NASCITA DEL SOCIALISMO A SOLOFRA

 

IL MOVIMENTO OPERAIO TRA LA FINE DEL XIX E L’INIZIO DEL XX SECOLO

 

 

Alla fine del XIX secolo si sviluppò a Solofra un movimento operaio legato alla realtà artigiano-mercantile di questa società, ma che affondava le radici in una solida corrente rivendicativa antifeudale che aveva attraversato tutta la sua storia.

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Fin dall’inizio si era delineato nella società solofrana un chiaro spirito autonomistico a carattere economico che ebbe i suoi punti nodali negli Statuti, nella costruzione della Collegiata di San Michele Arcangelo, che fu una struttura a sostegno dell’economia, nel riscatto dal giogo feudale (1535-1555) e in una strenua lotta contro il dominio feudale degli Orsini (1555-1809), che ebbe un momento cruciale, dopo i moti masanelliani, negli anni a cavallo tra il Seicento e il Settecento. Anche la partecipazione agli eventi della Repubblica napoletana del 1799 fu in funzione antifeudale e in difesa della realtà locale, mentre i gravi danni alle attività artigiane patiti dal fallimento di quella rivoluzione alimentarono la vena rivendicativa che esplose nei moti carbonari con lo sviluppo di ben quattro vendite.

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In questa realtà sociale, che ha considerato sempre prevalente liberare le energie produttive dalle prevaricazioni, si innestò l’esperienza socialista nella quale si espresse il contrasto tra i lavoratori e i piccoli artigiani contro il grande patronato.

 

Il movimento provenne dalle aree industriali di Salerno e di Napoli delle quali il territorio solofrano costituiva l’hinterland economico. In special modo da Napoli giunsero gli echi dell’operato di Michael Bakunin che scoprì proprio in queste zone una carica rivendicativa non indifferente.

 

L’ambiente solofrano era adatto ad accogliere e sviluppare di un ben preciso movimento operaio.

All’inizio si affrontarono problemi assistenziali poi si passò a dibattere questioni più specifiche. Nacquero ben tre società di mutuo soccorso che dopo il primo Congresso di Napoli (1864), ebbero forme di lotta più avanzate: una si interessò degli operai pellettieri, un’altra degli agricoltori ed un’altra fu più eterogenea. Esse misero in evidenza il carattere specialistico e rivendicativo del mutualismo solofrano simile a quello salernitano e napoletano, diverso invece dal più moderato mutualismo irpino.

Alla fine del secolo da Salerno (1895) e a Napoli (1898), giunsero gli echi dei moti che furono particolarmente violenti proprio tra i lavoratori della pelle. Questi a Solofra avanzarono richieste di aumenti salariali e di diminuzione dell’orario di lavoro.

Il moto fu bloccato dalla forza pubblica.

 Dopo gli eventi di fine secolo si costituirono i primi nuclei sindacali che trasformarono le Società di mutuo soccorso in Leghe di resistenza più rivoluzionarie con forme di aiuto ai lavoratori in sciopero o in carcere.

 

 

 

La Lega Pellettieri

 

Il 1° febbraio del 1903 fu fondata a Solofra la Lega Pellettieri, che subito apparve ben incrementata nel tessuto sociale e considerata eminentemente sovversiva. Essa fu in rapporto coi movimenti operai di Napoli, Salerno e Avellino, attraverso la corrispondenza con giornali dell’area radical-socialista: il napoletano Il 1799, il salernitano Il lavoratore e l’avellinese Cronaca Rossa

La Pellettieri, iscritta alla Camera del Lavoro di Salerno e alla Federazione di Milano, fu il primo esempio di organizzazione operaia in Irpinia con 300 adesioni (piccoli artigiani a domicilio uniti agli operai) che misero in evidenza una partecipazione di ampi strati della società solofrana.

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La bandiera della Lega pellettieri

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Fondatore e presidente della Lega Pellettieri, fu Ernesto De Maio. Scriveva sui giornali socialisti dell’epoca con lo pseudonimo di Friz.

