BREVE STORIA DELLA DINASTIA ORSINI

 

di Davide Shamà

L’origine degli Orsini è controversa. Secondo le antiche genealogie il fondatore della dinastia sarebbe stato un certo Orso, nobile romano, sposato due volte e con cinque figli. Dalle prime nozze sarebbero nati Giordano e Costanzo, dalle seconde Amalrico, Amedeo e Pantaleone. Da Costanzo, vivente attorno al 1000, sarebbero discesi gli Orsini romani, da Amalrico, dato per vivente addirittura nel 1085, sarebbero discesi gli Orsini piemontesi. Sempre la tradizione presenta la dinastia come culla dei Papi Stefano III e Paolo I, indica un impossibile legame con le dinastie tedesche di Anhalt e Baden e una parentela con i Rosenberg austriaci. Tutte queste ipotesi sono state superate dalle prove e dalle ricerche effettuate sul finire del XIX secolo. Gli Orsini sono autenticamente romani.

Molte famiglie omonime hanno preteso di essere imparentate, tra le quali delle famiglie corse, una famiglia milanese e altre ancora. Alcune ottennero anche il riconoscimento ufficiale da parte delle autorità dei rispettivi stati.

Nel caso dei Baden, illustre dinastia regnante tedesca insignita del titolo di Margravio (= Marchese) e infine di Granduca, l’ipotesi di un collegamento appare verso il XVII secolo. A quell’epoca gli Orsini di Bracciano ottennero il titolo di principi del Sacro Romano Impero e cercarono, per motivi di prestigio, una parentela con la grande nobiltà tedesca. Grazie ad un legame genealogico, risultato poi fasullo, vennero aggregati ai Baden con la qualifica di "cugini".

La linea pretesa austriaca sarebbe stata originata dall’Orso citato all’inizio, che, nel 1010, in seguito ad un tumulto verificatosi a Roma, andò esule in Carinzia. Qui, lui o alcuni dei figli, avrebbero edificato il castello di Rosenberg, presso Graz, poi proprietà dei discendenti. L’equivoco del significato Rosenberg, vale a dire "monte delle rose" (ma anche inteso come Rosenburg = "castello delle rose") e la presenza nello stemma di una rosa (Rosini come anagramma di Orsini), hanno prodotto un’altra parentela inesistente. Il capostipite riconosciuto dal quale è possibile iniziare una genealogia appare solo molto dopo, nel XIV secolo, nella persona del castellano Konrad ab dem Rosensperg, citato in documento datato 6 settembre 1322. I Rosenberg ebbero il cognome Orsini und Rosenberg ancora più in là, con decreto imperiale di Leopoldo I datato Linz 6 luglio 1684 che concedeva il doppio cognome ai fratelli conti Georg Nicolaus e Wolfgang Andreas. Nel 1790 gli Orsini und Rosenberg ottennero il titolo principesco e sono ancora oggi una delle dinastie austriache più importanti.

Gli Orsini del Piemonte, discendenti come abbiamo detto da Amalrico, ottennero nel corso dei secoli numerosi e importanti feudi : Trana, Orbassano e Rivalta, tra gli altri. La loro appartenenza alla dinastia è affermata dal Litta (in "Famiglie Celebri Italiane" ed. 1847/1848), mentre è negata dal Crollalanza e dal altri illustri studiosi. Questa linea è entrata nell’Almanach de Gotha nel 1860 come ramo secondogenito degli Orsini di Gravina. Secondo i detrattori dell’appartenenza agli Orsini romani quelli piemontesi avrebbero avuto il cognome solo sul finire del XVI secolo, e forse come derivazione dal nome Orso od Orsino, molto comune nella famiglia.. Servirono fedelmente i Savoia ottenendo feudi, cariche militari, di corte ed ecclesiastiche. Si estinsero nella successione maschile con Don Gioacchino Maria Conte di Rivalta e Orbassano Signore di Trana (1786-1864).

Dunque gli Orsini sono romani. La dinastia era connessa ai Boboni. I Boboni erano una potente famiglia che appare nelle carte a partire dagli inizi del XI secolo. Possedevano ingenti proprietà nella Sabina e a Roma, alcuni componenti erano ecclesiastici o legati alla Chiesa. Nei documenti appaiono con il doppio cognome Orsini-Boboni, anzi, alcuni componenti alternano i due cognomi senza soluzione di continuità. I Boboni dovevano essere parenti stretti del Papa Celestino III, primo Papa Orsini, perché ottennero cariche e privilegi sotto il suo pontificato o subito dopo. Un Bobone fu creato cardinale nel 1199, forse era un cugino o un nipote di Celestino III. Un altro Bobone, vissuto agli inizi del XIII secolo, è canonico di San Pietro in Vaticano, carica tenuta nel 1319 da Alessandro de’ Boboni e nel 1324 da Bobo de’ Boboni. Nel 1246 Bobone di Giovanni Boboni è Senatore di Roma, ed è contemporaneo di Matteo Rosso "il Grande" , fondatore della potenza dinastica. Nel 1360 Lello di Giacomo Boboni è dei sette riformatori della repubblica romana. Alcuni hanno pensato (cfr. T. Amayden "Storia delle famiglie romane", p. 139, pubblicazione del 1910 ma originale del XVII secolo) che i Boboni abbiano dato origine alle famiglie nobili romane dei Salomoni, degli Alberteschi e, forse, dei Savelli. Questi parenti degli Orsini spariscono sul finire del XIV secolo.

Di certo troviamo il primo filo genealogico orsino sicuro a partire da un certo Bobone (vivente nella prima metà del XII secolo), padre di Pietro, a sua volta padre di Giacinto dei Boboni, futuro Papa Celestino III. Un Pietro di Bobone, padre o fratello del futuro pontefice, compare in un atto del 1 dicembre 1158, in cui viene perfezionato l’acquisto della cittadina di Corigliano.

Celestino III fece la fortuna della dinastia. I suoi inizi sono oscuri, ma è certo che fosse di famiglia cospicua. Creato cardinale nel 1144, salì al soglio pontificio molto anziano nel 1191 in un momento di grave crisi internazionale. L’imperatore Enrico VI aveva accerchiato territorialmente il Patrimonio di San Pietro grazie al matrimonio con Costanza d’Altavilla, erede della corona di Sicilia, e perseguiva una politica aggressiva di espansione a scapito della Chiesa e dei grandi feudatari. Celestino III oppose una debole resistenza, preferendo una azione diplomatica a quella militare. Non potè impedire la fine cruenta della dinastia normanna e l’occupazione del regno di Sicilia, come pure non potè opporsi all’assassinio di ecclesiastici in Germania e ai traffici del Duca d’Austria (puntualmente scomunicato per la prigionia inflitta a Riccardo Cuor di Leone, su ordine di Enrico VI). In compenso protesse gli ordini militari ecclesiastici e propugnò una vigorosa politica pastorale in Spagna e nell’Europa orientale. Favorì con molta cura i parenti, producendo la prima forma di nepotismo sopravvissuta a un pontefice. Intendiamoci, sono esistiti anche prima casi macroscopici di potere feudale cresciuto all’ombra del Sacro Soglio (pensiamo ad esempio ai Conti di Tuscolo, nel decimo secolo), però tale potere era durato relativamente poco e soffriva per la mancanza di un augusto protettore.

