Famiglie solofrane

I Landolfi

 

La famiglia Landolfi è un ceppo di origine longobarda imparentatosi nell’Italia meridionale con i Normanni tramite Mabilia di Ceccano che alla fine del XII secolo sposò Iacobo Tricarico, discendente del normanno Troisio di Rota e feudatario di Solofra1.

Forse questa fu la via che portò all’instaurazione a Solofra di qualche ramo della famiglia, che nel 1329 si trova iscritta tra le trenta famiglie civili di Solofra2.

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1. Cfr. F. Della Marra, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, Napoli, , p.135. Giacomo Tricarico fu feudatario di Solofra all’inizio della sua autonomia territoriale ed amministrativa.

2. Il notaio Vitantonio Grassi riferisce che nella Regia Camera della Sommaria c’era un documento che riportava un tale elenco che egli cita nella sua memoria Genealogia e ragguagli Istorici del antico e moderno stato di Solofra e sua Università, 1722.

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Nel XVI secolo la famiglia si trova ben impiantata nell’alto ceto solofrano infatti un suo membro, Nicola, all’atto della istituzione della Collegiata fu membro del Collegio dei canonici.

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Era questo uno status solofrano non solo indice dell’appartenenza al ceto privilegiato ma anche di sicura derivazione locale in quanto la bolla di fondazione della Collegiata proibiva ai non solofrani o non oriundi di entrare in quel Collegio. Il tempio era una chiesa "ricettizia" di patronato delle maggiori famiglie del posto, una specie di Pantheon del ceto emergente locale che, nel momento di maggiore splendore della parabola economica solofrana, si trasforma in Collegiata ed acquista le forme che oggi vediamo.

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In esso i Landolfi ebbero il jus di una cappella dedicata alla SS. Trinità e sita nella navata sinistra ed in seguito anche il diritto di posa del proprio stemma, due edicole che sorgono al lato dell’altare maggiore ed il carico di sei Mansionari per il servizio del coro, furono infine sostenitori del Capitolo della Collegiata3.

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3. F. Garzilli, La Collegiata di San Michele Arcangelo in Solofra, Napoli, 1989, pp. 34-35 e n.5, 59, 113, 194 e 204.

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Come tutte le famiglie solofrane la posizione sociale dei Landolfi fu determinata dalla partecipazione alle attività artigiano-mercantili locali che fornirono la base per il salto verso il clero o il ceto togato talché questa famiglia seguì un iter determinato e paradigmatico.

I Landolfi furono proprietari di apoteche de consaria sia al rione Fiume, sia al casale Fontane sottane, di botteghe per la lavorazione delle scarpe e del battiloro. Furono mercanti con un ampio raggio di azione dalla zona mercantile di Lanciano, alla Puglia e a Napoli, luoghi questi ultimi dove si impiantarono con le loro attività e con matrimoni che li legarono a Melfi e a Bitonto. Nella capitale soprattutto ebbero rapporti economici e vi si trasferirono per godere con il loro impianto in città delle prerogative commerciali destinate ai cittadini di Napoli proprietari di beni in città ed ivi sposati.

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Soprattutto l’attività del battiloro non poteva svolgersi senza un simile tipo di aggancio poiché su di essa la capitale godeva il jus prohibendi, cioè la privativa per cui non poteva svolgersi in altra località se non come diramazione di quella napoletana.

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Importante fu il loro trasferimento a Napoli non solo per le attività economiche quanto per la conseguente evoluzione sociale che la vita nella grande capitale portava con sé. Si instaurò infatti in questa famiglia una solida tradizione di notariato e di studi legali.

 

 

 

Gli atti notarili del XVI secolo mostrano la famiglia dominante nel casale Vicinanzo, dove era avvenuto il primitivo impianto con Pietro e col fratello Andrea e dove furono compatroni della locale Chiesa della SS. Annunziata col possesso di un jus nella Cappella del Crocifisso. Di qui lungo tutto il secolo XVI si installarono nei casali confinanti di Caposolofra, del Sorbo e della Forna con un’abile politica di matrimoni che, come li aveva legati ai Garzilli e ai Grimaldi, dominanti tra Caposolofra-Vicinanzo, li portarono a legarsi ai Ronca dominanti al Sorbo e ai Giliberti dominanti alla Forna, oltre che ai Maffei con cui dividevano l’artigianato del battiloro4.

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4. Archivio di Stato di Avellino, Notai B6522 e sgg.

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Per tutto il secolo ed anche nel successivo non si individuano dei rami distinti essendo tutti i nuclei familiari uniti dalle stesse attività e dagli stessi interessi.

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In questo secolo si trova il già citato canonico Nicola tramite il quale la famiglia fu tra i possessori della chiesa matrice di S. Angelo. Altro protagonista fu Cortese, mercante con interessi nel campo della concia della lavorazione della pelle. Chiari sono i suoi rapporti col mercante cagliaritano Sixto che a Napoli dominava il mercato della pelle. Tutto il ceppo partecipò alle vicende della Universitas nel passaggio al demanio, quando per esso si impegnò Valerio. Per tutta la seconda metà del secolo la famiglia dominò l’importante ente economico-religioso di Santa Croce-S. Agostino con Sigismondo, Clemente e Scipione e col frate di S. Agostino, Leonardo. Sarà Luciano alla fine del XVI a continuare la politica ecclesiale dotando la chiesa di S. Maria delle Selve, tra il Sorbo e Vicinanzo, per la costruzione di un convento ed istituendo un Monte per i poveri.

 

 

 

 

SECOLO XVII

 

Nel XVII secolo si possono individuare alcuni protagonisti:

Il canonico Nunziante, appartenente ai Landolfi della Forna, che facevano capo a Catanio e che ebbero giurisdizione nella Chiesa di S. Maria del Popolo.

I canonici della Collegiata: Agnello dal 1705 al 1748, Gaetano, dal 1681 al 1740, Giovanni Pietro, dal 1654 al 1669, Giovanni Sabato dal 1669 al 1691.

