima esperienza sceglievano il santo da sorreggere a spalla. La scelta cadeva sempre su San Luigi, chiamato amichevolmente San Luigiello, il più piccolo e carino, ma anche il più leggero. Altro santo preferito per le sue dimensioni era San Giovanni.

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Il corteo è aperto da fanciulli e fanciulle nei bianchi vestiti della prima Comunione fatta quell'anno. Altri fanciulli recano cuscini su cui sono appuntate le offerte pecuniarie dei fedeli. Le autorità religiose, in abiti solenni, precedono il Patrono coperto per l'occasione degli ori del Tesoro, che cadono come un manto scintillante. Il santo, portato a spalle da sei persone in caratteristici costumi, è accompagnato dal Palio Castellaneta, un grosso ombrello rettangolare. Fanno scorta le guardie civiche in alta uniforme. Dietro il sindaco con la fascia tricolore, il Consiglio Comunale al gran completo e le altre autorità, poi le bande musicali. Seguono i fedeli, davanti coloro che hanno un voto da esaudire e che portano un cero o vanno scalzi. Da questa folla, che partecipa intensamente, si eleva il canto di ringraziamento di chi si è rivolto con fede al Santo e ne ha avuto aiuto. Questo corteo multicolore, grandioso, solenne, sentito, bello e quel canto sono l'espressione più vera del culto antico che affonda le radici in secoli di venerazione.

 

Ecco un sonetto che descrive la processione all'inizio del secolo:

 

Move, ecco, adesso la processione: 
stendardi e confraternite, ed ancora 
stendardi e confraternite: s'infiora 
 rosei volti intorno ogni balcone.
 
Dai campanili in pia convulsione, 
una confusa erompe onda sonora: 
per franger vetri e timpani, ad un'ora, 
le batterie iniziano l'azione.
 
Nembi di fumo invadon la lucente 
aria di maggio, petali di rose 
per entro vi svolazzano follemente.
 
Sfilano i santi in lor diverse pose, 
indi il Patrono appar, tutto splendente 
d'ori votivi e gemme preziose.

C. Troisi

 

Inno a San Michele

Canto polare che accompagnava a due voci la processione

 

0 San Michele Arcangelo

si' capitane do' cielo

quann n'avimmo passate

San Michele ci ha liberate.

 

T'adoro o san Michele

che caro a Dio lodato sei

comm'a l'angelo maggiore,

fangi grazie e favore.

 

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I fuochi d'artificio

Ultimo elemento della manifestazione religiosa solofrana sono i fuochi d'artificio, che chiudono la festa e sono oggetto di gare e premi. In questa occasione i maestri locali dell'arte pirotecnica un tempo facevano a gara a chi esibiva i pezzi migliori e, quando questo mestiere si estinse, vennero invitati, per partecipare alla grande festa pirotecnica, i migliori fuochisti della zona. Un po' tutta la festa era accompagnata da varie manifestazioni pirotecniche. Durante il passaggio della processione ogni quartiere aveva il suo tributo di botti, fino a quello di fine processione, quando il santo fermo sul sagrato, assisteva ad una parata pirotecnica senza pari.

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I fuochi erano poi gli unici grandi protagonisti della chiusura della festa, quando si arrivava fino alle prime luci dell'alba del nuovo giorno.

Ci fu un periodo in cui la manifestazione pirotecnica fu oggetto di un concorso. Ogni fuochista gareggiava con una bomba di tiro, con le bombe di gara e con il gran finale.

La bomba di tiro era la più grande e voluminosa e veniva sparata all'inizio della gara. Essa doveva avere delle caratteristiche particolari: pur essendo pesante doveva raggiungere, in una traiettoria perfettamente verticale, il punto più alto nel cielo, doveva avere il maggior numero di aperture, doveva avere il botto finale al centro dei fiori.

Le bombe di gara, costituivano la parte centrale del repertorio, erano lanciate a piccoli intervalli e potevano essere di vari tipi colori o grandezza. Anche per queste era richiesta precisione e ricchezza di colori.

Il gran finale era costituito da un esplodere ininterrotto e vario di botti e di colori di una durata inferiore a dieci minuti.

La valle nel buio echeggia di crepitii e rombi, si illumina di colori, che nel cielo disegnano i più begli arabeschi per divenire subito piccoli punti luminosi e scomparire, quasi per magia, in un buio pesto, mentre i monti tutt'intorno si mandano l'eco come in un gioco a palla, mentre ci si augura che ci sia un po' di brezza che spazzi via il fumo per non togliere nulla al "pezzo" seguente. Nella valle non sono pochi a vegliare, provenienti anche dai paesi vicini, appostati nei siti migliori per godersi lo spettacolo, sui balconi, sulle terrazze ben esposte, protetti dall'umido della sera di fine primavera. C'è sempre il fortunato, che, data la posizione della propria abitazione, può godersi lo spettacolo dalla poltrona attraverso i vetri di un balcone o cogliere l'occasione per invitare gli amici. Di rado si assiste ad un altro spettacolo al rovescio: l'incendio di sterpaglie nei boschi causato dai frammenti infuocati che cadono dal cielo.