I nipoti di Celestino III fecero divenire gli Orsini la più potente famiglia del Lazio nel giro di un paio d’anni. Due nipoti del Papa furono creati cardinali, un terzo nipote Giovanni detto Giangaetano compra i feudi di Vicovaro, Licenza, Roccagiovine e Nettuno nel 1191 con l’assenso del pontefice. Questo sarà il primo nucleo della potenza territoriale. I figli e i nipoti di Giangaetano vengono detti "de domo filiorum Ursi", il passo per diventare "Ursini" è breve. I fratelli Napoleone e Matteo Rosso, figli di Giangaetano, espandono considerevolmente il potere dinastico. Napoleone ottiene la città di Manoppello, poi innalzata a contea, sarà Gonfaloniere della Chiesa e fonderà la prima linea "meridionale" degli Orsini (estinta nel 1553). Matteo Rosso, detto il Grande, invece curerà particolarmente gli interessi nella Sabina e nell’agro romano, entrando presto in rotta con le altre dinastie rivali. Nel 1241 sconfigge gli imperiali e diviene padrone assoluto di Roma per circa due anni, con la carica di Senatore. Carica tenuta anche dai figli, dal fratello Napoleone e dai figli di questo. Caccerà i ghibellini Colonna dall’Urbe conquistandogli la fortezza Augustea. Aggancerà definitivamente la famiglia al partito guelfo, facendone una delle più lige al potere dei Papi. Il dominio orsino si estenderà dall’abbazia di Farfa, messa sotto il controllo della famiglia, fino quasi alle porte di Avellino. Mentre al confine con la Toscana, la contea di Pitigliano permetterà alla famiglia di penetrare verso Siena. Il loro potere sarà comunque controbilanciato da quello dei Colonna, con i quali dovrà venire a patti e dividerà sovente la carica di Senatore di Roma o di Sindaco del Popolo Romano. Matteo Rosso ebbe una decina di figli tra i quali divise i feudi : Gentile diede origine alla linea di Pitigliano, Rinaldo a quella di Monterotondo, Matteo a quella di Montegiordano, Napoleone a quella di Bracciano. Dei suoi figli si distinse maggiormente Giovanni Gaetano.

Giovanni Gaetano intraprese la carriera ecclesiastica con successo. I suoi incarichi furono spesso legati alla politica dinastica. Fine diplomatico, fu uno dei cardinali inviati da Papa Clemente IV a investire ufficialmente Carlo d’Angiò come sovrano siciliano nel 1265. Mise al servizio del francese la macchina feudale di famiglia e collaborò in ogni modo alla discesa in Italia. La vittoria di Carlo d’Angiò contro gli Svevi produsse lo sbando completo del partito ghibellino, che abbandonò quasi tutta l’Italia centrale nelle mani guelfe. Questo stato di cose però produsse lo strapotere del nuovo Re di Sicilia, che condizionò pesantemente la politica papale. Giovanni Gaetano venne eletto Papa con il nome di Niccolò III nel 1277 dai cardinali ostili al partito francese.

Il partito anti-francese era capitanato proprio dal nipote cardinale Matteo Rosso II († 1305), che in seguito cercherà a più riprese di impedire l’elezione di papi filo-angioini. Niccolò III aveva promesso di mettere un freno al Re di Sicilia che aveva favorito troppo. Il nuovo pontefice per prima cosa ottenne la riconferma da parte dell’Imperatore Rodolfo I delle Legazioni e del ducato di Spoleto, così facendo costrinse Carlo d’Angiò a riconsegnarle al legittimo sovrano (il francese li teneva come governatore in nome del Papa ma di fatto aveva occupato tutti quei territori). Nel 1278 creò il nipote Bertoldo Conte di Romagna (carica che equivaleva a luogotenente del Papa), dando possibilità alla famiglia di espandersi anche in zone lontane dalla normale sfera d’influenza. La politica nepotista produsse la nomina di ben tre nuovi cardinali, due nipoti e un fratello minore. Nel 1280 convinse ad una pace Rodolfo I e Carlo I, ottenendo un triplice successo diplomatico : personale, in quanto il Papa dopo anni di eclissi tornava in primo piano come arbitro della politica internazionale; dell’Imperatore tedesco, che era in cerca di un riconoscimento al suo debole potere; e del Re di Sicilia che legittimava il suo recente dominio sul meridione italiano e si preveniva da possibili pretendenti.

Niccolò III cercò di porre fine alle agitazioni nell’ordine francescano, pubblicando una bolla (1279) con la quale prendeva le parti dei seguaci meno rigorosi della dottrina del santo d’Assisi. La posizione pontificia non venne però accettata dall’insieme dell’ordine, tanto che si creò un vero e proprio movimento contrario rigorista detto degli "apocalittici" (dal fatto che utilizzavano passi dell’Apocalisse opportunamente manipolati contro la bolla papale).

La morte di Niccolò III non impedì l’ascesa della dinastia, legata intimamente alle fortune angioine: dei nipoti del defunto Papa ottennero nuovi feudi e nuovo potere. Dopo Bertoldo Conte di Romagna, il figlio di questo, Gentile II, continuò la politica d’espansione.

Gentile II conseguì varie volte la carica di Senatore di Roma, fu podestà di Viterbo, fino a divenire nel 1314 Gran Giustiziere ereditario del Regno di Napoli. Questa era una delle sette cariche più importanti del regno. Contrasse nozze con Clarice Ruffo, figlia del Conte di Catanzaro, alleandosi così con la massima dinastia calabrese. Il figlio Romano fu Vicario Regio di Roma nel 1326, ed ereditò la contea di Soana dal suo matrimonio con Anastasia de Montfort (Monforte). Il successore e figlio Roberto sposa Sibilla de Baux (del Balzo), figlia del Gran Siniscalco del Regno di Napoli. Sibilla apparteneva alla più potente famiglia nobile meridionale, i cui componenti, oltre a possedere immensi feudi, erano imparentati con la dinastia angioina e quella aragonese. Un del Balzo aveva infatti sposato Beatrice d’Angiò, sorella del Re Roberto I e benefattore in quel tempo degli Orsini.