Flavio, discendente da Cortese e figlio di Giovanni Pietro e Claudia Garzilli nacque nel 1631, uomo di prestigio e dottrina tenuto in gran considerazione dalla feudataria Giovanna Orsini della Tolfa, fu canonico della Collegiata dal 1656 al 1707.

 

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Di Flavio, morto nei primi anni del Settecento, dice il notaio Vitantonio Grassi: "Fu molto venerato, si ritirò dalla sua casa e visse nella Collegiata in una celletta dietro la cappella di S. Basilio, antica sacrestia con un umile letticciuolo vivendo una vita quaresimale anche di Pasca in 23 anni senza preterire un minimo giorno" […]. A lui si deve il "nobile e singolare composto di marmo rigato seu porfido volgarmente detto il paraustro" fatto "con industrie dei nostri paesani ridotte a gran perfettione" e si devono "i due soffitti collaterali della Collegiata, il fonte battesimale pure di porfido, la continua cura che avea della stessa Collegiata col ripararla da ogni emergenza e particolarmente in occasione del terremoto del 1688, tenne mano a tutte le opere di pietà che si sono fatte nella Cappella dei sette dolori con belle statue con l’assistenza alle monache. Il primicerio Giovan Sabato si gloria essere stato suo figlio spirituale".

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Più precisa si fa la definizione della famiglia facente capo a Tarquinio Landolfi del Sorbo il cui figlio Mario sposando Feliciana Ronca conferma il dominio della famiglia nel casale e l’altro figlio Giovan Sabato, sacerdote conferma la direzione ecclesiale sempre perseguita dalla famiglia.

 

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Mario Landolfi fu uno dei più ricchi conciatori dell’epoca, mercante con uno raggio di azione sulle piazze non solo della vicina Salerno o della capitale, ma anche della Puglia, dove a Melfi il figlio Donato Antonio sposò una Donadoni. Vissuto tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, partecipò alle liti della Universitas contro l’Orsini subendone anche le conseguenze.

Dotò la Collegiata di S. Michele Arcangelo di sei Mansionari per il servizio del coro.

Dice di lui il contemporaneo notaio Vito Antonio Grassi:

"Merita particolare encomio Mario Landolfo per la particolare attenzione nell’istesse liti che per difensione della Padria non li fu disaggio l’andar vagando, et assistere all’Eccellentissimo Sig. Vicerè, Regio ministro e Tribunali di Napoli e Regno con spender de proprio più migliaia di docati per la difensione del ben pubblico non solo nel suo sindacato ma dal continuo e patì molti travagli. Passò egli a miglior vita nel giugno del 1716".

Lo stesso ci fornisce un sonetto scritto alla sua morte da Sigismondo Vigilante:

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De la patria tutor Mario morio

oh dell’umane cose instabil fato

quel che ciascun vincitor ora vidio

de la patria al favor piange atterrato

 

Ahi! ch’al morir suo anche mor’io

ma che mi giova l’havermi querelato,

le chiuse i lumi al tenebroso oblio

per dar aita maggior al suolo amato.

 

Deh, vedova patria, orfana pupilla,

cessa di molestar l’alma felice,

lascia di pianger più tu cittadino

 

e giachè della terra il ciel sortilla

or aggiuto maggior sperar si lice

se d’humano tutor fatto è divino.

 

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Dal testamento di Mario Landolfi

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1716, giugno 1 (ASA, Notai, B6772, ff 185 e sgg)

Il testatore dispone di essere sepolto nella cappella della famiglia Landolfi nella Collegiata. Gli eredi sono il clerico Felice Antonio, Tarquinio e Donato Antonio a cui lascia la sua casa palazziata al Sorbo costituita di 34 membri inferiori e superiori con tre gradinate, una loggia soprana, un cortile, un pozzo, una pergola a padiglione ed altre comodità, con giardino murato congiunto ad altro giardino fruttifero; altre due case con fontana e cortile site a Caposolofra seu Vicinanzo, una casa sottana, una bottega di conceria con spanditoio sita alle Fontane sottane seu S. Lucia che possiede in comune col fratello Nicolò; una selva alla Palata, un’altra detta Selva di Nicolò Landolfi, un’altra al Campo del Lontro; un’altra detta Selva di Nuzzo; una alle Mura dei Cappuccini, una masseria al Carrano con casa rustica; tre masserie alle Celentane; una bottega con tre porte camera due cisterne e suppigno con gradiata sita nella piazza di Bitonto. Nella casa c’è: lo studio del figlio Michele defunto con i suoi libri, una casa uso salata, un magazzino con caldara de conciaria con tavola per salata di vacche, un casino con tavole per tenere mortella e con una statela grande, una casa delle tenatore, ci sono corie bufaline forestiere, castrati della fiera di Grottole, coire baccine, un tauro, porcini, sopra le tenatore vi è un mocassino per uso di pagliara. Nelle case vicino all’entrata grande detta della colata dove si corredano le corie ci sono due tavole grandi da corredare e loro scanni di legno e altre tavole. A Donato e a Felice Antonio lascia gli arrendamenti dell’Università di Lucito in Capitanata di Puglia l’arrendamento della "Farina vecchia" di Napoli. Dice di aver dotato le figlie monache Maria Felicia e Serafina, lascia al nipote Brando ducati 500. Lascia dei legati alla chiesa di S. Vito. Si raccomanda affinché nella festività di San Michele dell’8 maggio gli eredi o i chiamati nella fondazione dei Mansionari donino una candela seu torcia lavorata di una libra ai Mansionari che devono assistere al coro. Ai figli spetta di solennizzare a loro spese l’ottava di detto santo. Dichiara di dovere ducati 1250 al canonico Vittorio Ronca, mansionario, a Marco de Facenda di Bitonto, a Salvatore e Felice Maffei per la gabella. Suoi debitori sono: Giò Grazio Guarino, Nicola di Gifuni di Napoli, Carlo Rossi di Paternò, Francesco Giaquinto, Pietro Guarino, Filippo Filosa di Salerno, Costante di Napoli di Giffoni, Graziano Grimaldi, Basile de Marra della Foria di Salerno, Lorenzo Ronca, Francesco e Diego Barone di Saragnano, i fratelli Antonio e Giuseppe Landolfi, Andrea Vigilante, Flavio, Tommaso e Mario de Vultu, Giacomo Vigilante, l’Università di Solofra, Giuseppe di Benedetto, Michelangelo Landolfi, Nicola Pirolo, Vittorio Garzillo. Dispone dei lasciti a Santa Maria delle Grazie, alla Cappella di S. Maria dei sette dolori, al Monte dei Landoolfi

 

 

Monte dei Maritaggi della famiglia fondato da Gio. Pietro.

