Costantino Vigilante

(1685-1754)

 

Vescovo di Caiazzo, partecipò al moto innovatore messo in atto da Carlo III di Borbone

 

 

Nella Napoli delle riforme di Carlo III si trovò ad operare Costantino Vigilante la cui formazione, improntata ai tempi nuovi, si coglie nei libri della sua biblioteca solofrana che lo mostrano uno spirito aperto ai problemi del tempo, attento alle dispute, che vedevano la chiesa impegnata nei problemi posti dai progressi della scienza, e che, nel rapporto tra ragione e religione, non accetta la chiusura dogmatica, apprezzando la prima, che molto può sovvenire la seconda, per esempio quando l’aiuta a non essere strumento di oppressione.

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Apparteneva ad un ceppo solofrano che era una forza economica di grande importanza nella società locale. Laureato in utroque jure all’Università di Napoli ebbe un’ampia educazione classica, si interessò in modo preminente della Francia, nazione di cui studiò la lingua e la storia specie quella delle lotte religiose, approfondì i problemi del Regno di Napoli, studiò medicina e geografia. Queste notizie e altre di seguito sono dedotte dallo studio dei libri della sua biblioteca di Solofra, di cui fu redatto un inventario, lui vivente Seguì la vicenda dell’abbazia di Portoreale, conobbe la filosofia del Seicento e Giordano Bruno.

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Egli riuscì, come tutta la non minuta schiera del clero "illuminato", a immettere linfa nuova nel ceto più potente della Napoli settecentesca, era, infatti, confessore del re e della regina e faceva parte del gruppo che circondava il Tanucci. Si mosse pertanto nell’equilibrio conservatore instaurato dal Borbone, e dette il suo contributo a tutte le riforme attuate nel campo ecclesiastico, convinto della necessità di porre un freno alla potenza economica e politica del clero. Era conscio del nesso negativo tra privilegio ecclesiastico e sviluppo economico e sociale, e della necessità di un atteggiamento misurato, che, gradatamente, riducesse l’eccessivo sviluppo delle istituzioni ecclesiastiche e del numero dei chierici, che da quel privilegio derivavano. Conosceva bene questo problema, perché lo viveva nella sua terra d’origine dove si era prodotto un’elefantiasi nel numero dei preti, non sempre legata a motivi vocazionali e religiosi, e sapeva la pericolosità di chi entrava nello stato ecclesiale senza un’adeguata preparazione, e, ancor peggio, senza vocazione, impegnandosi in questo senso.

 

Attraversò la lotta anticlericale della Napoli del suo tempo - in un momento di ripresa di quel movimento - , operando per sostenere il clima di rinnovamento, teso ad eliminare la secolare dipendenza di Napoli dalla Chiesa di Roma, comprendendo che la questione era un nodo essenziale per lo sviluppo del Mezzogiorno, e sostenendo la necessità di una regolamentazione delle materie ecclesiastiche da parte dello Stato. Aderiva dunque al clima di affermazione della nazione napoletana, ispirata al principio dell’autonomia laica dello Stato. Non portò però mai il contrasto con Roma e con il clero oltre un limite, e, quando questo si fece più forte per la questione dell’Inquisizione, mise in atto una non facile opera di mediazione tra il cardinale Spinelli, di cui era vicario, e il re, riuscendo ad evitare, più volte, la sommossa popolare e la restaurazione del Tribunale, ed operando per ridurre i rigori della censura sui libri.

 

Come sacerdote e vescovo di Caiazzo si pose il problema dell’ignoranza delle popolazioni, che le rendeva più facilmente oggetto delle prevaricazioni e dei soprusi, e che faceva sì che il loro lavoro fosse meno proficuo, operando nel senso di una educazione della coscienza dei contadini. Sottolineava i pericoli della povertà, come causa di degrado morale e sociale e come conseguenza dell’appropriazione dei frutti del lavoro da parte dei privilegiati. Affrontò anche la non facile questione, che sentiva come storica e sociale, della necessità di dare un sostegno all’attiva borghesia rurale della fertile terra di lavoro, dove si avvertiva il problema dei beni feudali e la necessità di annullare gli impedimenti alla libera espansione delle forze produttive, adoperandosi in questo senso e ricorrendo persino all’arma della scomunica contro gli oppositori delle sue riforme.

 

Lavorò, inoltre, aiutato dal clima di generale rinnovamento, per liberare la religione dalle forme di bigottismo esteriore e di cieco dogmatismo, specie negli ambienti di corte, dove predominava la superstizione, convinto che bisognava combattere contro la religione che diventa dogma o sfocia nella magia. L’opera di rinnovamento religioso e di riscoperta della genuinità del messaggio cristiano non poteva, però, essere portata a termine se permaneva l’ignoranza di una parte del clero, si adoperò, pertanto, per l’educazione di "nuovi" sacerdoti, capaci di mettere in atto una nuova azione di evangelizzazione delle masse.