Sia Romano che Roberto nella loro politica laziale tendono a favorire i Papi esiliati ad Avignone. Giacomo, figlio di Roberto, venne fatto cardinale nel 1371. Nicola († 1399), suo fratello, diede ulteriore lustro alla dinastia. Oltre alle contee di Nola e Soleto, ereditò dalla moglie la contea di Ariano e Celano. Fu Senatore di Roma e governò il Patrimonio di San Pietro in nome del Papa. Espanse grandemente la potenza del suo casato nel Lazio e in Toscana conquistando l’Isola del Giglio, Port’Ercole e Monte Argentario, territori di notevole importanza strategica. E continua con molto successo la politica matrimoniale: la figlia Sveva sposa il duca d’Andria, Francesco I del Balzo, già vedovo di Margherita d’Angiò e padre di Antonia, moglie di Federico III Re di Trinacria. Il suo secondogenito, Raimondello, porta nel patrimonio dinastico i beni della famiglia d’Enghien, diventando uno dei maggiori feudatari del regno napoletano.

La linea primogenita si distinguerà ancora con pronipote di Nicola, Raimondo († 1459), che diverrà molto influente sotto il regno di Alfonso V. Appoggerà infatti il partito aragonese contro quello francese, ottenendo dal nuovo sovrano napoletano i titoli prestigiosi di Principe di Salerno e Duca d’Amalfi nel 1448. Raimondo aveva continuato la politica matrimoniale degli antenati sposando inizialmente la sorella del celebre Sergianni Caracciolo e poi una cugina di Alfonso V d’Aragona. Alla sua morte, senza eredi maschi, Salerno e Amalfi rientrarono nel demanio regio. Le altre signorie laziali passarono al ramo di Bracciano tramite il matrimonio di una sua figlia.

La linea Orsini del Balzo ebbe maggior gloria. Venne originata dal secondogenito di Nicola, Raimondo detto Raimondello, che ereditò la contea di Lecce grazie al suo matrimonio con Maria d’Enghien. Assunse l’illustre cognome del Balzo perché sua moglie discendeva da tale famiglia.

Con i torbidi seguiti alla deposizione della regina Giovanna I nel 1381, Raimondello passa al partito dei Durazzo e appoggia il colpo di stato del nuovo re Carlo III. I rapporti con Carlo III sono ottimi. Il successore Ladislao I in un primo tempo lo favorisce, consentendogli anche di assumere il dominio su Taranto (1398). In seguito però l’atteggiamento cambia. Il giovane sovrano ha intenzione di mettere un freno allo strapotere feudale che gli impedisce di portare avanti le sue campagne in Ungheria e nello stato pontificio. In effetti la posizione degli Orsini è imbarazzante, particolarmente quella del Principe di Taranto, che domina su quasi tutta la Puglia e potrebbe accampare diritti sulla successione al trono di Napoli. Le tensioni si accentuano dopo la congiura del 1403, nella quale sono implicate le maggiori dinastie del regno. I Sanseverino, che guidano la ribellione, sono quasi del tutto sterminati, i Ruffo subiscono numerose confische. Ladislao I teme la potenza degli Orsini del Balzo e vuole togliere di mezzo il potente principe. Raimondello si ribella nel 1405 e riesce a sostenere la guerra contro il sovrano, che viene costretto ad abbandonare Taranto dopo un inutile assedio. Ma nel frattempo Raimondello muore (1406) e la vedova Maria d’Enghien è costretta, in seguito al secondo assedio di Taranto (1407), a sposare il re. Che le confischerà i feudi e la terrà in stato di semi-detenzione con i quattro figli.

Ladislao I muore nel 1414 e gli succede la sorella Giovanna II, priva d’eredi e sovrana di un regno in anarchia. I rapporti tra gli Orsini del Balzo e la regina sono freddi e nascostamente ostili. L’atteggiamento cambia di molto dopo il fallito tentativo di usurpazione del Conte di La Marche, marito della regina, che viene deposto grazie all’intervento delle truppe e dei denari di Maria d’Enghien e del figlio Giannantonio. Giovanna II, per sdebitarsi, ridarà il principato di Taranto a Giannantonio.

Con l’avvento al potere di Sergianni Caracciolo, amante e ministro della regina, i rapporti tra la corte e gli Orsini divengono ancora più stretti. Vengono chiamati nel regno altri componenti romani della dinastia ai quali sono date cariche e terre. Sergianni ha intenzione di allontanare il regno di Napoli dalla sfera d’influenza francese e convince Giovanna II ad adottare come erede Alfonso V d’Aragona, a scapito del pretendente Luigi III Duca d’Angiò. Per legare il Principe di Taranto alla sua causa, Sergianni riesce a combinare un matrimonio tra la figlia Giovanna (o Ippolita) e Gabriele Orsini del Balzo, fratello minore di Giannantonio. Inizialmente le trattative vanno per le lunghe per motivi legati alla dote e all’opportunità politica, Gabriele infatti è in contatto con la corte di Mantova per sposare una Gonzaga : sarebbe un matrimonio assai vantaggioso e con una principessa di casa regnante. L’alleanza alla fine viene stretta, ma non impedirà, qualche anno dopo, una congiura baronale filo-francese che toglierà di mezzo il potente ministro.

L’adozione di Alfonso V d’Aragona da parte di Giovanna II e il successivo annullamento della stessa operato a favore di Luigi III, provoca una nuova e lunga guerra che vede la famiglia schierata con l’aragonese. Giannantonio, considerato dai baroni il referente degli aragonesi dopo l’uccisione di Sergianni, è costretto a sostenere l’urto della discesa di Luigi III d’Angiò in Puglia a carissimo prezzo : quasi tutti i suoi feudi sono messi a ferro e fuoco e, all’esclusione di Taranto, le sue città sono saccheggiate. La morte improvvisa del francese, causata da febbri nel 1434, impedisce la caduta di Taranto e provoca lo sbando del parti anti-aragonese. Anche Giovanna II è nel frattempo morta, per cui non ci sono altri ostacoli alla conquista del regno. Alfonso V ricompensa il fedele principe con il ducato di Bari, la carica di Gran Connestabile e l’appannaggio di centomila ducati per il mantenimento del suo esercito privato. In questo momento la vastità dell’impero feudale degli Orsini raggiunge l’apice.