 

 

 

 

 

SECOLO XVIII

 

Nel XVIII secolo si può cominciare ad individuare una distinzione tra le famiglie del ceppo solofrano dei Landolfi che nel 1722 erano 12 fuochi con 70 individui dislocati oltre che nei tradizionali casali in quello di Capopiazza.

 

 

 

I Landolfi dal catasto onciario

 

Dal catasto onciario del 1754 si hanno 12 fuochi dislocati nei casali.

Sorbo

·         Dott. Donatantonio Landolfi di anni 48, vive del suo. Lucia Donadoni di Melfi moglie di anni 36. I figli: Michele, sacerdote in Napoli di anni 26; Francesco, alla scuola in Napoli di anni 15; Felice, alla scuola in Napoli di anni 14; Niccolò, alla scuola di anni 12. I servitori: Arcangelo Cavallo di anni 30 e Fortunata Ferrandino di anni 22.

Possiede: Una casa palazziata con vari quarti superiori e inferiori, cortile murato, pozzo, loggia, due giardini per suo comodo; un giardino arborato con viti latine e frutti; una masseria arborata e seminata con casa rurale di molte stanze a Le Celentane; una selva castagnale La Palata; due a Le Cioppole; una detta Selva di Nuzzo; una a Li monaci; una a Ischimerola.

Pesi: Ai Mansionari della Collegiata, al Monte della Famiglia Landolfi, al Monastero di S. Teresa, alla Chiesa di S. Maria delle Grazie, alla Chiesa parrocchiale di S. Agata, alla Principale Camera, al religioso Tarquinio della Congregazione di Montevergine, a suor Rosa Maria, monaca del Monastero di S. Maria delle Grazie.

Il figlio Michele ha una scheda a parte dove dichiara di suo una masseria di fabbrica di ettari 8 arborata, seminata e vitata sita al Carrano, e crediti da Donato Ronca per la conceria al Fiume con l’impegno di farne messe come da testamento di Tarquinio Landolfi.

 

N. B. I beni di questa famiglia dicono la chiara origine dalla zona di Caposolofra-Vicinanzo. Da notare la parentela con i Ronca e i beni di cui godeva il sacerdote che come tali non erano gravati da tasse e restavano nella famiglia.

 

Cupa-Toppolo-Capopiazza

·         M. Pasquale, professor delle leggi, regio notaro di anni 59. Rosa Maffei, moglie di anni 65. I figli: Angelantonio, "prattico" di suo padre di anni 23; Giovanni, suddiacono di anni 21. Teresa, sorella di anni 56. Angiola Russo, serva di anni 19.

Possiede: Abitazione propria di varie stanze sita alla Cupa, giardino, terreno arborato seminativo a Le Corticelle; ducati 50 per vitalizio della moglie. Peso: Collegiata S. Michele Arcangelo.

Il sacerdote Filippo di suo patrimonio possiede una casa con varie stanze sita alla Cupa nella casa del fratello Pasquale.

Il sacerdote Giovanni, di anni 21, fa parte del fuoco del padre Pasquale, esige dal Banco del Salvatore di Napoli per arrendamento del sale ducati 30.

N. B. Pasquale e Filippo sono figli del notaio Giovanni che operò a Solofra dal 1673 al 1744. Avevano un altro fratello, Agnello, canonico della Collegiata e vescovo di Bitonto già morto nel 1754 e Domenico, mercante sposato con Vittoria Giaquinto il cui figlio, Giovanni Battista, sarà notaio regio a Solofra dal 1772 al 1829. Il figlio di Pasquale, Angelo Antonio, sarà notaio.

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Figlio di Giovanni Battista fu Agostino nato nel 1800. Fu avvocato e alla sua morte, avvenuta nel 1879, donò il suo palazzo e una congrua dote alla comunità solofrana per farne un ospizio per i poveri. Questo palazzo si trova in via Agostino Landolfi al casale della Forna è uno dei pochi rimasti intatti dopo il terremoto del 1980 ed è stato ristrutturato nelle forme antiche. L'ospedale a fine Ottocento fu trasformato in ente e funzionò bene accogliendo anche un Asilo. L'ospedale zonale di Solofra porta il suo nome poiché è la trasformazione dell'antico ospedale donato dal Landolfi.

 

 

·         Giosafat vive del suo di 30 anni con la moglie Giacinta Famiglietti di anni 23, la madre Lucrezia Giliberti di anni 65, gli zii: Niccolò di anni 80, Francesco Antonio, sacerdote di 62 e Alessio, sacerdote in Napoli di anni 60, il fratello Salvatore, studente a Napoli di anni 22, le serve: Giuseppina Pandolfelli e Diana Bianchina di anni 25 e 18. Abita in una casa palazziata con stanze inferiori e superiori e cortile, possiede due case sottane uso bottega date in fitto.

Francesco Antonio, figlio di Giosafat e facente parte del suo fuoco, ha una casa alla Piazza, una bottega alla Fratta, un terreno a Capopiazza, una selva al Chiamerano.

Alessio, sacerdote facente parte del fuoco del nipote possiede una casa di 8 stanze a Capopiazza, una selva al Greco e vari crediti.

N. B. Giosafat è figlio del fu Nicola, a sua volta figlio di Giosafat e fratello del canonico Flavio.

 

Caposolofra-Vicinanzo

·         Pietrantonio vive del suo col figlio Nicola, la nuora Elena Petrone e i nipoti: Felice (lavora in conceria), Francesco Antonio (chierico), Orsola Marianna e Felice Maria; altro figlio è Gio Santo, con la moglie Anna Frammontana; Francesca Renzullo, altra nuora vedova del figlio Filippo, i nipoti: Giuseppe e Michele; altro figlio Giovanni. Abita in un appartamento di più stanze con cortile e loggia, possiede un giardino, un terreno al Galdo, è gravato di vari pesi. Ha un’abitazione a Napoli insieme al fratello Giuseppe al Portico della Fontana dei serpi.

