Chiese solofrane

San Rocco

 

Sorge sulla piazza omonima sul lato orientale della Collegiata e di fronte al Palazzo Orsini.

Questa chiesa e il suo culto è legata ad una forte tradizione solofrana che ha in grande considerazione il santo, protettore dei conciatori e del terribile morbo che colpiva questi artigiani. Il carbonchio (detto in vernacolo locale tracena) è un insetto che si nascondeva nella lana e tra i peli delle pelli provocando una pustoletta puriginosa e molto contagiosa che era tolta col fuoco. L’immagine del santo infatti lo raffigura con questa pustoletta sulla gamba assistito da un cane poiché gli uomini lo evitavano.

Per questo motivo il santo è considerato il secondo protettore della comunità dopo San Michele. La stessa ubicazione della chiesa, dominante la zona casale delle concerie e allo sbocco della via vecchia che la costeggiava, dimostra questa valenza.

Fu costruita nel 1475, dopo la peste del 1528 subì un ampliamento e delle donazioni (Margerita Vigilante moglie di G. Luisio Troisio) e rifatta nel 1693, mentre nel 1719 fu dipinto il soffitto.

Fu sede della Confraternita di San Giovanni sotto il titolo della Pietà, che fu costituito nel 1616 nella omonima chiesa al rione Fratte (ora diruta) e confermato nel 1778. Aveva una cappella dedicata a S. Gaetano.

Durante i restauri sono state recuperate varie opere, fra la quali un altare in marmo di stampo barocco, un crocifisso ligneo molto antico, una decina di tele fra le quali due di stile bizantino. Ultima restaurazione è avvenuta nella ricostruzione del doposisma.

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L’edificio, a forma quadrata, è ubicato poco lontano dal palazzo Ducale e sulla direttiva scenografica del prospetto della chiesa di S. Michele Arcangelo e del Campanile. Si erge semplice in un volume regolare, che racchiude uno spazio ancor più geometrico e modesto, scarsamente illuminato da quattro vuoti situati all’altezza del soffitto piano. Dà vitalità all’ambiente rinascimentale del centro storico solofrano.

 

La facciata, molto semplice, è posta davanti una larga piazza, che ha tra i suoi elementi decorativi un antico pseudobelisco detto "calvanico" (o calvario) che era la colonna alla quale venivano legati per essere posti al ludibrio i creditori insolventi ("essere messi al bando"). Ai lati della porta si aprono due nicchioni ove posano due statue in gesso di grossa mole, chiaramente artigianali e di modesta fattura artistica.

 

L’interno semplice ha un soffitto piano in cassettonato ligneo riccamente dipinto da abili artigiani della fine del XVII secolo. In esso si legge ancora bene una grossa tela circolare, rappresentante una Trinità in Apoteosi, opera del Landolfi del 1719.

Sull’unico altare, vi è una tela raffigurante San Rocco in meditazione, probabile opera di Matteo Vigilante, artista solofrano del XVII secolo. Pregevole è il coro in legno.

Nell’insieme l’interno, illuminato abbondantemente ed in maniera irrazionale, stupisce per il dinamico contrasto compositivo nel piccolo spazio, creando un’atmosfera tipica che è quella che scaturisce dall’abbondanza di alcuni valori espressivi.

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Per volere del primicerio Mariano Vigorita, l’interno della chiesa è stato riempito con opere d’arte, statue e quadri, provenienti da altre chiese distrutte o dalle stanze della sacrestia della Collegiata trasformando la chiesa in una mini pinacoteca.

 Vi si osservano:

L’Annunciazione, di ignoto pittore del ’600, è un opera è di impianto chiaramente barocco.

La Madonna di Portosalvo, opera di notevole pregio di Francesco Guarini nella quale si legge la grande passione ed ammirazione che l’artista solofrano riservò al maestro napoletano Massimo Stanzione. Il bellissimo volto è una chiara espressione dell’animo rustico del Guarino, le mani ed il nudo del piede sono ricchi di naturale brillantezza, il paesaggio marino si distacca totalmente dall’accademica composizione chiaramente stanzionesca. L’intera tela è stata più volte rovinata da orribili restauri e lo stesso splendido puttino guariniano stenta a trasmettere tutta la potenza del colore e del disegno del Maestro.

Deposizione, opera pregevole attribuibile allo Stanzione dall’impianto altamente espressivo. Il nudo stupendo del Cristo, ricco di espressione naturalistica sembra quasi vero nelle sue gelide carni cadaveriche rese naturali dal gioco della luce che stampa una drammatica sequenza di chiarità ed ombre, potentemente plastiche. L’atmosfera è ricca del genio stanzionesco, perfino il calcinato e rozzo lenzuolo ove staccano le membra del Cristo in triste contrasto tonale, mentre il biondo oro dei capelli della Maddalena è una nota innaturale in un ambiente cupo e ricco di arcano mistero celestiale. 

Crocifisso ligneo, di proporzioni reali e stupenda fattura, è sistemato con fragile evidenza compositiva vicino all’altare.

 

 

Dalla Visita pastorale del 1704:

La chiesa di San Rocco della Terra di Solofra, prima del contagio del 1656 era una cappellotta di niuno riguardo; dopo il detto contagio, con le carità dei fedeli, l’Università di detta Terra l’ampliò nella forma ch’oggi si vede, in forma quasi quadrata, in luogo pubblico, avanti il Palazzo Principale di detta Terra, con la porta grande ad Aquilone, e la porta piccola volta a Ponente; ha detta Chiesa tre lumi ingredienti sopra detta Porta grande e due finestre con impannate a mezzogiorno, con altro mezzo lume a Ponente, che si deve serrare, perché è di niuno profitto. Nell’anno 1688 a cinque aprile la detta Università donò e concedè la detta Chiesa ed amministratori alla Congregazione del SS. Sacramento la quale sta obbligata d’associare con lumi s proprie spese il SS. Viatico all’infermi, e con essa li donò un poco di terreno pubblico con alcuni albori di gelso, dalla porta di ponente di detta Chiesa, e s’obbligò la prefata Università ad altri annui ducati sei in perpetuo per la riparazione e festività di detto santo". Erano quell’anno Ufficiali della Congregazione e Amministratori della chiesa: Altobello Garzillo, Gio Battista Papa e Arcangelo Giannattasio.

 

 

 

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La chiesa di San Rocco secondo patrono di Solofra

 

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