Giannantonio rimane fedele anche al successore di Alfonso V, Ferdinando I, finché le lotte baronali e il sospetto che il nuovo sovrano nutre nei suoi confronti lo fanno passare dalla parte dei feudatari ribelli. Si unisce alla congiura del Conte di Squillace, che aveva chiamato il Duca di Lorena come nuovo sovrano, e marcia contro Napoli. L’avventura è breve perché nella piana di Troia (1462) l’esercito reale sconfigge gravemente gli insorti. Giannantonio abbandona la causa e ritorna nel campo legittimista, tanto che il sovrano lo riconfermerà nei feudi. Però la pace tra i due dura pochi mesi, nel dicembre del 1463 Ferdinando fa avvelenare il rivale.

Il principe di Taranto dalle sue nozze con Anna Colonna non aveva avuto eredi, ma gli erano nati vari figli illegittimi tutti riconosciuti. Inutilmente tentò di favorirli nella successione. Ferdinando I concesse solo feudi marginali, in particolare la contea di Conversano a Caterina Orsini del Balzo moglie del Duca d’Atri e la contea di Lecce al fratello Bertoldo Orsini del Balzo (questa venne annessa dalla corona quasi subito perché il giovane conte morì). Taranto e Bari invece vennero assegnate alla loro cugina Isabella di Chiaromonte, nipote di Giannantonio e moglie del re, così l’asse ereditario passò quasi in blocco nelle mani della corona. Ferdinando I fece lo stesso con i discendenti di Raimondo Orsini Principe di Salerno, riconobbe un figlio illegittimo di questo e inizialmente pensò anche di fargli sposare una sua figlia naturale, poi non se ne fece nulla. Il fratello di Giannantonio, Gabriele Duca di Venosa, aveva avuto solo delle figlie e la maggiore Maria Donata portò i feudi in casa del Balzo. Una figlia di Maria Donata Orsini e di Pirro del Balzo Principe d’Altamura, Isabella, sposò in seguito Federico I Re di Napoli, figlio di Ferdinando I. Fu l’ultima regina indipendente di Napoli prima dell’annessione spagnola.

Le fortune nel mezzogiorno non terminano con l’estinzione della linea di Taranto, molti altri Orsini scendono al sud in cerca di fortuna.

Guido Orsini, figlio cadetto del Gran Giustiziere Romano Orsini e di Anastasia di Montfort, ereditò la contea di Soana e si trasferì nel Lazio. Egli e i suoi discendenti governarono i feudi di Pitigliano, Soana e Nola assieme ai cugini napoletani con il consueto sistema di associazione tipico delle famiglie baronali romane. Già agli inizi del XV secolo questa linea ebbe diverse difficoltà nel governo e le rivalità scoppiate con Siena e i Colonna ebbero come risultato la perdita di molti territori. Il nipote di Guido, Bertoldo, perse tra il 1406 e il 1410 quasi tutti i feudi acquistati dal cugino Nicola, riuscì solo a recuperare Pitigliano e a occupare per qualche tempo Orbetello, Saturnia e Monteacuto. Orso, nipote di Bertoldo, fu Conte di Nola e condusse vita da mercenario al soldo del duca di Milano e dei Veneziani. In seguito passò al servizio di Ferdinando I di Napoli ma non partecipò alla congiura del Conte di Squillace, tanto che il sovrano lo ricompensò con i feudi di Ascoli e Atripalda. Prende parte ancora alla campagna di Toscana del 1478 e si segnala nell’assedio di Viterbo.

Ma il personaggio maggiore della linea di Pitigliano fu il Conte Niccolò (1442-1510). Anch’egli passò la sua vita sui campi di battaglia al soldo di vari signori italiani, iniziando la carriera nelle file del condottiero Jacopo Piccinino. Fu al servizio di Firenze e condusse il suo esercito nel 1478 contro Ferdinando I. Il sovrano napoletano aveva appoggiato la congiura dei Pazzi contro i de’ Medici al fine di poter controllare la repubblica fiorentina. Inutilmente, perché la congiura fallì causando una guerra tra Napoli, il Papa e Firenze. Niccolò partecipa ancora alla guerra di Ferrara contro lo stesso sovrano e lo sconfigge a Campomorto nel 1482. Con l’invasione francese di Carlo VIII passa al servizio del Papa, finendo subito prigioniero all’assedio di Nola del 1494. Fuggito, torna a Venezia con il grado di capitano generale delle forze della Serenissima, distinguendosi nella conquista di Cremona. Negli anni successivi rimase sempre al servizio dei Veneziani, e ancora nel 1509 si rendeva responsabile della grave sconfitta veneta ad Agnadello. Ludovico ed Enrico Orsini, rispettivamente figlio e nipote di Niccolò, parteciparono alle guerre tra francesi e spagnoli passando disinvoltamente da un campo all’altro. Gentile, figlio di Niccolò, sposò una nipote del Re di Napoli, Caterina d’Aragona, mentre due figlie di Ludovico contrassero illustri matrimoni : Geronima sposa il Duca di Parma, figlio illegittimo del Papa Paolo III, Marzia sposa Gian Giacomo Medici Marchese di Marignano e celebre generale spagnolo.

La decadenza della linea di Pitigliano comincia proprio con il Conte Ludovico. Questo perde Nola ed è costretto ad accettare la supremazia della repubblica di Siena su Pitigliano, mentre nel 1555 suo figlio si sottomette al Granduca di Toscana che ha appena annesso la stessa Siena. Alla metà del XVI secolo la contea decade gravemente, la residenza della dinastia viene spostata a Roma e a Firenze. Il Conte Alessandro (+ 1604) pretese di succedere nei domini della linea di Monterotondo sul finire del cinquecento. Ma il Papa Gregorio XIII si oppose e legittimò un Orsini di Monterotondo che ereditò il feudo, mentre Alessandro fu costretto ad accontentarsi del solo castello di Mompeo. Il figlio di Alessandro, Giannantonio, alla fine si risolse a vendere Pitigliano al Granduca di Toscana nel 1604, ottenendo in cambio il marchesato di Monte San Savino. Gli Orsini di Pitigliano, ultimi discendenti della linea di Gentile, si spensero in pieno declino nel 1640.