 

Culto a San Michele sul Pizzo

 Anche se la chiesetta dedicata a San Michele, che sorge sul Pizzo omonimo dei Monti, appartiene a Calvanico, i solofrani sono legati da una tradizione a quel tempio.

Almeno una volta l'anno la cittadina manda un gruppo di fedeli sul Pizzo. L'ascesa naturalmente è per chi ha gambe forti e molto fiato, poiché non esiste una strada che renda più agevole la salita, la quale verso la fine diventa addirittura pericolosa. Bisogna, infatti, farsi strada tra la folta vegetazione su dirupi, sassi e difficili passaggi.

Nonostante ciò la chiesetta è annualmente raggiunta dai fedeli che vi passano la notte accendendo fuochi per segnalare ai paesani nella valle la loro presenza sul Pizzo.

Ecco una canzone che si cantava lungo la salita:

San Michele dicci

cumme stai accussì 'ncimma

Ti si mis'a stu puntone.

Fai grazie e favori.

Gimmo a San Michele e a chi lo creò.

 

 

 

La salita al monte descritta da Carmine Troisi

 

Il "Pizzo di S. Michele"

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Erte, dirupi. gioghi agli astri eretti,
e poi discese ripide in profonde
valli, sentieri fra macigni stretti;
intrico di fogliame che confonde;
 
di precipizi mal sicure sponde
al passo anelo che l'andare affretti;
rampe sassose, spoglie d'erbe e fronde.
tal da fiaccar metallici garetti;
 
fassi tal via per guadagnar l'ambito
picco di San Michele che a noi sovrasta;
ma ben si è paghi del cammino ardito,
 
quando, da presso a la chiesuola, guasta
un po' dal tempo, liba l'infinito
l'occhio, a mirar, che mai non dice:; - basta. 

 

 

INNO A

S. MICHELE ARCANGELO

 

Inno solofrano eseguito in occasione delle festività patronali. Le parole sono del poeta solofrano Carmine Troisi. Fu musicato dal maestro Antonio Famigliettì.

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I

Michele tu l'inclito duce

nei cieli in olimpica pugna

Tu stella fiammante di luce

qual sole risplendi lassù

 

Squillante: chi simil a Dio!

del mondo sorpassa i confini

echeggia pei cerchi divini

il nome che imposto ti fu.

II

Fortissimo braccio tra i forti,

invitto campion dell'Empiro,

fugasti le insorti coorti

col lampo del brando fedel.

 

Balzato per te nell'abisso,

fu satan dai seggi stellati,

per te fur così il vendicati

gli offesi dritti del ciel.

III

Seguaci del santo vessillo

che inalberi Tu della Croce,

o frema il nemico, o tranquillo

ci arrida di pace l'albor.

 

Andrem sempre avanti in Tuo Nome,

col cuore sempre volto e quel segno

fin quando il mirifico regno

ne accolga di luce e d'amor.

 

°

 

 

 

La storia delle due statue di S. Michele

 

L'otto maggio del 1888 durate la festa che in quel periodo si svolgeva a maggio. Si era da poco concluso il rito e la chiesa era stata chiusa. Ecco cosa dice Antonio Giliberti:

"Un popolo innumerato placidamente deliziavasi nell'ampia largura che dinanzi alla chiesa distendesi, per ammirare la varietà degli ingegnosi fuochi pirotecnici e udire l'armonia delle bande musicali. Ad un tratto partiva una voce stridula, spaventevole dalle finestre del Palazzo ducale ... eransi colà veduto attraverso i finestroni del Tempio divampare una luce vorticosa, straordinaria, che non pareva affatto la consueta delle lampade. Si precipita come lampo la gente; ma le porte della Basilica son chiuse a chiave, che tengono seco i sacrestani usciti a diporto. Dopo non breve ricerca si trovano; ed oh Dio! aperte, ed entrato il popolo ansante nella Chiesa, vede (spettacolo straziante che non avria giammai temuto) la venerabile preziosa statua una con la magnifica piramide tra un vortice di fumo e fiamme. Si slancia a corpo perduto una col Sottotenente dei Reali Carabinieri il signor Puricelli Napoleone insieme con la Brigata locale spiegando non ordinaria energia nell'incendio per salvarle; ma indarno, ma tardi. S. Michele è un carbone, la piramide è cenere. I grossi ceri posti ad ardergli innanzi e che ingigantirono l'incendio sono consumati; parte del presbitero marmoreo è calcinato; e, se altro indugio si frapponeva, sarebbesi appiccato il fuoco al soffitto ed ai quadri, mediante una corda di canapa già accesa, da cui uno dei lampadari pendeva. Il disastro è fatto, ma come sia avvenuto, è un enigma che nessuno Edipo ha saputo finora disnodare.