·         Carlo, bracciale di 46 anni con moglie Orsola Siano, figli: Pasquale, battiloro di 18 anni, Vincenzo, sartore di 14 anni, Santo di 11 anni, Annamaria e Vittoria di 24 e 22 anni. Abita una casa propria.

·         Vitantonio, maestro battargento di 35 anni, sposato con Felicia Garzillo di 25 anni, figli: Gennaro e Niccolò di 6 e 4 anni; Cherubino, fratello merciaio. Abita in un sedile di casa con cortile e pozzo. Usa una bottega in fitto impegnando col fratello 50 ducati in mercanzie.

·         Domenico Antonio, soldato nei Regii Tribunali di anni 80, vive col figlio Liberato, soldato ai Regii Tribunale di anni 50, con la nuora Caterina Garzillo di 50 anni, col nipote Pasquale di 30 anni che fa il battargento; Teresa Grimaldi, nuora di 40 anni e i suoi quattro figli: Carmine Antonio, Domenico Antonio, Isabrella e Michele di 8, 4, 3 e 1 anno. Abita in una casa propria, possiede un'altra casa, una selva castagnale e un terreno arbustato, impegna col figlio Pasquale 100 ducati nell’industria di battargento.

·         Michele (figlio del maestro Soccorso), battargento di 53 anni, con Teresa Grimaldi, moglie di anni 48, e con i figli: Elena e Chiara di 18 e 14 anni, con Ferdinando, fratello sacerdote di 56 anni (abita a Roma), con Giuditta, sorella di 48 anni e col fratello, Filippo di 43 anni, negoziante. Abita una casa con cortile e pozzo, beni patrimoniali dei fratelli, possiede un bosco a Le vene, impiega col fratello ducati 200 nella mercatura.

·         Gio Antonio, sacerdote, possiede una casa di varie stanze al casale Vicinanzo, un comprensorio di case con giardino, pesi vari.

N. B. Fu Adriano all’inizio del secolo a comprare a Napoli una proprietà alla Fontana dei Serpi.

 

Forna

·         Niccolò di anni 44, senza impiego; Alessio, figlio di 20 anni, studia legge; Giuseppe, sta alla scuola, di anni 19. Abita in una casa propria con stanze superiori e inferiori con giardino. Possiede un'altra casa al Sorbo, un sedile di case di 5 stanze superiori e inferiori, una mezza bottega di conceria al Fiume, locata a Costantino Ronca. 

·         Gabriele, sartore di anni 50 con la moglie Clemenza Ronca. Abita in una casa propria con cortile e giardino, possiede un quarto di tre case site al Sorbo, un quarto di conceria sita al Fiume e locata a Costantino Ronca, un terreno arborato seminativo sito in località La Torre, un quarto di terreno arborato sito a Carpisano, mezza selva in località Le fratte e mezzo territorio in località Il Campo, ha crediti e pesi vari.

·         Basilio di 44 anni, senza impegno, Rosa Grimaldi, moglie, figli: Antonio, battargento di anni 15, Pantaleone, a scuola di 12 anni, Angela e Teresa di 15 e 5 anni. Abita una casa dote della moglie, possiede altre stanze ad uso proprio, un quarto di conceria al Fiume, locata a Costantino Ronca, un quarto di 4 stanze al Sorbo, un terreno al Campo, uno alla Torre ed uno a Carpisano, una selva al Chiamerano. Vari crediti e pesi.

N. B.  Niccolò, Gabriele e Basilio sono fratelli. Il figlio di Basilio, Pantaleone, sarà notaio regio a Solofra.

 

 

 

 

Alla Forna abitò Giuseppe, il cui figlio, Nicola, ebbe interessi a Melfi. Da lui nacque Ferdinando, che fu coinvolto nella Rivoluzione partenopea del 1799 e poi Luigi.

 

Vedi

Luigi Landolfi intellettuale della Napoli borbonica e postunitaria

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Da Felice (Solofra 1739-Napoli 1872), figlio di Donato Antonio e utriusque juri doctor, e Tommasina Fusca nacque Mario, che fu Consigliere di Corte di Appello. Da lui e da Teresa dei conti Panzuti nacque Michele (Napoli 1848-Palermo1938), che fu Primo presidente della Corte di Cassazione del Regno d’Italia.

Michele, pure abitando a Napoli, ebbe intensi rapporti con Solofra dove veniva in villeggiatura. Di questi si ha una traccia sul giornale locale "Le rane" nel 1902 e nel 1910, quando il periodico dette la notizia della sua nomina a Primo Presidente della Corte di Appello di Messina, già Consigliere della Corte di Cassazione di Palermo.

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Si riportano le note del "Roma" dell'11 febbraio 1938.

"Si è spento qui dopo breve malattia S. E. il cav. di Gr. Croce Michele Landolfi, Procuratore Generale di Cassazione a riposo. Nato a Napoli da una famiglia di grandi tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura. Per oltre cinquant’anni esercitò l’alto ministerio con serenità e indipendenza. A Napoli fu Consigliere della Corte di Appello e Presidente Capo del Tribunale. Nel 1919 fu promosso alla Suprema carica di Procuratore Generale della Corte di Cassazione di Palermo. Era insignito dell’alta onorificenza di Cavaliere di Gran Croce, decorato del Gran Cordone dei Santi Maurizio e Lazzaro. Magistrato di vasta cultura, di fecondo ingegno, fu altamente stimato per rettitudine, integrità di carattere, bontà di animo, signorilità, marito e padre esemplare. Con Lui scompare una delle più eminenti figure della Magistratura italiana."

e del "Il Mattino" del 1° marzo 1938.