Con l’elezione al papato di Martino V (1417), un componente della famiglia Colonna, l’influenza nel Lazio della dinastia Orsini e delle altre grandi famiglie romane viene a modificarsi radicalmente. I Colonna si espanderanno velocemente nel Lazio, nell’Abruzzo e in Campania, togliendo posizioni alle famiglie avversarie e diventando la famiglia di riferimento del Re di Napoli in quelle regioni. Fabrizio Colonna, alla fine del XV secolo, diviene Gran Connestabile ereditario del regno, mentre i discendenti sosterranno la politica imperial-spagnola ottenendo in cambio un controllo capillare, almeno nei primi tempi, degli stessi regni di Napoli e Sicilia. I Colonna saranno considerati nel corso del XVI secolo come la "lunga mano" spagnola negli stati pontifici. La Spagna userà il loro stato feudale come deterrente contro possibili guerre causate dal Papa o dai grandi baroni laziali e abruzzesi. La dinastia Orsini viene a soffrire della mutata situazione politica, sia perché appoggia come di consuetudine i Papi, che usciranno spesso sconfitti, sia perché molti dei loro capi parteggiano per i francesi, che perderanno la guerra contro Carlo V e i successori. Il passaggio tra il XV e il XVI secolo sarà inoltre il periodo più nero del rapporto tra gli Orsini e il Papato, momento in cui regnano pontefici che hanno come scopo quello di creare fortune personali e che sono ostili alla dinastia. La decadenza che segue alle guerre franco-spagnole colpisce particolarmente la famiglia, tanto che saranno venduti molti feudi per far fronte ai debiti e ad una diffusa "povertà". Ma andiamo con ordine.

Come è stato detto all’inizio, Matteo Rosso il Grande aveva suddiviso i feudi tra i numerosi figli. Al terzogenito Rinaldo era toccata la signoria di Monterotondo. I suoi discendenti parteciparono attivamente alle lotte feudali nella Roma medioevale, sia il figlio che un nipote di Rinaldo ricoprirono la carica di Senatore tra il 1341 e il 1346. Molti componenti abbracciarono la carriera delle armi. Francesco fu al servizio dei Fiorentini nel 1370 nella guerra contro i Visconti. Orso passò a Napoli al servizio degli Angioini e poi a quello di Firenze, morì nella battaglia di Zagonara (1424) combattendo il Duca di Milano. Jacopo e Lorenzo diedero anch’essi fasto alla linea militando nelle file pontificie, napoletane e fiorentine. Una figlia di Jacopo, Clarice, divenne la moglie di Lorenzo il Magnifico Signore di Firenze. Un Francesco ottenne la porpora nel 1517.

Il Cardinale Giovanni Battista Orsini di Monterotondo fu invece, assieme al cugino Gentile Virginio Orsini di Bracciano (v. oltre), il maggiore personaggio della dinastia sul finire del XV secolo. Ottenne la porpora da Sisto IV nel 1483 e fu in contrasto con il successore Innocenzo VIII per motivi legati alla politica nepotista del Papa Cybo. Organizzò l’elezione di Rodrigo Borgia, Papa Alessandro VI nel 1493, elevato al soglio con la speranza di una politica papale equidistante dalla Francia e dalla Spagna. Inizialmente godette dei favori del Borgia, finché questo si convinse che gli Orsini potevano rappresentare un ostacolo alla sua politica.

Il deterioramento dei rapporti avvenne principalmente con la discesa di Carlo VIII in Italia e con l’eliminazione di Gentile Virginio nel 1497, pare proprio su ordine del pontefice.

Il Papa perseguiva una politica di amicizia con la Francia per motivi legati a interesse personale. Attuò un nepotismo esasperato che aveva come scopo la creazione di uno stato borgiano nell’ambito dei territori della Chiesa a scapito delle vecchie famiglie. Il suo celebre figlio Cesare Borgia, una volta deposta la porpora cardinalizia, assunse la carica di Gonfaloniere della Chiesa e armato di una legione di circa quattrocento uomini passò alla conquista, o liberazione come diceva, dei territori papali sui quali governavano numerosi despoti locali. In meno di un anno, tra il 1500 e il 1501, tolse di mezzo i Riario da Forlì (celebre l’assedio a questa città), i Malatesta da Rimini, gli Sforza da Pesaro e i Manfredi da Faenza. Nel 1502 prende Camerino e Urbino completando il suo dominio sulle Marche. Per l’anno successivo era prevista la presa della strategica Bologna, quando cinque suoi capitani, tra i quali due Orsini (il Duca di Gravina e il Signore di Palombara), preoccupati per la piega che stava prendendo la campagna militare, si riunirono segretamente a Todi con lo scopo di organizzare l’eliminazione di Cesare. La cosidetta congiura della Magione, ispirata pare dal Cardinale Giovanni Battista, non sortì effetti duraturi a causa della disorganizzazione dei congiurati e per la incapacità d’azione sul territorio. Vennero liberate alcune città, ma Cesare Borgia non si fece intimidire ed ebbe l’ardire sia di blandire gli avversari che di intavolare trattative di pace con alcuni di loro. L’azione diplomatica si rivolse principalmente su Paolo Orsini, il signore di Palombara, che convinse alla fine altri due congiurati, il cugino Francesco di Gravina e Vitellozzo Vitelli, a rientrare nell’esercito appena abbandonato. L’incontro tra i quattro avvenne a Senigallia nel dicembre del 1502 dove, nonostante le misure cautelari prese, il Borgia fece prigionieri gli ex traditori. Il Vitelli venne soppresso subito, i due Orsini vennero tradotti a Castello di Pieve e fatti strozzare nel gennaio del 1503. Appena la notizia della cattura giunse a Roma, il Papa mise agli arresti il Cardinale Orsini, che poi fece avvelenare nel febbraio del 1503. La strage dei principali capi della famiglia ebbe come effetto la caccia ai partigiani degli Orsini, soprattutto a Roma, con il relativo sterminio di molti di loro.

La linea di Monterotondo diede ancora uomini importanti, in particolare due generali veneziani, Valerio e Giordano distinti nelle guerre contro i turchi, e un ambasciatore francese in Polonia, Troilo. Sul finire del XVI secolo la dinastia decadde, molti suoi componenti coinvolti in tristi vicende, se ne parlerà oltre a proposito della linea di Bracciano, persero i feudi per confische o furono assassinati. Gli ultimi rappresentanti, Enrico e Francesco, essendo privi di eredi, vendettero Monterotondo alla famiglia Barberini agli inizi del ‘600.

L’ultima linea di cui ci occupiamo è quella di Gravina-Bracciano. Fu originata da Napoleone, figlio cadetto di Matteo Rosso il Grande, a cui toccarono Bracciano, Nerola e altre terre. Egli fu anche Senatore di Roma nel 1259. Questa branca ebbe parecchia influenza nella Roma del XIV secolo, poiché si contano molti componenti che ricoprirono cariche municipali, il vicariato e il senato in associazione ai Colonna, ai Savelli e agli Annibaldeschi. I Signori di Bracciano furono, nel Lazio, la linea più potente degli Orsini. Grazie alla compattezza dei domini, alla loro posizione strategica – controllavano le vie di d’accesso dell’Umbria e della Toscana al Patrimonio di San Pietro imponendo forti dazi ai viaggiatori – e alla costruzione della celebre fortezza sul lago di Bracciano, questa dinastia raggiunse ben presto una posizione di privilegio tra i baroni romani. In caso di guerra, il signore di Bracciano poteva impedire il passaggio di un esercito e modificare l’esito del conflitto.

