La vita e le opere di Onofrio Giliberto*

 

di Carlo Coppola

 

Il poco rilievo della produzione letteraria di Onofrio Giliberto da Solofra è tra i casi più singolari della cultura del Seicento italiano. È, infatti, tuttora quasi sconosciuto. La sua fortuna critica riflette tale situazione, e non risulta a tutt’oggi, che siano stati condotti studi organici sulla sua produzione letteraria. La riscoperta della sua Opera, da parte mia, si deve essenzialmente ad eventi casuali che hanno portato la prima opera da lui composta, "Vita e Morte di San Rocco" pubblicata nel 1643, ad essere da me ritrovata in un polveroso scaffale della biblioteca della mia famiglia. In seguito a tale ritrovamento si è andato sviluppando il mio lavoro di ricerca, che partendo dell’opera in mio possesso, si è esteso alla lettura della sua produzione oggi rintracciabile nelle biblioteche italiane e nella Biblioteca Apostolica Vaticana.

Onofrio Giliberto nacque a Solofra, con molta probabilità, nel 1618 da un’antica famiglia che annoverava come suo capostipite Gilberto Batuero Drengot, normanno che aveva messo le sue truppe al servizio di Melo da Bari, e fratello di quel Rainulfo Drengot, che tra il 1030 ed il 1037 aveva fondato la città di Aversa. Probabilmente però le mitiche origini della famiglia, furono rispolverate, e forse create di sana pianta, quando alla fine del 1600 un esponente della famiglia, cercando di ottenere l’ingresso nell’Ordine Equestre di Malta, doveva dimostrare di avere un certo numero di quarti di Nobiltà. Certamente i Giliberti di Solofra, dovevano essere stati commercianti di pelli come del resto la maggior parte degli abitanti di Solofra.

Attorno al cardine del commercio della pelle grezza e conciata, ruota probabilmente la vita e di qui la relativa esperienza letteraria di Onofrio Giliberto, poiché Solofra era a quel tempo, e resta oggi anche se in modo differente, la capitale meridionale delle attività relative a tali commerci.

Dalla lettura di alcuni atti notarili che citano Onofrio si è portati a credere che egli sia rimasto orfano di padre in tenera età, o che addirittura questi possa essere premorto alla nascita del figlio; scopriamo anche che quest’ultimo fu beneficiario già nei primi anni di vita di una somma assai rilevante per i suoi studi superiori utile a permettergli di conseguire il titolo di laurea; la somma era posta sotto il vincolo del dottorato lasciatogli per testamento da una zia paterna. Oltre a queste notizie di carattere generale l’unico documento in base al quale poter ricostruire la biografia di Onofrio è un testamento da lui redatto e che porta la data "28 mensis julii 1656" da Solofra. Siamo in piena pestilenza, che ci permette di collocare l’anno della sua morte certamente dopo quella data. D’altra parte oltre al testamento accogliamo la proposta di Lucinda Spera, che alla voce Onofrio Giliberto del Dizionario Biografico degli Italiani1 propone come termine la data del 1678, anno di pubblicazione della Biblioteca napoletana […] di Niccolò Toppi, che in seguito all’elenco delle opere del Giliberto dice che "molte altre cose manoscritte si trovano in potere de’ suoi parenti", ciò costituirebbe secondo tale studiosa l’ammissione del fatto che a quella data il Giliberto era già morto2.

Altro termine potrebbe essere costituito dall’edizione del 1663, in Venezia per i tipi del Turrini, del romanzo "Il Cavalier della Rosa, overo aggiunte a le gare de disperati", in cui nessuna notizia viene data circa la morte dell’autore. Accogliendo entrambe le date come termini di riferimento, dunque, ci sarebbe da collocare l’anno della sua morte tra il 1663 ed il 1678.