"Si è spento a Palermo dopo breve malattia S. E. il Cav. di Gran Croce Michele Landolfi, Procuratore Generale di Cassazione a riposo. Nato a Napoli da una famiglia di grandi tradizioni entrò giovanissimo nella Magistratura percorrendo rapidamente e brillantemente tutti i gradi della carriera. Per oltre cinquant’anni esercitò l’alto ministerio della giustizia con serena coscienza ed indipendenza, lasciando dovunque tracce indelebili della sua opera di valoroso magistrato di vasta coltura, di profondo acume giuridico, di fecondo ingegno fu sinceramente stimato per rettitudine, integrità di carattere e bontà di animo. Ed accanto a queste sue impareggiabili qualità associava la nota fine ed accogliente della signorilità del gentiluomo di razza.

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Un approfondimento:

Il ramo della famiglia Landolfi del Sorbo di Solofra

 

 

 

 

 

APPENDICE DOCUMENTARIA

 

1. 1581, giugno 20.

Testamento con Codicillo di Desiderio Landolfi abitante al casale Vicinanzo, rogato dal notaio Alessandro Giliberti. Il testatore descrive ciò che possiede nella sua conceria alle Fontane sottane, dove per la prima volta si trova il termine bottaro riferito ad un contenitore di pelli, ci sono poi vacche conciate di mortella, coire conciate in albo, ienchi conciati, spago e filo, cantari di sivo. Il testatore possiede due poteche al casale de li Burrelli, un oliveto, varie selve, una bottega sotto la casa al Vicinanzo, ha pelli depositate nelle botteghe della fiera di Salerno. Lo stesso elenca le recoglienze relative a vari mercanti di Napoli tra cui Sebastiano de Giordano, esercente alla doganella, Giovanni Pataraca, Bartolomeo Manciarotto, Terenzio Gagliardo alla Ruga francesca, Felice de Santis, Tiseo della Mura, Pietro de Sarvia. Lascia inoltre dei beni mercantili agli eredi di Michele Landolfi che abitano alla piazzetta di Fontana dei Serpi di Napoli. Erede universale è il figlio Giovan Stefano, usufruttuaria la moglie Lisabella Guarino, dotate le figlie Pompilia, Hieronima, Potentia, Antonia, Cassandra. Esecutori testamentari sono Nicola Guarino, Sebastiano Petrone, Luca Landolfi, Giovanni Antonio Landolfi e la moglie Lisabella, sopratutore è il rev. Don Giovan Pietro Landolfi. Il testatore dispone che se il figlio muore senza eredi deve succedere tutto llo cippo suo dalle più propingui de casa Landolfo, inoltre dispone che si deve ogni anno maritare una figlia del detto cippo. Dispone ancora che si facciano 5 tomola di panelli da dispensare ai poveri nel giorno del suo funerale, definisce inoltre un lascito per la costruzione del Monastero monacorum Cappuccinorum accanto alla chiesa di Santa Maria delle Selve ed altri lasciti alle chiese del territorio, alla fabrica di S. Angelo e della cappella di San Basilio. Dispone infine di essere seppellito nella Cappella de’ Landolfi nella chiesa di S. Croce. (ASA, B6556, ff. 137-138).

 

2. 1680, agosto.

Atto di fondazione di sei Mansionari da aggiungere al Collegio canonicale della Collegiata di S. Michele Arcangelo rogato dal notaio.

Alla presenza del primicerio Giovan Sabato Iuliano e dei canonici della Collegiata Ortensio Fasano, Giuseppe e Cesare Garzilli, Flavio Landolfi, Giuseppe Ronca, Giovanni Maria Giannattasio, Giovanni Sabato Landolfi, Flaminio Ronca, Giuseppe del q. Alessandro Ronca, i fratelli Mario e Tarquinio Landolfi, Liberato Landolfi e suo figlio Giuseppe "et eius successorum" istituiscono sei mansionari "seu edomandarios" "de iure patronatus eius familia" con "facultas nominandi et presentandi" secondo i modi stabiliti dai Capitoli di fondazione che sono di questo tenore:

 

Detti mansionari sono istituiti "ad maiorem Dei gloriam et salutem euis animas et prenominati eius patri et aliora in eius mente reservatorum ac pro augenda se ipsum fidelium" "oneribus et honoribus", devono avere l’assenso della Curia Arcivescovile di Salerno. Devono essere in numero di sei e devono intervenire nella Collegiata di San Michele Arcangelo "in simul cum dictis presentibus capitularibus et functionis illos facere que de iure canonico ad ipsos spectant et semper intervenire in coro in loco ab aliis distinto et ipsis cleruque appropiando destintis ab ipsis canonaris et capitularibus, cum insignis distintis ab ipsis capitularibus et propre cum zambardis, cum hoc et honorate, et decentor in divinis de servire volent ac distintis ab ipsis capitularibus pro illa prefulgent ab aliis Parrochis et ex ceteris presbiteris", devono godere "omni honore, et prerogativa, tam in dicta Collegiata, quam in processionibus, et funtionibus ubi solet faciendis, et cum prerogativis capitularis et expresse conventis cum dictis capitularibus" fatto salvo sempre l’assenso dei superiori.