Da Giovanni, vissuto sul finire del XIV secolo, discesero le linee di Gravina, ancora esistente, e quella di Bracciano estinta nel 1698. Carlo Conte di Tagliacozzo e Signore di Bracciano, figlio del predetto Giovanni, ebbe vari figli che originarono dei sotto-rami : quelli di Lamentana e di Pacentro, entrambi estinti nel XVII secolo.

Napoleone, figlio del detto Conte Carlo, fu Gonfaloniere della Chiesa e dalle nozze con Francesca Orsini di Monterotondo gli nacque Gentile Virginio, uno dei maggiori personaggi della dinastia e della politica italiana della fine del XV secolo. Questo nel 1480, alla morte del padre, ereditò il patrimonio feudale, a cui aggiunse altri feudi laziali dote della moglie, una delle figlie di Raimondo Orsini Principe di Salerno. A causa di questo vantaggioso matrimonio diventò favorito del Re di Napoli Ferdinando I, che già aveva ampiamente ricompensato suo suocero e il cugino Orso Orsini di Monterotondo (v. sopra). I legami tra il sovrano e Gentile Virginio si rafforzano al punto da essere investito della più importante carica del regno, quella di Connestabile. Di fatto il signore di Bracciano curava gli interessi di Ferdinando I nello stato pontificio e, con il suo cugino il Cardinale Giovanni Battista Orsini, fu il più accanito oppositore dei papi Innocenzo VIII e Alessandro VI.

Innocenzo VIII desiderava sostituire Ferdinando I con un sovrano più ligio e debole alla Chiesa (il regno di Napoli era in teoria un feudo ecclesiastico) al fine di controllare gli uffici e le entrate che il pontefice vantava su quel territorio. Benefici che portavano molto denaro ma che erano in buona parte gestiti dal potere regio. Per questo il Papa cercava ogni pretesto per favorire sollevazioni o congiure contro il re. Ferdinando I, dal canto suo, era nato illegittimo e rischiava comunque e sempre di veder contestato il suo potere. La sollevazione di Giannantonio di Taranto e la successiva Congiura dei Baroni ne sono un esempio. Oltre alla motivazione del denaro, come ogni Papa con prole, anche Innocenzo VIII aspirava a creare uno stato con la propria dinastia Ci provò investendo il figlio Franceschetto della contea d’Anguillara, uno dei feudi più importanti del Lazio. Alla morte del padre, Franceschetto Cybo preferì togliersi dall’impiccio di governare un feudo tanto pericoloso, così accolse l’offerta del suo cognato, il signore di Firenze, di trasferirsi in Toscana e mise in vendita la contea (cfr. Guicciardini – Storia d’Italia - Libro I cap. III). La comprò per quarantamila ducali Gentile Virginio (1492). I feudi di Anguillara e Bracciano sono vicini, dunque l’Orsini crea un agglomerato territoriale assai pericoloso per ogni famiglia rivale o nuova famiglia che tenti una "scalata" nel Patrimonio di San Pietro.

Il nuovo Papa Alessandro VI Borgia, che come detto aveva le stesse aspirazioni del predecessore, intuì il pericolo e iniziò a cercarsi alleati in vista della guerra. Ingaggiò un esercito di trecento uomini pronti a occupare Anguillara e tesseva una trama diplomatica al fine di neutralizzare il protettore di Gentile Virginio. Trovò ben disposto alla sua causa il Duca di Milano, nemico per motivi dinastici, di Ferdinando I. La guerra divenne inevitabile e il Duca di Milano Ludovico Sforza, per premunirsi di un avversario troppo forte ,ebbe l’idea di chiamare in Italia Carlo VIII di Francia. Il Re di Francia era pronipote del già citato Luigi III d’Angiò e vantava delle pretese, sebbene molto teoriche, su Napoli. Nel timore di un conflitto generalizzato e di difficile soluzione, vi avrebbero partecipato tutti i principali stati italiani, Ferdinando I spinse Gentile Virginio Orsini ad un accordo con il Papa : in cambio di una forte somma di denaro, per il Borgia, avrebbe mantenuto la signoria su Anguillara, mentre il Re di Napoli avrebbe garantito attraverso un doppio matrimonio di principesse napoletane con i figli di Gentile Virginio e di Alessandro VI. Il patto, siglato in extremis da reciproche paure, ebbe vita breve: Ferdinando I morì improvvisamente facendo precipitare la situazione (25 gennaio del 1494).

Il Duca di Milano si accordò con Carlo VIII, che si convinse in una facile vittoria. Il nuovo sovrano napoletano, Alfonso II, era considerato debole. Alessandro VI mantenne un atteggiamento diplomatico ambiguo al fine di trarne il massimo vantaggio personale, sia con che senza la venuta del francese. I grandi stati italiani, principalmente Venezia e Firenze, si dichiaravano neutrali o tentennavano.

Carlo VIII scese nella penisola nel settembre del 1494 con un forte esercito e l’appoggio di Ludovico Sforza. Gentile Virginio, per forza di cose "riconciliato" con Alessandro VI, venne messo al comando delle truppe pontificie di Romagna. Fu catturato dal nemico assieme ad altri componenti della sua famiglia. Molto abilmente arrivò ad uno accordo con Carlo VIII : egli evitava di combattere per il francese ma permetteva ai figli e agli altri parenti di farlo, in cambio otteneva la salvaguardia di Bracciano e dei suoi stati. Carlo VIII si accontentò di tenere come pegno alcune sue fortezze e di avere il libero passaggio nelle vie controllate dall’Orsini. Così fatto, Gentile Virginio non tradiva ufficialmente il Re di Napoli e non disturbava troppo il Papa.

A Napoli la situazione si era aggravata quando Alfonso II fu costretto dai baroni ad abdicare. Era odiato principalmente dalla grande nobiltà a causa della sua politica accentratrice e limitativa dei privilegi feudali (cfr. Bosisio : Il Basso Medioevo 1967). Il nuovo sovrano, Ferdinando II, si trovò con lo stato invaso e in preda alle lotte intestine. La capitale venne subito occupata e fu costretto a fuggire da prima ad Ischia, poi in Sicilia presso il cugino Re d’Aragona. Il soggiorno del sovrano francese fu interrotto presto da una coalizione che aveva intenzione di rimandarlo a casa. Sconfitto a Fornovo (1495), tornò di corsa nel suo paese lasciando il regno di Napoli sotto il parziale controllo delle sue truppe.