Al di là di queste congetture possiamo essere più precisi. Nel novembre del 1665 gli eredi di Onofrio Giliberto inoltrarono alla Regia Curia di Napoli la richiesta di nominare altri testimoni per la apertura del testamento, poiché coloro che erano stati presenti alla chiusura erano morti3. Si è trovata poi una serie di documenti a firma Onofrio Giliberto4, quali "mutui", "emptio" "daptio in solutum" "cessio" ed in fine una "sentenza assolutoria" ultimo documento trovato che porta la data del 20 febbraio 1665. Possiamo concludere, quindi, che la sua morte sia da collocarsi tra il febbraio ed il novembre del 1665. Inoltre alla fine di ottobre del 2001 Mimma De Maio ha ritrovato presso l’Archivio di Stato di Avellino un ulteriore documento che lo vede presente il 4 luglio del 1665. Il periodo entro cui collocare la data della sua morte si restringe ancora. Il documento è il testamento della duchessa Dorotea Orsini, feudataria di Solofra, per l’apertura del quale egli sostituì un teste assente, e dalla quale era nominato esecutore testamentario. Il testamento è presente nella raccolta degli atti rogati dai notai di Serino, comune vicino Solofra, e più precisamente da Gregorio Roberto5. Oltre a queste notizie d’archivio, raccolte grazie al prezioso aiuto sul campo di studiosi della Solofra contemporanea e del personale dell’Archivio di Stato di Avellino, che a tutt’oggi risulta l’ente per la ricerca più sensibile all’indagine in questione, abbiamo a disposizione pochissimo materiale per stilare una adeguata biografia. Sappiamo poi che Onofrio fu riconosciuto e celebrato dai suoi contemporanei come ‘dottor di leggi’, o ‘dottore dell’una e l’altra legge’. Il titolo di utriusque juris doctor apparteneva a personaggi della famiglia Giliberto almeno dai primi del Cinquecento, e si potrebbe anche pensare, date le abitudini tuttora diffuse nei paesi del napoletano, che tale titolo potesse servire per indicare un membro della famiglia anche sprovvisto di tale qualifica legale. Ma Lucinda Spera afferma che il Giliberto si laureò a Napoli, in Giurisprudenza, nel 16436, il che è assolutamente coerente col fatto che egli stesso si firmi come dottore sui frontespizi delle sue opere.  Inoltre egli venne celebrato come "dottore dell’una e dell’altra legge" da Marcantonio Perillo, Accademico Incauto. (vedi testi in appendice).

Altre note biografiche sul personaggio, quali la data del matrimonio che sarebbe avvenuto nel 1654 con Ippolita di Donato, e le nascite dei figli Salvatore, Fabrizio, Francesco, Rinaldo e Tomaso, comprese rispettivamente tra il 1656 ed il 1663, proposte dal dottor Dario de Judicibus nella pagina web dedicata ai Giliberto di Solofra, non sono supportate, allo stato attuale delle mie ricerche, da alcun riscontro. Non esiste nessun documento presso gli archivi parrocchiali di Solofra che corrisponda alla nascita o battesimo di nessuno dei presunti figli sopra indicati, né è stato rintracciabile alcun atto legale che comprovi l’avvenuto matrimonio. Se appare infatti chiaro dal testamento7 di Onofrio che egli non ebbe eredi diretti, è anche vero che in possesso dei suoi discendenti vi sono numerose annotazioni che comprovano fatti contrari. Questo si può spiegare con due ipotesi. La prima è che siano esistite due diverse persone con lo stesso nome, entrambe autori di opere letterarie e di un’opera astrologica8, Le Ruote dell’Universo; ma questa spiegazione è, peraltro, poco probabile a causa dello stile unitario quasi inconfondibile dell’intera produzione.

  Altra spiegazione potrebbe essere invece offerta dal fatto che effettivamente il ricco Onofrio, privo di eredi diretti, abbia lasciato erede universale del suo patrimonio la nipote Diana Vigilante, riservando al figlio di un fratello, Rinaldo Giliberto, altro erede, il condono irrilevante di alcuni debiti e somme in danaro. Dopo la morte di Onofrio potrebbero essere avvenuti accordi tra i Giliberto e gli eredi di Diana Vigilante, o è possibile che Rinaldo, approfittando della mancanza di documenti, abbia fatto in modo da cambiare la linea di successione dello zio dichiarandosi figlio e non nipote dello stesso, il che sembrerebbe anche comprovato dai racconti di altri discendenti in epoche successive. Altra spiegazione potrebbe essere invece offerta dal fatto che effettivamente il ricco Onofrio, privo di eredi diretti, abbia lasciato erede universale del suo patrimonio la nipote Diana Vigilante, riservando al figlio di un fratello, Rinaldo Giliberto, altro erede, il condono irrilevante di alcuni debiti e somme in danaro. Dopo la morte di Onofrio potrebbero essere avvenuti accordi tra i Giliberto e gli eredi di Diana Vigilante, o è possibile che Rinaldo, approfittando della mancanza di documenti, abbia fatto in modo da cambiare la linea di successione dello zio dichiarandosi figlio e non nipote dello stesso, il che sembrerebbe anche comprovato dai racconti di altri discendenti in epoche successive.    