"Debeat habere in processionibus defuntorum carolenum unum sicut habeant presenti capitulares, et ceteri presbiteri de clero habent in simili convocatione et functione". "Insuper quod quoties erit vocatum totum dictum capitulum ad funtione mortuorum debeant consimiliter intervenire ante omnes alios presbiteros". Devono sempre "esse cum dicto Capitulo, nec ab eo possit seiungi in dictis processionibus mortuorum". Nelle altre festività invece come nella celebrazione delle messe fuori della Collegiata ed anche in parte delle celebrazioni fatte all’interno della Collegiata "circa missas adventias" ex voto fidelium" "non ex obligatione perpeta". "Pro elemosina habere debeant grana duo cum dimidio, que elemosina param est minus de carlini spectante ad dictos Canonicos". La convocazione deve avvenire in questo modo: "Quoties conferetur sotus integrum capitulorum debeant intervenire cum in simul sex, quoties vero vocatur medietas presenti Capituli debeant eum intervenire duo, et proprie quilli duo qui in eadem edomoda reperientur se assistentia, et interventu ad corum". Per gli emolumenti devono "dividere eum pariter in eos sicut praticatur inter eodem Capitulares" seguendo l’uso del Capitolo collegiale. Nelle Messe che si terranno nella Collegiata e che superano il numero dei sacerdoti capitolari essi devono tenersi solo l’elemosina ordinaria "et currenter illis tribuere, nec possit aliis presbiteris illos concedere", nelle elemosine privilegiate devono sempre anteporre i sacerdoti capitolari. Nella Collegiata devono avere un posto "destintos ab ipsis presbiteris" sia "pro conservandi suipsis insignis, et aliis necessariis ad ornamentum pro corum officio, et celebratione". Così sarà loro conservato un "locum distintum intus corum ubi debeant clausule preparari" e in numero sufficiente per "omnia paramenta necessaria". Come "iure recognitionis tam ipsi presenti compatroni, quam aliis successoribus debeant in perpetuum dari unam libram cere lavorate, que debeant consistere in uno cereo vita durante ipsius compatroni et successoribus" "tres candele, similiter facientes unam libram" e ciò deve avvenire nella festa di S. Michele del mese di maggio quando durante la messa solenne uno dei mansionari, "primus sedens in coro, accedat ad altare inter missam solemnia et consignet in manus celebrantis dictos candelas" che il celebrante consegna ai compatroni e dopo la morte di Giovan Sabato dovrà essere consegnata una candela per ogni discendente dei tre compatroni. Inoltre i mansionari sono tenuti a celebrare "in diebus feriari missam unam in perpetuum" nella Collegiata e "in altare divini Tome de Aquino missas duas", altre due messe "in altare S. Michaelis Arcangeli aut in alio altare", "alias missas duas in altare S. Basilii" per un totale di trecento messe così distribuite: "quinquaginta per quemlibet ipsorum mansionariorum" all’anno con la facoltà di non celebrarle nei giorni festivi. Celebrazioni obbligatorie invece sono quelle della festa di San Michele Arcangelo di maggio insieme a tutto il clero capitolare "cum decenti apparato", con suono solenne; in tale occasione è necessario posporre ogni altra incombenza. In ottava "debeat celebrari per presenti Capitulum" ed a carico degli stessi dovrà esserci "iusta celebrationem officis cum ipsos tangenti", allora sono tenuti di "intervenire in coro" insieme con i sacerdoti capitolari. Così per le "horas Canonicas" dovranno seguire la prassi. In tali occasioni (giorni festivi, ottave, e altri giorni) due dei sei mansionari, divisi per terze, dovranno essere "incessanti puntualiter". Per questo fine ogni anno essi devono eleggere un "magister" che stabilisce chi deve intervenire nel coro, fermo restante che il numero di sei non "liceat diminui, nec possit, ex qua vis urgenti, favorabili, et privilegiata causa". Infatti "si talis esset, que requiret mensionem espressam, et specialem".

Sono tenuti ancora ad assistere ed intervenire a tutte le funzioni e celebrazioni, sia nei primi che nei secondi vespri "cum canendo antifonas" et in consimili altre funzioni. Sono tenuti ad assistere "in processione solemni festivitati SS.mi Corporis Cristi" nella chiesa "usque ad atrium asportando bacula, cum pliviali pallis, usqi quo consigneretur ad manus magnificant de magistratur".

Secondo la facoltà riservata ai compatroni di nominare e presentare i mansionari essi "pro hanc prima vice presentant et nominant" il rev. Don Gaetano Landolfi, i chierici Giulio Cesare Petrone, Giovanni Vittorio Grimaldi, i sacerdoti Domiziano Ronca, Salvatore Pandolfello e Tommaso de Vulto con tutti i diritti, le prerogative, gli emolumenti, gli onori e i doveri citati.

Detti mansionari in futuro devono essere sacerdoti "vel saldem clerici, qui attingat annum vigesimum primum" oppure "clerici forte eligendi teneatur ascendere ad gradum sacerdotalem" ed abbiano "etatem prefatam et completam ad sacerdotium" per i quali la celebrazione delle messe sarà a carico di altri sacerdoti. Se hanno raggiunto il venticinquesimo anno senza aver conseguito lo stato sacerdotale "remaneat privati ab ipso officio et beneficio mansionarii. In tal caso si possa "eliggi, et presentari, et sub rogari alios sacerdos".

Nella elezione dei mansionari "semper preferantur, et preferi debeant descendentos ipsius mag.ci Marii, et Tarquinii Landolfo" e i discendenti di Giuseppe e Liberato Landolfo. Se mancano i discendenti maschi "preferi debeant filii mag.ci Flavii Grimalda". E mancando questi "preferi debeant filii mag.ci Feliciana seu Finitia Grimalda", mancando questi "preferri debeant filii forsan nascituri ex Iulia Garzillo", mancando questi "preferi debeant descendentes omnes masculini" di Felice e Giustiniano Landolfo, mancando anche questi "preferi debeant" i discendenti maschi di Paolo e Carlo e Giosafat Landolfo, e poi i discendenti maschi di Sandro e Ferdinando Landolfo. L’ordine di preferenza è il seguente: si devono preferire i primi tre di maggiore età.

Mancando tale ordine di prelazione ha facoltà di nominare prima Mario "vita durante" dopo la sua morte il canonico Giovan Sabato Landolfo e Tarquinio Landolfo, mancando loro devono "intervenire descendentes ex ipso Mario, et Tarquinio Landolfo" poi quelli di Giuseppe e Liberato Landolfo poi di Flavio Grimaldi poi di Felicia e Giulia, poi di Paolo Landolfi poi di Felice Landolfo, quindi di Alessandro e Ferdinando Landolfo. Il ius presentandi et nominandi può essere trasferito al primicerio, ai canonici anziani, ai mansionari anziani.

La nomina di ogni nuovo mansionario dovrà essere fatta "intra quatuor mensis" dal giorno in cui è rimasto vuoto il posto. Se dopo tre mesi dalla vacanza non è avvenuta una nomina concorde allora si seguirà l’ordine indicato sopra fino al primicerio, ai canonici e ai mansionari anziani.