Carlo VIII teneva nel regno un contingente armato che doveva far fronte all’ostilità della popolazione, alle bande dei baroni, alla mancanza di viveri e denaro. Urgenza quest’ultima che si fece sentire ben presto e che permise ai nemici dei francesi di liberare ampie zone del regno. Nel frattempo, Ferdinando II era riuscito a avere uomini e mezzi anche da Venezia e dall’Aragona, così da risalire dalla Calabria verso Napoli e unirsi alle bande che lo appoggiavano nel nord del regno.

Benchè scappato dalla prigionia nel corso della battaglia di Fornovo e tornato a Bracciano, Gentile Virginio appoggiò Carlo VIII come previsto dall’accordo. L’anno successivo (1496) tradì definitivamente Ferdinando II, e questo di conseguenza dichiarò confiscati i suoi beni (le contee di Tagliacozzo e Alba, la carica di Gran Connestabile e molto altro). Il francese lo mandò negli Abruzzi per liberare la regione dalle bande dei Colonna. In poco tempo riconquistò Teramo, Tagliacozzo, Alba e L’Aquila. La vittoria napoletano-aragonese a Morano Calabro, ad opera di Gonsalvo di Cordova, di lì a poco impedì un ulteriore sviluppo della guerra a favore degli occupanti. Le loro truppe furono costrette a ripiegare, sotto l’incalzare degli avversari, nella cittadina di Atella. Qui il comandante supremo francese, Gilberto di Borbone Conte di Montpensier, fu costretto ad una resa umiliate. Patteggiò un accordo secondo cui avrebbe avuto salva la vita assieme ai suoi e un lasciapassare per fuggire con una nave da Napoli. Si consegnò al nemico con i capi Orsini secondo l’accordo preso. Ferdinando II non rispettò il patto e li fece imprigionare (per la maggior parte morirono di stenti e malattie durante la detenzione), mentre Gentile Virginio venne tradotto in Castel dell’Ovo a Napoli. Ferdinando II e Alessandro VI, con motivazioni personali diverse, si misero d’accordo per eliminare il pericoloso e ingombrate signore di Bracciano, che venne avvelenato (1497).

La morte di Gentile Virginio, le relative confische e la successiva strage del 1503, produssero un forte indebolimento della dinastia. La morte improvvisa di Alessandro VI e la successiva elezione di papi amici o parenti degli Orsini (Giulio II, Leone X e Clemente VII), misero un freno alla decadenza.

Il figlio di Gentile Virginio, Giangiordano, militò fedelmente nelle file papali mantenendo quasi tutti i feudi paterni nel Lazio. Suo nipote Virginio Conte dell’Anguillara (1498-1548) fu famoso ammiraglio pontificio, partecipò alle imprese di Tunisi e Algeri sotto le insegne imperial-spagnole. Servì anche la Francia dopo che, entrato in contrasto con il Papa Paolo III, gli vennero confiscati i feudi con l’accusa di tradimento nel 1539. Viene ricordato anche per la cordiale e curiosa, per l’epoca, intesa che ebbe con il pirata e ammiraglio turco Khair-ad-din (detto il "Barbarossa"), suo avversario nelle campagne in terra d’Africa.

La linea di Bracciano resistette alla pacificazione seguita con la fine delle guerre franco-spagnole. Nel 1560 Paolo Giordano I è creato Duca di Bracciano e milita come capitano alla battaglia di Lepanto. Contrae un matrimonio con una principessa di casa regnante parente di Asburgo, Estensi, Lorena e altre famose dinastie europee. Sposa infatti la figlia del Granduca di Toscana, Isabella de’Medici, che strangolò in un eccesso di gelosia nel 1578. Fuggito a Roma si legò a Vittoria Accoramboni, moglie di un nipote di Sisto V (che fece assassinare nel 1583). Fuggito ancora, inseguito dalla giustizia pontificia e dai sicari del Granduca di Toscana, si rifugiò nel nord Italia con l’amante, sposandola nel 1585 poco prima della morte. L’Accoramboni venne assassinata, nel dicembre 1585, da Ludovico Orsini di Monterotondo, che voleva vendicare la morte del fratello Roberto (ucciso perché implicato in una faida con il Duca Paolo Giordano). Ludovico, a sua volta, venne eliminato qualche giorno dopo per ordine delle autorità venete che lo avevano arrestato.

Non tutta la progenie di questa schiatta produsse "orrori" rinascimentali. Il figlio di Paolo Giordano I, il Duca Virginio († 1615), ottenne l’ordine del Toson d’Oro e l’illustre onorificenza permise un ulteriore salto di qualità. I suoi figli fecero tutti importanti carriere o grandi matrimoni. Le figlie Isabella, Maria Felicia e Maria Camilla sposarono rispettivamente il Duca di Guastalla, il Duca di Montmorency e il Principe di Sulmona. Il primogenito Paolo Giordano II, oltre che affermato poeta (pubblicò le "Rime" nel 1648), sposò la principessa regnante di Piombino e venne innalzato al titolo di principe del Sacro Romano Impero con la qualifica di Altezza Serenissima: titolo che lo elevava al di sopra di tutti i principi romani. Il fratello Alessandro fu cardinale e legato pontificio, l’altro fratello Ferdinando portò in famiglia, tramite matrimonio, i ricchi beni della linea Orsini di San Gemini. Al pari di tutte le altre dinastie principesche romane del XVII secolo, anche gli Orsini di Bracciano abbandonarono i castelli di provincia per trasferirsi a Roma. Mantenevano un elevatissimo tenore di vita possibile solo con lo sfruttamento intensivo dei feudi oppure con adeguate carriere militari o ecclesiastiche. Ma carestie, banditismo e povertà diffusa danneggiarono fortemente lo "stato" di famiglia. Tra il 1692 e il 1696, l’ultimo Principe e Duca Don Flavio I († 1698), a corto di liquidità e carico di debiti, fu costretto a vendere tutti i suoi feudi più importanti. Bracciano compresa, che nel 1696 venne acquistata dalla dinastia Odescalchi.