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* Tale articolo è tratto dalla tesi di laurea di Carlo Coppola in Lettere e Filosofia dal titolo "Un dilettoso edificio": la produzione letteraria di Onofrio Giliberto da Solofra, discussa il 7 dicembre 2001 presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari, relatrice prof. Grazia Distaso, correlatore prof. Pietro Sisto. 

1. L. Spera, "Onofrio Giliberto" in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume XXV, Roma 2000.

 

2. N. Toppi, Biblioteca napoletana e dell’apparato a gl’huomini illustri in lettere di Napoli e del Regno, Napoli 1678. 3.

 

 

3. Tale richiesta risulta accolta il 1666 e risulta allegata al testamento posto anch’esso in appendice al foglio 43 dell’anno 1665. 4.

 

4. Essa risulta dopo sommaria perizia calligrafica identica a quella apportata in calce al testamento.

 

5. L’esatta collocazione è B 6119 ff. 51-66 conservata presso l’Archivio di stato di Avellino. 6.

 

 

6. L. Spera. voce cit. 7.

 

 

Tale documento viene da me proposto nella appendice documentaria al presente capitolo. 8.

 

 

Sarà spiegata in seguito quanto la cosiddetta opera di carattere astrologica possa essere davvero considerata di tale genere. 

 

 

 

Bibliografia

 

 

 

·               Vita e morte di San Rocco rappresentazione sacra del dott. Honofrio Giliberto da Solofra.

Stampato in Napoli per Ottavio Beltrano, 1642

Non riportata da nessun catalogo.

 

 

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·               La stravaganza d’Amore e d’Amicizia tragicomedia del dott. Honofrio Giliberto da Solofra

Stampato in Napoli per Ottavio Beltrano, 1643

6 F 271 [1] p. 14 cm. B.A.V., Dramm. Allacci 236 int. 2

Riportata dal Quadrio. Cfr. Nel 1600 fu messo in scena un dramma dal titolo "Stravaganze d’amore" del Castelli presso l’Accademia degli Amorosi di Troppa. Nel 1653 Francesco Zacconi pubblicò in Napoli "Le stravaganze d’Amore", forse in relazione con la nostra opera.

 

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·               Il vinto inferno da Maria, rapresentatione sacra del dottore Honofrio Giliberto da Solofra.

Stampato in Trani, per Lorenzo Valerji, 1644

34. 1. C. 26 Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II di Roma

Notizia dell’esistenza dell’opera è attesta dal Quadrio. Un’altra copia dell’opera quella letta dal Croce, sarebbe presente nella B. N. Vittorio Emanuele di Napoli, ed altra ancora è sicuramente presente presso la "Biblioteca Casanatense" di Roma. Quest’opera sembra essere la mediazione tra il teatro edificante ed il teatro popolare.

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·               Le Ruote dell’Universo, opera in cui compendiosamente si descrivono le cose celesti e sublunari.

Stampato in Napoli per Francesco Savio, 1646, in

112-B-2 Biblioteca Nazionale "Sagariga Visconti" di Bari.

