Padre Bonaventura da Cosenza

 

(Cosenza 1836-Solofra1929)

 

Al secolo Giuseppe De Martino

 

Cappuccino e Canonico della Collegiata

 

 

 

 

 

Da “Il Campanile”, dicembre 1993.

 

Così ne parla un suo pronipote, il professore Franco Troisi.

 

 

Padre Bonaventura

Cultura e carità insieme

 

[…] Padre Bonaventura, zio di mio padre, per sua scelta, dopo la soppressione degli ordini monacali del 1870, indossò l’abito talare, divenne canonico del Capitolo della Collegiata di S. Michele, ma i solofrani continuarono a chiamarlo, fino alla sua morte, semplicemente “Padre Bonaventura”.

Da alcuni documenti che conservo risulta che con Bolla della S. Congregazione Episcopale “Concepit de Urbe die 31 mensis julii an. 1866” fu nominato Predicatore e in data 18 giugno 1891 fu nominato Mansionario del Beneficio dell’Insigne Collegiata di San Michele, in sostituzione del sac. Don Francesco D’Orsi.

Fu un uomo di elevata cultura classica (teologo innanzitutto) e non pochi furono i solofrani distintisi poi nel campo delle lettere e del diritto, che ebbero da lui i primi insegnamenti. Il pulpito, ove lui saliva diventava anche cattedra perchè le sue prediche scaturivano dalla sua mente con tale purezza  lessicale e contenuti straordinari che, se, da una parte, meravigliavano anche i più colti, dall’altra venivano recepite lo stesso da tutto il resto dell’uditorio tanta era la chiarezza del suo parlare arricchito da sillogismi e semplici esempi (molti di essi furono raccolti in volumi che purtroppo andarono dispersi), per cui la Reale Accademia Filosofica e Letteraria, in data 9 settembre 1874, considerato “il bisogno di giovarsi di ogni mente in cui scorge eminente la intelligenza, la efficacia e il buon volere” e su proposta del Segretario Generale, unanimemente applaudito” lo nominò membro della Magistratura della Reale Accademia e Calligrafo di Primo Grado.

Con atto datato Londra 27 ottobre 1908 l’Ordine cattolico Ospedaliero dell’Aquila Reale di Montreal, su proposta del Conte Gaspare Della Torre, gli conferì il Titolo e le Insegne di Cavaliere Ufficiale al Merito. Ebbe incarico da Domenique Marie SiveDirecteur au Seminare S. Sulpice à Paris – di tradurre dal francese in Piemontese, e con l’Imprimatur del Sovrano Pontefice, il contenuto di alcuni volumi della biblioteca della curia parigina e, per tale lavoro, si avvalse della pura lingua parlata dalla comunità etnica (tuttora esistente) di Guardia Piemontese (Cosenza).  Molti altri riconoscimenti ebbe da diverse autorità religiose e laiche, italiane e straniere, ma se ne sono perdute le tracce.

Compilò un album calligrafico con caratteri gotici, greci, fiorati, ecc. di 79 tavole (che io conservo) di notevole fattura e autentico capolavoro di arte grafica interamente fatto a mano con penna d’oca e inchiostro nero.

Rifiutando qualsiasi onere venale insegnò ad honorem (esempio di modestia ed altruismo non più riscontrabile nei nostri tempi) presso “L’istituto di Agata di sotto” e lì durante una manifestazione avvenuta il 7 ottobre 1869, pronunciò un lungo discorso (conservo l’originale autografo) di cui cito un solo passo:”Mio incarico fu quello di essermi stato concesso ad honorem ad insegnare ai Figli della Patria; mi ci accinsi non perchè io fossi più esperto tra gli illustri che dettano (audace a dirlo) ma bensì come disposto ad apprendere e ravvivare però, non provvisto della forza del genio, esposi le mie deboli cognizioni relativamente a scritture francese, inglese, romana e gotica” ed infine rivolgendosi agli allievi di tale istituto:”Adunque, generosi alunni, essendo Dio l’autore dello scibile umano e pur d’ogni altro ch’esiste, inneggiatelo provvidenziale, affidati dai vostri genitori a questa scola e dite, prendete, mostrate a questo pubblico cortesissimo e illustre le opere vostre, i vostri esempi perchè gli ammirano compatendo me e voi se non forniti di eleganza osservano”.

Oltre a questa elevata, ma a suo dire modesta cultura che lo distinse tra la borghesia intellettuale di Solofra e d’altrove, c’è da aggiungere che il popolo lo apprezzava per il suo grande amore per i poveri i quali (e non erano pochi) attendevano, in prossimità dell’ingresso della Collegiata, il termine della Messa domenicale delle ore 11 perchè aprisse la cassetta delle elemosine e distribuisse loro il suo contenuto ma, cosa più sorprendente, se i conti non tornavano per un’equa e soddisfacente distribuzione o il denaro era poco, metteva la mano nella sua tasca per prelevare la differenza da aggiungere.

C’era, in quel tempo, un motto che passava di bocca in bocca:”Se dovesse fare il terremoto a Solofra potrebbero cadere tutte le case ma non quella del canonico Bonaventura perchè i suoi muri saranno sostenuti da tutto quel ben di Dio che essa contiene” e ci si riferiva non alle masserizie ma alle provviste alimentari che rappresentavano la dispensa dei poveri, dato che da essa attingeva in continuazione per fare la “mappata” a chi gli tendeva la mano, anche se non frequentava la chiesa. Tutto era per i poveri dato che lui mangiava pochissimo; basta pensare che di sera consumava solo un po’ di pastina scaldata senza condimento e, poi, un tarallo imbevuto in mezzo bicchiere di vino ed una frutta e ciò dopo aver benedetto la tavola alla quale, solo dopo la preghiera, potevano sedersi mio padre e mia nonna, sua sorella.