Lo sconforto il pianto le grida, lo schiamazzo assordano; è più che un comune motorio è una scena che fa al a solo ricordarla rabbrividire.

A stento la notte adulta induce il popolo a rientrare nelle domestiche abitazioni, lacrimoso, esterefatto, inconsolabile. Come sorge il giorno più copioso affluisce da ogni punto, pallido, tremolante, nel Duomo senza potersi persuadere come abbia potuto tanta rovina avvenire. Quivi il clero, il Sindaco, il Patriziato, non meno degli altri dolenti, pure come meglio si può, lo confortano, lo calmano, lo rianimano. Miglior via non si trova che proporre e progettare un pronto restauro, una completa riparazione del danno. si resta alle nude parole: senza metter tempo in mezzo è aperta una colletta; ed ognuno, secondo le proprie finanziarie condizioni, largheggia. Si spogliano dei preziosi adornamenti nuziali, le coniugate; non esitano offrire le donzelle i cari doni dai fidanzati ricevuti; anche il mendico corre a donare l'obolo che aveva, pitoccando, accattato. Già si è pronti a mettere il progettato restauro in atto: sono scelte tre cime del solofrano Patriziato, commendator Luigi Landolfi, Commendator Giuseppe Maffei, conte Francesco Garzilli per menare innanzi il progetto, i quali con ponderata provvidenza che li distingue, commettono ai primari artisti l'opera di grande aspettazione, e non poco malagevole; in cui è richiesto spiegarsi il più squisito , risultante dal triplice elemento religioso, artistico, naturale; e di una perfezione tale da stare a confronto con il consunto, fattura dell'ingegno peregrino di Giacomo Colombo"

L'incarico viene dato allo scultore Francesco Jerace

Nato a Polistena (Reggio Calabria) visse ed operò a Napoli dove Ferdinando di Borbone lo aveva chiamato. Ebbe una lunga carriera artistica nella scultura specializzandosi nei busti femminili in marmo. Suo capolavoro è il monumento a Donizzetti

"Già tutto è compiuto: fu rifatto con marmi suppletorii il presbiterio e nuovo di fondo la piramide eseguita dall'egregio scultore Erminio Trillo di Bagnoli, scomparso del tutto lo squallore della devastazione. E la Statua? L'antica mezzo carbonizzata con solerte maestria sarà rifatta la quale resterà per monumentale devozione degli adoratori; per uso della processione poi se n'è costruita un'altra nuova sul primo medesimo dell'antica, più solida e sicura ad essere trasportata processionalmente. Intorno a questa ha speso il valoroso scultore quanto ha saputo di genio, di arte, di ispirazione; per modo che è riuscita una meraviglia; che se avesse quello smalto cui suole il tempo sopra i colori distendere sarebbe rivale quella una volta elaborata dal Colombo. Come incantano la movenza, la carnagione, la guardatura! Vedi proprio un'aria di paradiso, la celeste beltà dell'arcangelo. Quanti, vuoi artisti, vuoi eruditi, la guardano, non si saziano di sempre rimirala e di predicare stupefatti la valenza dell'Autore, di laude indeterminata meritevole.

Plauso adunque a lui, plauso ed azioni di grazie al preclaro triunvirato che lo prescelse: plauso al patriottico cuore, alla sentita devozione del popolo solofrano! Sarà una pagina gloriosa della sua storia la quale ne eternerà il nome appresso le venture generazioni e rivelerà non essere i presenti cittadini affatto dai loro maggiorenti degeneri; anzi scrupoloso emulatori e che non ebbero esitato giammai di far volentieri per amore dell'avita religione e a pro della patria più che segnalati sacrifici. Solofra, 28 aprile 1889.

(da Catastrofe di S. Michele Arcangelo in Solofra. Elucubrazione di mons. Antonio Giliberti, canonico della Collegiata di S. Michele in detto Comune, Avellino, 1889).

 

 

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Testimonianze sulla festa del patrono

 

 

 

Da M. Maio, Tradizioni popolari e religiose di Solofra, Solofra, 1988

 

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