Si tratta di un’opera astrologica, di quelle che non possono mancare nella biblioteca di un dotto del seicento. Di questa opera si erano perse le tracce dopo che Benedetto Croce nell’articolo su Onofrio Giliberto e del suo Convitato di Pietra del 1936 ne aveva dato notizia. Egli, però, non indicava né se l’opera fosse in suo possesso, né in quale biblioteca si trovasse. L’opera di cui si erano perse le tracce fu da me ritrovata casualmente nella "Biblioteca Nazionale Sagarriga-Visconti Volpi" di Bari. Forse la collocazione si tratta della stessa copia letta da Benedetto Croce, il quale sosteneva che la copia da lui visionata fosse unica superstite, ribadendo in più parti il suo grave giudizio di discredito contro questa opera a proposito di questa parla di uno dei libri più noiosi che siano mai stati scritti. È chiaro che ci troviamo di fronte ad un’opera scientifica, almeno nelle intenzioni dell’autore, e che certamente mostra l’abitudine a far risalire tutti i fenomeni di carattere fisico ad eventi, od interventi, sovrannaturali. Per questo la lettura del testo può risultare tediosa se affrontata in chiave scientifica. L’importanza di questa composizione è soprattutto strumentale. Essa può servire in primo luogo per ricostruire il tipo di fonti che caratterizzano l’intera produzione gilibertiana, con l’effettiva presenza e ricezione dei classici latini quali Cicerone, Seneca, Plinio, probabilmente Quintiliano, e di Dante di cui viene presa in esame non solo la Divina Commedia, ma anche il Convivio ed il de Monarchia. Con quest’opera del Giliberto viene, inoltre, chiarito il tipo di letture e di formazione dell’autore che dovettero essere di stampo teologico in un contesto storico-geografico in cui tale impianto serviva da filtro per qualsiasi tipo di letture, da quelle più strettamente etico-morali a quelle politiche e sociali, a quelle di svago. Impressa in Napoli per i tipi di Novello de Bonis, l’opera si articola in diverse sezioni nelle quali si affrontano geograficamente le varie parti dell’Universo aristotelicamente inteso. Vengono chiariti problemi di geografia infernale lasciati insoluti da Dante nella Commedia, e calcolate distanze con senno di scientificità, come ad esempio la distanza della sede infernale dalla superficie terrestre. Questo dato, come altri dello stesso genere, può farci oggi sorridere ma certamente doveva essere di grande interesse per quanti non potevano accettare su base morale le teorie scientifiche di Niccolò Copernico e di Galileo Galilei. La maniera di affrontare tali problemi di geografia è certamente nuova rispetto al modello dantesco ma anche messa a confronto con le posizioni assunte da altri scienziati che avevano illustrato e commentato l’ordine celeste in tempi più vicini al Giliberto. L’uomo con le sue conoscenze, calcola con i propri parametri le proporzioni in cui tale realtà ultramondana è collocata e le distanze che la separano dall’ecumene. Certo è che la riduzione di tali argomentazioni a parametri umani serve in primo luogo ad adeguare tale realtà a forme che l’intelletto umano può, se non dominare, almeno comprendere. Questo sforzo di riduzione attuato al fine di rendere possibile la comprensione è presente come nota peculiare in tutta l’opera. Il singula enumerare delle varie parti dell’universo prevede l’omnia circumspicere e quest’ultimo serve, oltre che a spingere verso la conoscenza di qualcosa che sarebbe in sé, inconoscibile, anche ad esorcizzare la paura ancestrale di realtà ultraterrene negative che in un’epoca di caccia alle streghe dovevano essere sentite come particolarmente presenti ed oppressive.

Ho preso qui a prestito i due termini latini dall'interessante e preziosa opera che Giancarlo Roscioni dedicò al suo amico Carlo Emilio Gadda un lungo saggio tra gli altri La disarmonia prestabilita, Torino 1969.

 

Il progetto non vuole contraddire, alla fine, la volontà iniziale di rendere le realtà ultraterrena in tutte le sue infinite combinazioni, perché solo "l’irreale è incombinabile". Gli andamenti descrittivi si confondono continuamente acuendo la percezione di una visione tra aulico e grottesco non in contrasto con la visione sdoppiata dello stesso narratore orante mentre si accosta ai misteri del Paradiso. Uno spazio meccanico interno si apre in cerchi concentrici attraverso situazioni in cui la parola, risultato di calcoli pseudo scientifici, risulta essere il centro dinamico e provvisorio di molteplici relazioni. Quello che compone l’universo per Onofrio è dunque la coincidenza d’innumerevoli fattori riconosciuti, ma – e questo pare straordinario – che possono essere tutti rappresentati. L’impossibilità di una descrizione davvero puntuale è comunque riconosciuta, perché la totalità vuole essere specificata ma non può esserlo completamente. Di essa si possono identificare e riconoscere le ‘cause postulatrici’, infatti, l’omnia circumspicere è un allargamento che non nasce dall’esigenza di dire tutto, ma di arrivare a quanto è più possibile riprodurre mediante l’immaginazione. In ogni caso la teoretica gilibertiana non riesce ad essere sempre fedele a se stessa. Il naturalismo di Onofrio non è qui fine a se stesso, come può capitare in altre opere dello stesso genere, ma è circoscritto da ‘peculiari infiniti’ che rischiano di spegnere l’interesse per l’opera in una enumerazione, quasi fangosa, in forma di catalogo – è di qui nasce il giudizio di Benedetto Croce.

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·               Il convitato di pietra.

Stampato in Napoli per Francesco Savio, 1652.