Nel periodo della Pasqua era solito benedire le case facendosi accompagnare da una donna che portava un grande cesto sul capo che serviva per raccogliere le uova e altra roba che gli veniva offerta quale obolo. Ebbene, al suo rientro erano ad attenderlo tanti poveri ai quali, deposto il cesto sull’uscio e prima di entrare in casa, distribuiva tutto quello che aveva raccolto e una volta mi raccontava mio padre, dopo aver distribuito, forse, 200 uova, e all’idea di mia nonna di preparare una fruttata per cena: “Eccoti i soldi per comprare quattro uova perchè quelle del cesto sono servite tutte per sfamare tanta povera gente”.

Dal mercato domenicale tornava a casa sempre accompagnato dalla donna col cesto sul capo e nel quale inseriva servizi di piatti, bicchieri, tazze, ecc (regolarmente comprati) e mia nonna quasi lo rimproverava dicendogli che era roba superflua, ma lui rispondeva:”Se nessuno compra come fa a vivere quella gente che viene a Solofra per vendere? Conserva, conserva, che poi li regalerò a qualche povera giovane che dovrà sposarsi!”

Zio canonico, così lo chiamavamo in famiglia, era fatto così con un amore smisurato per i poveri e poi proprio lui morì povero tra i poveri non lasciando ai familiari neanche una lira, ma solo una grande e più importante eredità spirituale.

Ciò avvenne nel 1929 (allora io fanciullo) all’età di 93 anni, appena qualche giorno dopo aver celebrato la prima (e poi ultima) messa mattutina nella Collegiata ove si recava (anche a 93 anni!) a piedi muovendosi lentamente dalla nostra abitazione del rione Volpi, le cui finestre, ricordo bene, affacciavano sul tratto di strada ove c’era una fontanella pubblica.

È rimasta nei miei infantili ricordi la marea di popolo che partecipò al funerale e quanta gente, uomini e donne, persone istruite e semplici “concirioti” che piangevano!

Fu sepolto nella nuda terra e, su di essa, una semplice e rozza croce di legno con la scritta “Canonico Bonaventura” in un distorto e brutto stampatello, quasi offensivo per lui che era stato riconosciuto Maestro Calligrafico di Primo grado dall’Accademia Letteraria Reale; e quando negli anno ’40 si eseguì la sua esumazione (io presente) i suoi poveri resti furono buttati, dico “buttati” (come consuetudine) nell’Ossario comune immischiandoli tra i mortali resti dei suoi amati poveri. Né mai fu fatta celebrare da chicchessia una Messa in suo suffragio, lui che ne aveva celebrate centinaia in suffragio delle anime dei morti altrui (ma credo che non ne avrebbe avuto bisogno); né mai fu fatta da alcuno una pur semplice commemorazione.

Il suo nome invece venne appena citato in un articolo riguardante il vecchio Capitolo e pubblicato su “Il Campanile” di qualche tempo fa a firma dello scrittore e storico prof. Michele Greco e dopo circa 60 anni dalla sua morte.

Franco Troisi       

 

 

 

 

Dall’Album di Calligrafia

 

di Padre Bonaventura

1865

 

 

 

 

 

 

Documenti:

Reale Accademia, La Scuola Italia, Società Nazionale Filosofica, Medica, Letteraria, Napoli 1864: Nomina a Socio e Membro della Reale Accademia di Napoli e Maestro Calligrafo di Primo Grado

 

Sacra Congregazione Episcopale dell’Urbe, 31 giugno 1866: Nomina a Predicatore dell’Ordine francescano.

“non solum studiorum tempus et humanarum ac divinarum cognitionem, sed morum etiam honestatem, ac Religiosae vitae integritatem non mediocriter suffragari

 

S. Agata di sotto, 2 settembre 1869: Discorso accademico su La Calligrafia.

 

Solofra, 18 giugno 1891: Nomina a Mansionario della Collegiata di S. Michele.

“dietro le regolari dimissioni rassegnate dal R.do Sac. D. Francesco D’Orsi relativamente al beneficio, in sua vece … nominiamo in qualità di Mansionario l’ex Cappuccino P. Bonaventura da Cosaneza”. 

 

1908, Londra, Istitut Fhiladelphique, Ordre Hospitalier de l’Aigle R. De Montréal: Nomina a Cavaliere ufficiale al merito.

La nomina fu proposta dal Conte Gaspare della Torre

 

 

Avellino: Lettera riguardante la traduzione della “Bolla Inestabilis in dialetto guardiuolo” (Guardia Piemontese di Calabria), inviata al Direttore del Seminario S. Sulplice, Maria Dominique Sive. (s.d)

 

 

I documenti si trovano presso il Centro Studi di Storia locale della Biblioteca Comunale di Solofra (Avellino), donati da Francesco Troisi.

 

 

 

 

 

Padre Bonaventura abitava in Piazza nel palazzo Troisi

 

Ebbe la cura della chiesa del Popolo alla Forna.

 

 

 

Home

 

Uomini illustri solofrani

 

Accadde nel Novecento

 

Scrivi