La branca che ancora sussiste è quella detta di Gravina. Fu originata da Francesco († 1456), figlio di Carlo Signore di Bracciano. Il fondatore di questa linea aveva i suoi feudi principalmente nel Lazio e ricopriva la carica di Prefetto Perpetuo dell’Urbe, quando nel 1418 venne chiamato a Napoli da Sergianni Caracciolo. Questo cercava l’aiuto degli Orsini e pensava di utilizzarne alcuni, perché buoni capitani, contro i proprio avversari. Francesco ebbe il controllo di Castel dell’Ovo con il compito di difendere Napoli dalle truppe di Muzio Sforza, celebre generale angioino e avversario del Caracciolo. Lo Sforza cercò di forzare il nemico, però il 28 settembre del 1418 venne sonoramente sconfitto e corse anche il rischio di cadere prigioniero. Francesco ottenne la contea di Gravina e molti altri benefici dal matrimonio con una ricca ereditiera pugliese, Margherita della Marra. Ancora nel 1421 favorì l’adozione di Alfonso V d’Aragona da parte di Giovanna II, e partecipò alla campagna contro gli oppositori dell’aragonese sconfiggendone parecchi. Alfonso V lo ricompensò con la contea di Copertino, alla quale si aggiunsero quelle di Conversano e Campagna. Negli anni seguenti fu incaricato di alcune missioni diplomatiche presso la corte papale. Fu creato Duca di Gravina, titolo che venne confermato definitivamente al figlio Giacomo. Invece altri due figli naturali divennero rispettivamente Arcivescovo di Taranto e Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni di Rodi.

Il 3° Duca, Francesco, finirà strangolato da Cesare Borgia nel 1503, come già detto. Un nipote di Francesco, Flavio, divenne Cardinale nel 1565.

Il 5° Duca Antonio si sposerà con una Sanseverino di Bisignano e i suoi discendenti entreranno in causa con i cugini per il possesso dei beni materni. Giulia Orsini, figlia di Antonio, e il nipote il Duca Michele Antonio, si impadronirono di Bisignano nel 1606 contro le regole di successione stabilite dall’ultimo Sanseverino. Ne nacque un contenzioso che alla fine fece intervenire il Re di Spagna Filippo III, all’epoca anche sovrano di Napoli. Il Re decise il passaggio dei feudi ai Sanseverino di Saponara, legittimi eredi, mentre il Duca Michele Antonio in cambio della rinuncia avrebbe avuto il ducato di San Marco.

Alla morte senza eredi del Duca Michele Antonio, Gravina passò al cugino e nipote acquisito Pietro Orsini Conte di Muro Lucano. Che divenne Principe di Solofra nel 1623. Suo figlio Ferdinando III ottenne il principato di Vallata nel 1653. Pier Francesco, figlio del precedente e di Giovanna Frangipani della Tolfa, rinuncia alla successione nel 1668 per diventare domenicano. Padre Vincenzo Maria, così aveva cambiato nome, si era fatto notare come predicatore e per la grande pietà, tanto che lo si volle far entrare nell’alta gerarchia ecclesiastica (anche se con molta riluttanza da parte dell’ex Duca). Fu Arcivescovo di Benevento, poi Cardinale Presbitero e infine venne eletto Papa con il nome di Benedetto XIII. Non ci dilunghiamo troppo sulle fortune di questo pontefice, essendo trattata la sua storia nelle sedi opportune.

La creazione del terzo pontefice Orsini diede notevole lustro alla famiglia. L’Imperatore Carlo VI riconfermò alla dinastia il titolo di Principe del Sacro Romano Impero nel 1724 (già estinto nel 1698) con la qualifica di "Celsissimus". Ottennero anche il titolo di Grande di Spagna di prima classe (1708, il titolo più importante nella nobiltà spagnola appartenente a casa non regnante), di Principe di Roccagorga (1724), la conferma della dignità di Secondo Principe Assistente al Soglio Pontificio (1735, conferita nel 1511 alla pace con i Colonnesi, che detenevano comunque la dignità di Primo Assistente) e infine la conferma di Nobile Romano Coscritto e Patrizio Romano (1746). Invece Solofra diviene appannaggio del principe ereditario della casata. Dalla provincia, la linea di Gravina passò a Napoli e infine a Roma, dove risiede tuttora.

Fino al XVIII secolo gli Orsini hanno avuto : 3 Papi, 62 senatori romani, circa 30 cardinali, 6 gonfalonieri di Santa Romana Chiesa, 4 prefetti perpetui di Roma, almeno 100 tra generali e illustri uomini d’arme e varie decine di prelati che hanno governato su quasi tutte le principali dioscesi d’Italia. Nel corso del XIX secolo si aggiungeranno anche i titoli di "cugino" dei sovrani del Belgio, del Brasile, di Sassonia e del Portogallo.

Un nipote di Benedetto XIII, il Duca Domenico († 1786), alla morte precoce della giovane moglie abbandonò ogni carica di famiglia e abbracciò lo stato ecclesiastico. Divenne subito cardinale (1743), l’ultimo che possa vantare la famiglia.

I suoi discendenti hanno continuato il fasto dinastico fino alle soglie dell’800. Con l’abolizione del regime feudale, agli inizi del XIX secolo, gli Orsini ebbero difficoltà finanziarie.

Il Duca Domenico (1790-1874) fece fronte a l’impoverimento grazie al matrimonio con Maria Luisa Torlonia, figlia del ricchissimo duca di Bracciano. Detto così sembra un grande matrimonio, in realtà i Torlonia erano divenuti nobili da pochi anni e solo grazie alle ingenti ricchezze, ottenute con spericolate azioni finaziarie sotto il governo napoleonico. Sotto questo governo, che aveva abolito completamente i privilegi feudali, una buona parte delle dinastie romane aveva dovuto pagare esorbitanti tasse di successione sui terreni degli ex feudi, impoverendosi al punto da vendere palazzi e titoli. Il suocero del duca di Gravina, il banchiere Giovanni Torlonia, aveva comprato il ducato di Bracciano dagli Odescalchi, sull’orlo del fallimento, entrando nel novero della più grande nobiltà romana. Titoli tutti confermati alla Restaurazione. Dunque un matrimonio d’interesse e ben poco illustre dal punto di vista nobiliare. Il Duca Domenico si distinse come politico nella Roma dell’epoca: fu ministro della guerra (1850), Luogotenente generale delle armate pontificie e infine senatore.

La famiglia attuale discende dai due figli del Duca Don Filippo (1845-1924). Il ramo primogenito è rappresentato dal Duca di Gravina e Principe di Solofra Don Domenico (nato nel 1948), il ramo secondogenito è rappresentato dal Principe Don Raimondo (nato nel 1931).

 

 

 

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Nota: si ringrazia il Principe Don Raimondo Orsini d’Aragona per gli utili suggerimenti, fondamentali nella ricerca di alcune fonti.

 

Correzione e precisazione sulla dinastia Orsini di Davide Shamà

 

 

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