Notizie sull’opera provengono dal Quadrio, e dal Toppi, ma se ne sono perse le tracce. Il Goldoni ne parla nella premessa al suo "Don Giovanni Tenorio ovvero il dissoluto"; Benedetto Croce inoltre ne fa dissertazione nel paragrafo dal titolo "Di Onofrio Giliberto e del suo convitato di Pietra" nel saggio "Intorno a Giacinto Andrea Cicognini" presente nell’opera "Aneddoti di varia letteratura", Bari, 1936. Cfr. Opera dall’analogo titolo fu composta da Giacinto Andrea Cicognini, secondo Goldoni che lesse entrambe le opere, erano differenti in poco. A proposito di questa opera il Giliberto risulta ancora famoso oggi ed il riferimento più recente è costituito da un articolo di M R. Barnatan, apparso su "El Mundo" del 29 novembre 1999, dal titolo "Don Juan: Mito e istoria".

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·               Il Cavalier della rosa ovvero aggiunta a le gare de’ Disperati

a) Stampata in Napoli per Novello de Bonis, stampatore arcivescovile, 1660

[12] 459 [3]p. 14 cm. Napoli Biblioteca Nazionale

b) Stampato in Venezia per Turrini, 1663

408 p. 11 cm. Biblioteca Apostolica Vaticana, stampati Chigi

Non mi parrebbe corretto né opportuno allo stato dei fatti, inoltre, dare per scontato che "Le gare de’ disperati" a cui si fa riferimento nel titolo siano quelle di Giovanni Ambrogio Marini come autorevolmente sostenuto, ma molto più certamente il riferimento sarebbe a quelle di Giulio Cesare Sorrentino che trovarono diffusione in area napoletana fin dalla metà degli anni cinquanta del XVII secolo. Numerose ristampe furono fatte della edizione del 1660 infatti a quanto si sa almeno un paio di copie di quella edizione sono tuttora presenti nella Biblioteca Nazionale di Napoli, e nella British Library di Londra.

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·               Le meraviglie di S. Angelo Custode overo Schiavo del Demonio. Sagra rappresentazione

Impressione in Napoli per Francesco Savio e di nuovo per Novello de Bonis 1662, in 14°

Riportata dal Toppi, probabilmente perduta, ma non disperiamo. Cfr. Opera dal titolo "Schiavo del Demonio" fu composta da Giacinto Andrea Cicognini.

 

 

 

Un documento che aiuta a chiarire una parte della biografia di Onofrio Giliberti

Testamento del Dottor Honofrio Giliberti u.j.d.

 

(il documento si trova in calce al protocollo del notaio Aniello Ronca dell’anno 1665 ed è preceduto dalla richiesta da parte degli eredi della nomina di altri testimoni essendo morti tutti quelli che presiedettero alla chiusura dello stesso)

 

1666, marzo 29

Francesco Morena ed altri interessati al testamento di Honofrio Giliberti, fatto il 28 giugno 1656 per mano del notaio Aniello Ronca, chiedono al Presidente Del Regio Sacro Consiglio e Protonotario del Regno, Bernardo Zofia, che vengano nominati altri testimoni poiché quelli che intervennero alla chiusura del testamento sono tutti morti e cioè Basilio Giliberto, clerico Giovan Battista Vigilante, not. Francesco Antonio Petrone, Petro Antonio Pandolfelli, Hieronimo de Donato, Salvatore Giliberto, Francesco Ronca, mentre il giudice Giovan Camillo Giliberto è assente.

La richiesta è accolta il 31 marzo 1666.

 

Die 28 mensis julii 1656. Solofra

Testamento in scriptis clauso et sigillato da me Dottore Honofrio Giliberto della terra di Solofra.

Considerando io predetto Doctore Honofrio Giliberto della terra di Solofra, lo stato della vita humana esser fragile, e che infallibilmente chi va di pelle umana vestito ha da tributare alla morte le sue cadute spoglie per dar conto al giustissimo Dio della sua vita, perciò m’ha parso far il presente testamento, ò vero ultima mia volontà, la quale voglio che vaglia come solenne testamento, e se non valesse come testamento voglio, che vaglia come donatione causa mortis, che vaglia come donatione causa mortis, ò come codicillo o d’altro miglior modo, à finche, inevitabilmente resti in piedi questa mia ultima volontà, e do per rotti, e cassi tutti , e qualsivoglia testamenti fatti sin’ ad hoggi etiam quoand legate fia in ipsis contenta.