Per ultimo "priori concordia, et recta economia exationis, debeant singulis annis, et propre un principio cuius liber anni unius ipsorum, tam de presenti nominatorum, quam in futurum nominandorum, qui nomine procuratorii prefulgiat inter omnes, et teneatur exatione facere non solum de quantitoribus, et annualitatibus inferium assignandis et donandis, verum et de omnibus aliis emolumentis, funtionibus, elemosini, perventionibus, et omnis aliis ad ipsos quomodolibet spectantibus ad hoc ut inter eos possit fieri equalis divisio inter eos".

In futuro si dovranno rispettare tali capitoli.

Mario Landolfi si riserva "facultatem declarandi" sia sempre "vita durante" ed in persona dei detti compatroni. Fatta l’assegnazione non dovrà esserci alcuna contestazione né molestia, né vessazione anzi rispetto per sé, i suoi eredi e successori. Il capitale emendato è di ducati 1020 che i compatroni devono avere dagli eredi del medico Aniello Maffei, e dal primicerio Iuliano concessionario ereditario del fu Mario e Giovan Vincenzo Maffei con l’annualità di ducati 75 che deve essere divisa tra i sei mansionari ed ogni rata sua di ducati dodici e mezzo che deve essere "adsunta cum modo exatione integra non aliter in communitate", per cautela. Il capitale senza alcuna "diminutione" deve rimanere "pro suffragio eius anime, et aliorum, ut super dictus in posse, et boni ipsius Ecc. divini Michaeli". I sei mansionari devono essere in concordia con i compatroni "pro illo tempore existentibus" e, se uno di essi o un compatrono "dissentiat, non possit fieri ipsa supplicatio.

Lo stesso fondatore si riserva l’assenso, il "consensum, voluntatem, autoritatem" dei superiori sia dell’Arcivescovo loro ordinari che del Vicario.

[...]

Presentibus Iudicibus Sorgente Ferrazzano ad contratti, Don Salvatore Pirolo, Tiberio Forte, Giuseppe Giliberto, Carlo Anemio Guarino, Oliviero de Maio, Tommaso Ronca.

 

3. 1706, giugno 2.

Opera di Mario Landolfi nella Collegiata.

 

In presenza del primicerio Giovan Sabato Iuliani e dei canonici Giovanni Maria Vigilante, Giovanni Vittorio Ronchi, Gennaro Maffei, Marco Aurelio Guarino, Agnello Landolfi, il notaio Vito Antonio Grassi dichiara che per la devozione che Mario Landolfi ha sempre avuto verso la Collegiata "fece costruire due nicchie con cornici ed altri lavori di stucco accosto all’altare maggiore, nelle quali vi fece fare poi da ingegnoso artefice due statue di legno, una di esse del glorioso S. Antonio con bambino in braccio e l’altra del glorioso S. Francesco da Paula" e che "al presente ci ha fatto fare due panni, seu portieri per maggior conservazione di dette statue, et ornamento di detti nicchi, quali sono di damasco cremisino con francia attorno, figure di detti gloriosi santi nel mezzo" e con "l’impresa di esso mag.co Mario, il tutto di ricamo ed have fatta dette spese tutte di propri denari, et tiene anche intensione di arricchire detti nicchi con indorarli ponerci cornacopii, et altro il tutto in honore di Dio, del glorioso S. Michele Arcangelo, et detti altri santi". Condizioni per tale donazione è che "dette statue, et panni non si possino amovere da detti nicchi per qualsivoglia causa, né improntarsoni detti panni a qualsivoglia persona per quale causa, ne anche tutti l’altri ornamenti amovibili, quali si faranno da esso m.co Mario a detti nicchi". Presenti all’atto il giudice a contratti Alessandro Fasano, il pittore della città di Napoli Antonio Lanza "al presente in hac terra Solofre commorante", i testimoni Michele Grassi e Libero Guarino di Solofra.

 

4. 1707, giugno 20.

"Obligatio et mutuo" stipulati con Mario Landolfi e Brando Guarini dai canonici Gio. Marino Vigilante e Marco Grimaldi, eletti dall’Arcivescovo di Salerno Bartolomeo Poerio e deputati della sacra immagine di S. Maria della Consolazione mirabilmente collocata nella Cappella di San Biagio della terra di Solofra per la costruzione di una Chiesa.

[...] "Essi canonici hanno asserito che essendo pervenuta mirabilmente detta sacra immagine della gloriosissima Vergine di S. Maria della Consolatione, e collocata nella detta ven. Cappella di S. Biase sotto li 11 del passato mese di maggio corrente anno millesettecentosette, et per le gratie che detta sacra imagine seu SS. Vergine ha concesso e concede a diversi fedeli cristiani sono pervenute diverse oblazioni seu donativi et elemosine alla detta sacra imagine per la costruzione della Chiesa facienda, o altre opere per servitio, e venerazione dell’istessa sacra imagine, et signater sono pervenuti docati 200 contanti di argento quali essi deputati si ritrovano haverli consegnati per comodità e sicurezza al mg.co Clemente Morena, odierno cassiero dell’Università di questa predetta terra". Gli stessi poi col consenso dell’Arcivescovo stipulano un mutuo con Mario Landolfi e Brando Guarino con detti duecento ducati da restituire per i bisogni della costruenda Chiesa.

Presenti il giudice a contratti Alessandro Fasano, i reverenti Giacinto e Giovan Battista Vigilante, Giovan Grazio Guarino e Claudio Morena.

(ASA, B 6768, ff 46r-49r).

 

5. 1716, giugno 1°.

Testamento di Mario Landolfi, abitante al Sorbo. Il testatore nomina eredi universali i figli clerico Felice Antonio, Tarquinio Antonio, Donato Antonio ed usufruttuaria la moglie Feliciana Ronca, nomina Brando Guarino di Napoli ma abitante a Solofra come curatore testamentario (ASA, B6772, ff. 185v e sgg).

 

6. 1716, novembre.