Vedi

Ernesto De Maio

 

 

 

 

 

Anche la Società di Mutuo Soccorso dei contadini si trasformò in Lega di resistenza, mentre la Società Centrale, nelle cui fila c’erano industriali e contadini, continuò ad avere solo scopi assistenziali. Si profilava nel movimento operaio solofrano un’ala più vicina al patronato e da esso controllata ed una più radicale. C’erano poi le associazioni cattoliche, anch’esse volte verso i problemi del mondo del lavoro, che introducevano una carica conservatrice nel mondo operaio.

Le due leghe solofrane erano organizzazioni su base professionale che ereditavano, trasferendolo sul piano della lotta per il miglioramento dei lavoratori, l’antica struttura delle attività artigianali locali. La Pellettieri, per la specificità del lavoro solofrano, aveva l’impronta di una vera e propria Lega di mestiere che dava forza alle richieste. Si chiedeva un coordinamento degli orari di lavoro, dei salari e delle mansioni che invece dipendevano esclusivamente dagli industriali, un aumento salariale del 25%, la riduzione dell’orario di lavoro da 14 a 8 ore.

Nell’aprile del 1903 ci fu uno sciopero, collegato a quello napoletano, che vide un vero braccio di ferro tra gli operai e gli industriali locali che durò 11 giorni durante i quali tutta la zona fu presidiata dalle forze dell’ordine sostenute persino da un reparto di fanteria. Non riuscì una mediazione del segretario della Camera del Lavoro di Salerno e del rappresentante della Lega solofrana con gli industriali che seguirono una linea dura rivolgendosi alla manodopera dei paesi limitrofi e arrivando a condizionare le assunzioni tramite la Società di Mutuo Soccorso da loro controllata. Gli scioperanti solofrani ebbero la solidarietà dei partiti del Blocco Democratico di Avellino, l’appoggio diretto del Partito Socialista irpino e di quello beneventano mentre il problema dei pellettieri solofrani fu dibattuto in Parlamento dal PSI.

Gli industriali solofrani dopo la vittoria ostacolarono ogni rapporto con gli operai impedendo tra l’altro il funzionamento del probivirato un istituto con mire di pacificazione. Fu chiaro che il nemico del socialismo solofrano non era la arretratezza delle masse, come si diceva in genere per il socialismo irpino, ma l’opposizione della classe che non voleva abbandonare le situazioni di privilegio godute.

Disse un contemporaneo di quella situazione:

Se era difficile per la classe lavoratrice progredire economicamente ancor più lo era progredire culturalmente e lottare contro chi era capace di schiacciare chiunque avesse tentato di elevarsi. E Guido Dorso parlò, per risolvere questa situazione, di rivoluzione politica e sociale delle coscienze nel senso che gli uni dovevano abbandonare il sopruso e gli altri non essere passivi strumenti di quelli.

Subito dopo il fallimento dei moti fu costituita a Solofra una Camera del Lavoro (17 dicembre 1903) per dare forza e mantenere vive le esigenze degli operai, ma il tentativo fallì. Restò un diffuso malcontento intorno alle 55 industrie locali e alle 8 santagatine e nell’impegno con cui fu mantenuta in piedi la Pellettieri che ancora nel 1904 aveva più di 300 iscritti, un locale dove riunirsi, ed un programma, mentre il sostegno finanziario veniva dagli emigrati.

Il depauperamento di questa esperienza fu causato anche da una massiccia emigrazione che provocò una involuzione tanto che da quel momento non si parlò più di Leghe, ma solo di Società Operaie che non avevano la carica rivoluzionaria.

Non si fermava però l’opera di proselitismo nel partito socialista la cui debolezza era aumentata dalla divisione tra rivoluzionarismo e riformismo, dal fatto che era ancora sentito lontano dalle masse e che alcuni suoi rappresentanti vennero assorbiti nella logica del trasformismo. Esso era presente a S. Agata, dove la base fortemente operaia e contadina era fatta oggetto di soprusi e a Solofra dove però la situazione era più facilmente gestibile dal patronato più diffuso.

 

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  SOCIALISMO NEGLI ANNI VENTI

UN SOCIALISTA TRA LE DUE GUERRE

 

 

 

Da M. De Maio, I Miei ricordi di A. Famiglietti e la presenza socialista nell’area solofrano-santagatina, Solofra, 1989.

Solofra nell’Ottocento

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