Da “Il Campanile”, 2005 (XXXVI, n. 11, p. 4)

 

La Collegiata, centro religioso e politico della comunità solofrana

 

 

Collegandomi al discorso fatto sulla Collegiata e al fatto che essa fosse il simbolo della Comunità, in questo articolo voglio porre all’attenzione dei lettori un documento di grande importanza per questo discorso.

È un atto legale in cui la Universitas, cioè il governo cittadino, dà incarico ad un notaio di individuare ed elencare tutti i segni presenti nella chiesa che indicassero che essa era di “esclusiva proprietà della Comunità solofrana”.

Siamo nel 1738, da poco era finita la lunga lotta tra Domenico Orsini e la maggior parte della comunità capeggiata dal primicerio Giovanni Sabato Iuliani. Una lotta nata anche e soprattutto perché l’Orsini aveva tentato di estendere il suo potere proprio sulla Collegiata, cosa che significava avere sotto controllo tutta la finanza ecclesiastica gestita dalla chiesa. La comunità solofrana, pur uscita vincitrice da questo contrasto, ma conscia di come andavano a finire gli scontri con i feudatari per le possibilità che questi avevano di capovolgere le situazioni più sfavorevoli, si dotò di uno strumento legale, l’atto in questione, a dimostrazione dell’appartenenza della chiesa. 

Lo straordinario documento ci fornisce altri dati di estrema importanza. Ci dice, per esempio, che la chiesa era governata da persone elette ogni anno dalla Universitas, che questa elezione avveniva durante la Messa solenne in occasione della festa di S. Michele, l’8 maggio, ed era fatta dal Sindaco e dagli Eletti, la Giunta di allora, e ci dice che i governatori in carica sedevano, durante le funzioni religiose, in un apposito banco a loro riservato.

Da questo spaccato appare un’importante funzione della Collegiata e cioè il fatto che in essa avvenivano molti momenti della vita cittadina, e, in particolare, durante la festa del nostro patrono, che era l’occasione per assolvere essenziali compiti comunitari.

Prima della costituzione dello Stato moderno la chiesa, ogni chiesa, ebbe l’importante funzione di essere il luogo centrale della vita comunitaria, di essere il punto di riferimento di tutti gli eventi pubblici, dalla semplice assemblea per informare o comunicare notizie ed eventi  - oggi svolte per esempio dai manifesti, dai giornali o dalle comunicazioni epistolari -  ai vari momenti elettivi, comunque in ogni occasione in cui si richiedeva la partecipazione della Comunità.

Non dobbiamo dimenticare che dinanzi alle chiese avveniva la promessa di matrimonio, la chiamata al servizio, e persino l’elezione del Decurionato, il Consiglio Comunale, e che l’Universitas non aveva alcun altro luogo dove instaurare un diretto contatto con la Comunità.

Il Comune, con la struttura che oggi conosciamo, è un prodotto dell’Ottocento quando da noi si instaurò il cosiddetto lo Stato moderno, precedentemente esso aveva solo un Archivio dove si raccoglievano i documenti più importanti, gli Statuti, gli Atti notarili, non aveva per esempio compiti di anagrafe, insomma non svolgeva tutta la complessa vita amministrativa di oggi.

La chiesa era dunque il centro cittadino per eccellenza, in essa la comunità si sistemava secondo il ruolo che occupava nella società, non c’erano quindi solo gli scanni per i governatori, quelli per i preti del Collegio, per i mansionari, e per gli altri sacerdoti, oppure quelli per il feudatario e per la sua famiglia, ma ogni cittadino rappresentativo della comunità ed ogni famiglia aveva il suo preciso posto in questa nostra chiesa, in cui doveva vedersi, anche fisicamente, la posizione che ciascuno occupava nella società. Persino alle prostitute gli Statuti assegnavano una precisa collocazione in chiesa.

Ma chi erano questi governatori, cioè questi rappresentanti della Comunità all’interno della Collegiata? Si hanno i nomi e si posso individuarne anche altri elementi. Sono due rappresentanti di una delle famiglie più importanti di Solofra, insediata tra il Toro e la Fratta e in questo secolo ai vertici della società solofrana, non solo per la consistenza economica, quanto per la funzione sociale dei suoi membri. Si chiamavano Andrea e Giovanni Stefano Vigilante ed appartenevano al ramo di Costantino Vigilante, che proprio in quel tempo era una figura rappresentativa della Napoli illuministica e collaborava col Tanucci e con lo stesso re allo svecchiamento delle strutture del Meridione. Il primo era un anziano sacerdote, una figura eminente e un vero e proprio simbolo della famiglia, il secondo un mercante e uno speziale, aveva sposato due sorelle  - le figlie del notaio Orazio Antonio Giaquinto -  ed era padre di ben tre sacerdoti, a quell’epoca ancora fanciulli. Uno di questi, Rocco, sarà parroco di San Giuliano, un altro, Carmine Antonio, sarà uno dei primi parroci dotti di Napoli ed opererà in due parrocchie napoletane, a Posillipo e a S. Biagio dei librai (S. Gennaro all’Olmo). Un quarto suo figlio, Matteo, fu un apprezzato pittore di opere sacre oggi presenti tra Nusco, Montoro e Solofra, ed ancora un altro, Giuseppe, fu un eminente avvocato napoletano. Siamo quindi in presenza di una famiglia di rilievo della Solofra di metà Settecento che meglio non poteva rappresentare la comunità in seno alla Collegiata.

Ritornando al documento, a parte altre interessanti notazioni che non si ha lo spazio di citare, interessa qui dire che il documento elenca tutti i luoghi della chiesa ove era stato posto il Sole raggiante, che è l’arma della Comunità, e che quindi ne testimoniava l’appartenenza, ma anche tutti i luoghi ove era posta la stessa scritta “Universitas”, da quella del 1568 incisa su una pietra del campanile, a quelle del 1594 e del 1610, poste al di sotto del quadro del Lama e sull’architrave di legno che una volta ornava l’arco trionfale che divide la navata principale dal transetto o sull’organo (1599), a quella, 1614, della porta principale, a un’altra (1673) posta sulla pietra tombale del “sepolcro maggiore”. Il sole invece era distribuito un po’ dappertutto sulle spalliere degli scanni più importanti, sugli addobbi di legno della chiesa e sulle sue porte anche quelle istoriate dei tre ingressi. Molti di questi segni non ci sono più perché sono stati asportati durante i vari restauri, altri restano, come quelli  - e sono i più significativi -  che si ammirano scolpiti nel legno ai quattro angoli dei due quadri centrali dei cassettonati, sia quello della navata centrale che quello del transetto.

Questi segni, che ancora oggi troviamo sparpagliati un po’ qua e là in Collegiata, non furono dunque un vezzo, ma una necessità, e che alla luce di quanto detto acquistano una diversa valenza.

Vale concludere citando un altro documento simile, del 1779, in cui si citano altre iscrizioni e simboli, e sono tante,  - ben sette dal 1742, al 1779 -  e infine citare le scritte poste anche in seguito, ad indicare i vari restauri o eventi avvenuti nella chiesa, quasi a rimarcare un’appartenenza anche quando non c’era più la preoccupazione che questa identità ci potesse essere derubata.  

Mimma De Maio

 

Novembre 2005

 

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