Inventario dei beni di Mario Landolfi di cui è curatore Brando Guarino in cui si rileva che il Landolfi possiede una casa palazziata di 34 membri inferiori e superiori, con tre gradinate, una loggia soprana, un cortile, un pozzo, una pergola a padiglione, un giardino murato congiunto al quale un altro giardino fruttifero. Vi sono inoltre vari ambienti per "uso salata", con tavole per tenere mortella, magazzini con attrezzi di conceria, una "casa delle tenatore", depositi con vari tipi di pelli ("bufaline forestiere, castrati della fiera di Grottola, corie baccine, tauri, porcini"), una "casa vicino all’entrata grande dove si corredano le corie". Due case con cortile e sottani sono al Vicinanzo, una bottega di conceria a S. Lucia, tre selve in località persana, una a campo del lontro, un terreno in località Selva di Nuzzo, uno alle mura dei Cappuccini, una masseria al carrano, tre masserie alle celentane, una bottega con camere, cisterna, "suppegno e gradiata" a Bitonto. Tra i beni mobili ci sono annue entrate di arrendamenti dell’Università di Lucito in Capitanata, l’arrendamento della farina vecchia di Napoli. Tra i creditori oltre a molti di Solofra e Serino ci sono persone di Bitonto, Paternò, Salerno, Giffoni, Montecorvino, Pescopagano, Amalfi. Tra i pesi ci sono quelli per i Mansionari, per il Monte dei Landolfi, per varie chiese di Solofra, alcuni debiti a Napoli e con l’Università di Solofra.

(Ibidem).

Ricordo della partecipazione alla Guardia Nazionale con Luigi Landolfi fatta da Francesco Saverio Arabia in occasione della morte del Landolfi.

"Dei ricordi dolcissimi lasciatimi da un amico come Luigi Landolfi, il solo che non si vela di un senso di mestizia per la sua perdita, ma vive ancora sorridente e sorriso, è quel di essere stati commilitoni in una campagna... militare. Militare? Proprio e nel vero senso della parola. Nel primo decreto dittatoriale che pubblicò Garibaldi, appena entrato in Napoli in Settembre del 1860, si leggono nominati Luogotenenti della guardia nazionale l’avv. Luigi Landolfi e l’avv. Francesco Saverio Arabia. Chi avesse informato il Generale del valore guerresco e dello stato di servizio bellico di questi due avvocati, rimarrà ne’ misteri della storia, e porgerà certamente materia alle future esercitazioni de’ dotti ed alle indagini degli eruditi. Fatto è che accettammo subito e di gran cuore il mandato, e ce ne credemmo molto onorati. La Guardia Nazionale, riunita così in fretta tra i giovani più volenterosi, non si può dire che era istituita, armata e disciplinata così regolarmente. Per tutto distintivo una placca d’ottone al cappello di qualunque foggia fosse; per arma era un fucile, che per avere in punta una baionetta, poteva ad un bisogno, servire come lancia cosacca od abissina, ma quando a far fuoco non ci era da pensare nemmeno, anche a gettarlo carico in una fornace di vetreria. De’ graduati, chi non aveva potuto procacciarsi una sciabola di qualunque modello, od una daga, si doveva contentare di uno stocco chiuso in un bastone, da cui si cavava fuori pe’ bisogni ed esigenze del comando, e per distintivo, una fascia ad armacollo coi benedetti colori italiani. Landolfi ed io l’avemmo lavorato dalle mani della sua signora Irene Valia, donna di cui poche simili ho conosciuto per intelletto gentile, istruzione, modestia e virtù vera. Il corpo di guardia avemmo nel convento di Sant’Antonio a Tarsia, il servizio più importante era l’andare per la città, a tutela del buon ordine. Se questo non era fatto con vera precisione militare, non però si ha a dire, come ne corse la calunnia, che il comandante di uno di questi manipoli, giunto al largo di San Ferdinando, invece di per fianco sinistro, dicesse a' suoi militi, con voce e tono di comando: voltate per Chiaia. Certo si marciava come si poteva, ma il fine che voleasi conseguire si ottenne. Ed era non altro che il buon ordine in mezzo alla rivoluzione, anzi in mezzo agli elementi contrari che vi bollivano dentro. Per le vie erano più migliaia di soldati e militari borbonici, che se erano rimasti sbalorditi e vinti dal sopraciglio e dalla fama di un eroe, ciò non li impediva di ridersi di noi, delle nostre armi e del nostro scarso numero. Era un rigoglio di popolino sbrigliato, di donne beffarde e linguacciute che trovavano strano che si pretendesse ordine e rispetto alle leggi, al modo antico, che credevano rovesciato per sempre; e ci guardavano e tenevano in conto di surrogati agli antichi birri e poliziotti. Ciò non ostante l’ordine fu mantenuto. - Sta a vedere che questo avvenne per qualche pattuglia comandata da qualche legale o da qualche medico. - Non solo per questo arguto critico, che allora succhiavate il latte dalle mammelle della nutrice e che ora sedete a mensa imbandita ed a minestra scodellata, non solo per questo, ma anche per questo, fra l’altro. Imperoché quelle pattuglie avevano un’arma anche più efficace, in questo caso, della cattiva che si recavano in mano ed era l’autorità morale del cittadino che, in momenti di pericolo, scende a difendere, a tutelare l’ordine e la sicurezza della patria sua. E quanto più grande è il contrasto dell’abitudine, quanto riesce più nuovo vederlo con le armi in mano, quanto meno militarmente comanda, marcia e simili, di tanto cresce quell’autorità, perché argomenta l’abnegazione ed il sacrificio, che sempre ispirano rispetto. Quando Luigi Landolfi procedeva co’ suoi militi, trovò parecchi che ne risero e ne fecero beffe, ma trovò pure moltissimi che lo guardavano ammirando e ne’ cui occhi commossi rideva la gratitudine. Per costoro, noi guadagnammo la medaglia del valor militare, e più certamente quella del civile decretataci dalla pubblica opinione, ed anche dalla nostra propria coscienza. Il che, modestia a parte, non la fece men cara".

(Da L. A. Villari, I tempi, la vita, i costumi, gli amici. Le prose e poesie scelte di Francesco Saverio Arabia, Firenze, 1903, pp.152-154).

 

 

 

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