Da “Il Campanile”, 2005 (XXXVI, n. 7, p. 4)

 

La sede del culto a S. Michele: la pieve diventa chiesa recettizia

 

 

Abbiamo visto nell’articolo precedente come la pieve di S. Angelo e S. Maria era stata consegnata dal vescovo salernitano al prete solofrano Truppoaldo. Con i Normanni essa perdette il ruolo di pieve e divenne parrocchia. Fu proprio la nuova realtà, creata con l’arrivo dei nuovi dominatori  - alla fine dell’XI secolo -  che si ponevano in modo diverso nei riguardi delle popolazioni avendo organizzato lo Stato col sistema dei feudi, a spingere l’episcopio salernitano a mettere in atto una ristrutturazione ecclesiale e a creare le parrocchie, che dovevano essere più vicine alle comunità locali. Con questa trasformazione fu eliminata la titolazione della chiesa a S. Maria, evento che abbiamo visto già in atto nella pieve, e questa si chiamò solo S. Angelo. Essa faceva parte dell’Archipresbiterato di Serino, che era anche il centro del feudo, ed era l’unica parrocchia della conca solofrana.

In questo periodo, per opera sia dei re normanni che di Federico II, la Chiesa di Salerno, che era un forte centro di potere, ebbe un’importante prerogativa, che portò conseguenze favorevoli alla concia solofrana, quella cioè di non pagare alcun tributo sulle attività che si svolgevano nelle terre di sua proprietà e soprattutto sull’uso delle acque dei suoi fiumi. Se ne giovarono, oltre alla concia, anche  le attività molitorie di tutta la zona e quelle della lavorazione della lana di Giffoni. In special modo queste agevolazioni “fiscali” fecero sì che la concia solofrana potette ampliarsi tanto da sostituire in parte le concerie del sanseverinese, dove si erano spostate quelle di Salerno, poiché le nostre fosse di concia si trovavano tra boschi folti, in zona poco abitata, da non dare fastidio col loro fetore.

Eventi ancora più importanti avvennero successivamente. Tutto fu innescato dalla guerra del Vespro, che ebbe un centro di lotta nel Cilento e che provocò a Salerno uno scontro di potere tra l’aristocrazia e la borghesia artigiana cittadina, che riuscì a prendere il potere e a gestirlo in modo assoluto, eliminando l’altro centro di potere cittadino rappresentato dal Vescovo. Questo gruppo divenuto potentissimo e fiorente in città, intorno al suo mercato e al commercio amalfitano, impedì letteralmente ai Vescovi la presa di possesso del soglio episcopale, anche approfittando dell’assenza da Roma del papa che si era trasferito ad Avignone in Francia.

Insomma per un lungo periodo, quasi tutto il Trecento, i vescovi non riuscirono a insediarsi nell’episcopio e ciò provocò un’altra conseguenza notevole: l’usurpazione di tutte le terre, che la chiesa di Salerno possedeva in tutto il salernitano da parte di questa potente borghesia. Alla fine del secolo infatti, quando, essendo tornato il papa a Roma, il vescovo di Salerno potette prendere possesso della sua sede, dovette costatare la perdita di quasi tutto il patrimonio episcopale, che non riuscì più a recuperare. Naturalmente queste appropriazioni indebite non avvennero senza lotte tra gli usurpatori, e furono così feroci che i re angioini dovettero intervenire ben due volte con degli indulti per pacificare gli animi.

Tutto ciò ebbe i suoi segni anche a Solofra, dove la chiesa di S. Angelo e le sue terre, in pratica tutto il fiume con le sue fosse per la concia, che erano, come abbiamo visto, di proprietà della chiesa salernitana, furono occupate da numerose famiglie dalla borghesia di Salerno  - molti conciatori e speziali -  che si stabilirono a Solofra, a cui si aggiunsero le famiglie emergenti solofrane che non videro certo di buon occhio queste intromissioni. Anche a Solofra dunque ci furono feroci contrasti ed anche i solofrani godettero degli indulti angioini.

Tra le famiglie salernitane interessate a Solofra ci furono i De Ruggiero, un ricco ceppo di conciatori, del quale ben due membri, con due matrimoni, sposarono la feudataria Francesca Marra, vedova di Riccardo Filangieri e balia del piccolo Filippo. Per questo motivo i De Ruggiero spinsero la Marra alla costruzione del Convento di S. Agostino  - come essi stavano facendo a Salerno -  che avrebbe dovuto essere, come fu, un centro di raccolta dei prodotti provenienti dalla zona di concia lungo il fiume.

Il grande e importante cambiamento che tutto ciò portò a Solofra fu che la chiesa di S. Angelo, la ex-pieve, si trasformò in chiesa recettizia, cioè di proprietà delle famiglie del posto, le quali crearono una potente lobby che si impadronì anche del governo locale. D’altronde, per le caratteristiche dei tempi, solo le famiglie facoltose potevano governare una comunità, perché il più importante atto di governo allora era quello di anticipare il denaro dei tributi e poi recuperarlo presso i cittadini.

Il ceto del patriziato artigiano solofrano gestì S. Angelo attraverso un Collegio formato dai canonici provenienti da queste famiglie. Il Collegio canonicale infatti, come poi avvenne pure per la Collegiata, fu costituito da sole famiglie del posto, le più ricche, le più potenti, in pratica coloro che avevano il potere politico. Per questo motivo c’è sempre stato uno stretto legame tra la chiesa e l’Universitas, che era il governo cittadino, e per questo motivo le famiglie che governarono Solofra furono sempre in lotta col feudatario.

L’appropriazione della chiesa da parte del patriziato locale sottolineò ciò che già era stata la pieve, cioè una chiesa intorno a cui era sorta e si era sviluppata la vita della comunità, la quale era stata da essa guidata ed improntata. Ora la stessa chiesa, divenuta di proprietà locale, continuava ad essere, oltre che centro del culto del patrono, il fulcro della vita cittadina e sarà poi il principale sostegno della economia locale.

Mimma De Maio.

 

 

 

La pieve di S. Angelo e Santa Maria

 

 

 

 

Home

 

Altri articoli su “Il Campanile”

 

Scrivi