Madonna della Consolazione

 

 

 

Immagine della Madonna della Consolazione riproducente l'icona dipinta su pietra e proveniente da Gravina. Essa rimanda al noto ambiente di accezione bizantineggiante, imperante dal XIV al XVI secolo, ed oltre, in terra di Puglia. Si intuisce un frasario alquanto popolare e stereotipo, derivante da modelli iconografici bizantini più antichi, sul tipo della Madonna di Trani con il capo recline verso il Bambino benedicente, il maphorion della Hodigitria che limita la spazialità della fronte della Vergine in una postura neogoticizzante. Nella mano sinistra sembra reggere un libro sacro, mentre con la destra sorregge il Bambino benedicente e sorreggente il mondo (nel reperto in parte lacunoso ). Da questo modello popolare deriverebbe la classica iconografia della Madonna del Carmine, venerata in terra i Puglia sin dal XV secolo. Il reperto di Gravina, giunto in Solofra nel 1707, mostra lacune vistose e ridipinture postume.

 

 

Il nostro Francesco Guarini nulla ha a che fare con l’introduzione della sacra immagine giacché il reperto venne introdotto, in Solofra, da un tal chierico Francesco Colella da Nardò, verso l’anno 1707, come alcuni atti notarili, in parte, indirettamente paiono attestare. Questo fatto è raccontato dal canonico Liborio dei baroni Giannattasio, nel Suo libretto dedicato al santuario della Madonna della Consolazione al Galdo (a san Biagio) di Solofra, stampato nell’anno 1908 (pp. 8/15). La diversa versione dello storico Domenico Nardone di Gravina riporta ad un’antichissima immagine sacra asportata dalla chiesa-grotta di san Michele di Gravina, sotto la direzione del pittore solofrano Francesco Guarini, durante la sua permanenza alla corte degli Orsini (D. Nardò, Notizie storiche sulla città di Gravina, pp.13/14, nota 1). Il mio parere, supportato da altre documentazioni, riporterebbero al principio del XVIII secolo l’arrivo in Solofra di tale rarissimo dipinto rupestre. La nuova chiesa al Galdo, titolata all’immagine miracolosissima della Mater Consolatio, fu voluta dal nobile solofrano Giovan Tommaso Caropreso, nell’anno 1707. L’indagine non escluderebbe, infatti, occasioni ed episodi legati a verosimili rapporti economico-artigianali tra Solofra e Gravina, feudi entrambe dei potentissimi Orsini. Il reperto originale è attualmente custodito in San Rocco.

 

 

Si ringrazia Francesco Guacci che ha fornito le illustrazioni e i testi di cui sopra.

 

 

 

Lo studioso Giovanni Pacella afferma che "nella grotta di San Michele non c'è alcun loculo vuoto da cui si possa pensare essere stata asportata la pietra di Solofra". "Nella grotta c'è una cornice, ma appena abbozzata che certamente non può aver ospitato un blocco piuttosto spesso". [...] "La grotta di San Michele un tempo doveva essere tutta affrescata perciò non sarebbe stata facilmente privata di un affresco, anche se di epoca successiva (su un pilastro della grotta si conserva ancora un affresco del tardo quattrocento). Inoltre è fuorviante l'ipotesi di uno stacco di pietra senza lasciare traccia alcuna. Io penso, piuttosto, che l'affresco in questione potesse trovarsi in Cattedrale già al tempo del terremoto del 1456 e che non sia stato più attaccato dopo il suo ritrovamento per tanti inspiegabili e ingiustificabili motivi". Egli vede un significativo accostamento con "la Madonna del Piede, affresco bizantineggiante su pietra tufacea del XV secolo che si trova nella Basilica Cattedrale di Gravina". Inattendibile è la notizia di uno stacco avvenuto con l'assistenza del Guarini.

 

Si ringrazia Giovanni Pacella della Cooperativa di promozione turistica "Benedetto XIII" di Gravina. 

 

 

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