E perché il capo, e principio di qualsivoglia testamento è l’istitutione dell’herede, perciò in primis raccomando l’Anima mia all’onnipotente Dio, alla gran Reina del Cielo sua S.ma Madre et à tutti Santi, e Sante miei protettori, et avocati, et à tutti gli altri Santi, e Sante. ò beati della Corte dell’altissimo Monarca, dopoi istituisco, e mia herede universale e particolare Diana Vigilante mia cara Madre sopra tutti i miei beni mobili, e stabili, se semoventi, exigenze, raggioni, et attioni eccetto, che dell’infradetti legati e fidecomissi.

Item voglio, che morta, che sarà detta Diana Vigilante, mia Madre et herede tanto se morirà prima di me, quanto dopo, che immediatamente succeda e debbia succedere a detta mia heredità, Livia Murena mia Nepote nata dalla quondam Giuditta Giliberti mia sorella con conditione però, che à detta mia Madre non si debbia fare inventario alcuno, ma detta Livia herede sostituta si debbia prendere di detta mia heredità quel tanto, che piacerà a detta mia Madre di lasciarmi tanto nel caso predetto quanto nelle sustitutioni seguenti sì, che giammai sia dato fastidio alcuno a detta mia Madre, et herede.

Item voglio che se detta Livia morirà prima di me e di detta mia Madre in tal caso seguita la morte mia e di detta mia Madre succedano, e debbiano succedere a detta mia heredità tutti li Figli maschi e femmine nati e nascituri di detta Livia mia Nepote, delli quali se morirà alcuno di loro morirà in pupillare etate l’uno succeda all’altro, e l’altro all’uno, e se moriranno tutti in pupillare etate, o prima di me testatore, ò prima di detta Diama, mia Madre, e Livia mia Nepote, o sì che poi detta Diana, e Livia venisse a morire senza figlio alcuno in tal caso voglio, che succedano a detta mia heredità Rinaldo Giliberto Juniore mio Nepote, il quale Rinaldo se resterà per li casi predetti herede debba dare a Francesco Antonio Morena mio Nepote docati 500 e non succedendo tutti detti casi non se li dia cosa veruna; verum succedendo detti casi, e detto Rinaldo restasse mio herede, e detto Francesco Antonio si trovasse morto in tal caso detti docati 500 si diano ai suoi heredi e successori.

Item voglio, che detto Rinaldo Giliberto mio Nepote verrà a restare herede per li casi predetti di me testatore, che non debbia cercare cosa veruna di quello li spetta per la heredità del quondam Rinaldo Giliberto Seniore suo padre à Lelio, Gio Pietro, e Geronimo Giliberto, ò loro heredi, e successori, ben sì di Lelio, Gio Pietro, e Geronimo, e loro heredi voglio, che non possano pretendere cosa alcuna da detta mia heredità, a loro si debbiano pagare li pesi, che tiene l’heredità di detto Rinaldo Giliberto seniore.

Item voglio, che se detto Rinaldo Juniore mio Nepote si trovasse premorto a me testatore, alla detta Diana Vigilante, alla detta Livia, mia nepote et alle figlie nate, e nasciture, e non potesse succedere nella mia heredità nelli casi predetti, voglio in tal caso che morendo poi detta mia Madre, e Nepote senza figli, e li figli nati e nascituri, di detta Livia in pupillari etate, che in tal caso non essendo vivo detto Rinaldo, succedano Gio Pietro, Geronimo, e Lelio Giliberto unus quisque pro tertia parte, ò loro figli nelle case dove habito con il territorio detto l’Ischia, nelle case che furono del quondam Marco Antonio Giliberto e giardino congiunto, nel territorio detto il Pastinello, e nelle selve dette li Serruni, e la Costarella, verum la selva de li Serruni si dia ante partem al detto Gio Pietro e suoi figli nati, e nascituri, e nel restante di mia heredità succeda detto Francesco Antonio Morena, mio Nepote, verum vivendo detta mia madre, Livia mia nepote e detto Rinaldo juniore non si debba fare inventario dei miei beni, uno ogni sostituto etiam inferium declarando si debbia contentare di quello vi lasceranno in detta mia heredità, la detta mia Madre, detta Livia mia nepote e detto Rinaldo juniore.