 

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Mise in atto questa opera insieme ad Alfonso Maria dei Liguori, che fu suo amico ed anche suo ospite a Solofra, con la creazione dell’ordine dei Redentoristi.

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Costantino Vigilante portava a Solofra, nelle frequenti visite, questo suo aprirsi alle istanze dei tempi nuovi e questo suo immergerle nella realtà, e portava la fiducia nell’autorità monarchica, che aveva acquistato spessore con l’avvento di re Carlo.

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Per approfondire: O. Caputo, I vescovi nati nella diocesi di Salerno e Acerno, Salerno, 1982, pp. 353 e sgg.; R. Ritzler-P. Sofrin, Hierarchia Catholica, V, p. 135; Archivio Segreto Vaticano, Relazione ad limina, 1732; Id, Proc. Dat., v. 104, f 420.

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Cosa si conosceva a Solofra di Costantino Vigilante nel 1989

 

Da un articolo su “Il Ponte”

Un collaboratore di S. Alfonso de’ Liguori: Costantino Vigilante da Solofra

 

Sant’Alfonso de’ Liguori, sulla cui opera è stato di recente discusso all’Istituto di Scienze Religiose di Avellino in occasione della presentazione di due volumi dedicati al Santo e curati dal professore Francesco D’Episcopo, ebbe un collaboratore ed amico prezioso in un altro vescovo, il solofrano Costantino Vigilante, che, come il santo di Marianella, considerava il sacerdozio un impegno sociale.

I tempi vedevano la Chiesa unica alleata dei ceti meno abbienti o socialmente deboli e il Vigilante sapeva bene che solo liberandoli dall’ignoranza e dalla superstizione poteva avviarne l’emancipazione. Egli operava nella diocesi di Chiazzo, una zona in cui si era creata una borghesia rurale attiva che doveva essere messa in grado di aver partita vinta contro la dominazione aristocratica terriera, legata alle avite prerogative. Contro questa nobiltà, che reagiva violentemente, il coraggioso vescovo non ebbe paura di usare l’arma della scomunica. Agì con fermezza senza però mai esacerbare gli attriti sociali che certo non generano progresso.

Metteva in evidenza in quest’opera eccellenti doti diplomatiche per cui il cardinale Spinelli lo volle al suo fianco a Napoli in una difficile mediazione che il Vigilante affrontò con perizia.

Nella capitale del Regno in quegli anni si era generato un forte attrito tra il potere regio e quello religioso poiché la corona aveva intrapreso una serie di riforme atte a limitare il potere della Chiesa e questa aveva risposto tentando di ripristinare il terribile Tribunale dell’Inquisizione con il quale il potere ecclesiastico penetrava nella vita civile. Il Vigilante, che frequentava gli ambienti della regia come confessore di casa reale potette svolgere un’efficacissima opera di mediazione riuscendo ad evitare che gli eccessivi attriti di due ambienti contrapposti e gelosi degenerassero in aperta lotta.

Non mancarono momenti cruciali sia perchè egli stesso, anche se uomo di chiesa, era contrario all’Inquisizione, sia perchè si rischiò una sommossa popolare da parte della plebe che era, in questa controversia, con la corona. Solo la sua abilità diplomatica riuscì ad evitare che il Tribunale fosse restaurato senza compromettere i rapporti tra curia e corte e senza spargimento di sangue.

Nello stesso tempo continuava l’opera di emancipazione sociale della sua diocesi nella quale l’amicizia col futuro santo si trasformava in collaborazione nella diffusione delle Missioni, delle Cappelle serotine e dell’Ordine dei Liguorini.

L’amicizia diventava legame familiare per cui vediamo varie volte S. Alfonso a Solofra. A parlarci di questi rapporti fino a poco tempo addietro c’erano le lettere scritte dal Santo all’amico che la famiglia Vigilante conservava gelosamente, ma che il terremoto ha distrutto cancellando una preziosa testimonianza.

Insieme al più grande amico il Vigilante si trovò a combattere il giansenismo che si diffondeva a Napoli e che era in netto contrasto con la loro visione del cristianesimo

Ci piace concludere col sottolineare l’impegno del Nostro nell’affrontare la lotta alla superstizione per la quale non vedeva solo necessaria l’eliminazione dell’ignoranza, ma soprattutto riforme adatte. Se continuavano ad esistere i processi contro i pretesi delitti di stregoneria la superstizione non avrebbe mai perduto credito negli ambienti ufficiali. Bisognava perciò operare su questo lato e la sua presenza a corte servì ad aprire questa via alle riforme del Tanucci.

Questi pochi tratti mettono in luce una personalità non secondaria e lo stesso professore D’Episcopo era d’accordo sulla necessità di approfondirne la conoscenza. A Solofra, invece, non ce n’è ricordo neanche in una strada, che, pur tante, aspettano una denominazione e noi ci auguriamo che questa lacuna venga presto colmata.

Mimma De Maio sul periodico “Il Ponte” 1989.