Item voglio che nelli casi espressi sopra nelli quali veneviano a succedere li detti Lelio, Geronimo, e Gio Pietro, ò loro figli nelle portioni particolari esplicate, si trovassero morti tutti detti Gio Pietro, Lelio, e Geronimo, e loro Figli in tal caso voglio che succedano nelle portioni à loro lasciate Horatio Giliberto, e suoi figli in una metà e in un’altra metà notare Giovanni Giliberto e suoi Figli e Figlie de’ Figli.

Item dechiaro, come ho comprato uno territorio da Flavio Vigilante per prezzo di docati 225 come per instrumento per mano di Notar Marco Antonio Giliberto, quale territorio una cum alcuni miglioramenti fattivi lascio a Francesco di Tommaso Giliberto mio compare per l’affetto, che li porto, e ai suoi Figli et heredi e successori sopra di che l’istituisco herede particolare sì, che se lo possa pigliare di propria autorità senza riceverlo di mano de li heredi universali una cum li frutti, che nel caso nel caso di mia morte vi si troveranno.

Item lascio alla Chiesa di S. Caterina di Solofra tre case scoverte congiunte à detta chiesa con un poco di giardino, quali beni se li piglino subito seguita la mia morte li procuratori di detta Chiesa senza cercarle agli heredi miei con conditione po’, che detta Chiesa non possa cercare li annui carlini quinque che rendo ogni anno a detta chiesa per lo legato del quondam Iacono Giliberto, ma resti detto annuo reddito incorporato a detti beni lasciati a detta Chiesa, et anco detta Chiesa se debbia pagare l’annuo reddito di grane una l’anno, che rende detto giardinotto alla Corte.

Item dechiaro, dover conseguire un annuo censo da Iacono Maffei, e Francesco Tempesta come per instrumento per mano di Notar Cesare Pandolfello, e per alcuni miei giusti fini rilascio a detti miei censuari tutto quel numero di terze, che si trovasse non haverno pagate sin al dì di mia morte, e dal dì mia morte avanti, voglio, che paghino di detto annuo censo solo annui docati 7 cum potestate affrancandi per docati 100 di Capitale, atteso il di più del Capitale similmente lo rilascio, quali annui docati 7 per Capitale di docati 100 li lascio a Francesco Antonio Morena mio Nepote, sopra li quali l’istituisco herede particolare.

Item dechiaro, dover conseguire un annuo censo da Gio Donato Giliberto, come per predetto instrumento, quale annuo censo una cum lo Capitale lo lascio à Francesco Antonio. Morena mio Nepote sopra il quale l’istituisco herede particolare, e circa le terze voglio, che siano rilasciate a detto Gio Donato tutte le terze che non si troveranno soddisfatte sin al dì della mia morte.

Item dechiaro, dover conseguire da D. Giuliano Giliberto, e Prospera Vigilante sua Madre annui docati 4 e mezzo per Capitale di docati 50, quali annui docati 4, e mezzo una cum detto Capitale lascio alla Chiesa di S. Croce, con condizione che li procuratori di essa ne debbiano far dire tante messe in perpetuo a detta Chiesa à raggione di grana 15 l’una, e voglio, che li heredi miei non siano tenuti d’evittione alcuna, caso che detto Capitale, o quomolibet si perdesse, una li lascio semplicemente à detta Chiesa, cioè se li exigerà ademplisca il peso, e se li perderà non l’ademplisca, ne dia fastidio a li heredi miei, che per tal effetto io istituisco herede particolare detta Chiesa sopra detto Capitale di docati 50; e senza conseguenze da detti debitori, e voglio, che li heredi miei per tal effetto non siano tenuti à cosa alcuna.

Item lascio a Giovanna Savignano mia creata per quello, che m’ha servito per suo salario docati 25 pro una vice tantum, et uno materazzo, una lettera, due lenzuola, et una coverta usata, volendosene andare in casa sua, ma non volendosene andare li lascio una casa di quelle sottane sua vita durante tantum, et annui docati 3 annui con il frutto della terza parte della selva comprata dalla moglie di Lorenzo Parrella similmente vita durante, e li detti materazzo, lenzuola e coverta.

Item dechiaro, come tengo uno instrumento contro Rinaldo Giliberto mio Nepote di docati 700, et undici in circa con annua percentuale, et interessi a raggione del 7 per cento, e voglio, che nel tempo di mia morte detto instrumento resti in piedi solo per docati 400 quetando detto Rinaldo del di più di detto instrumento di tutti interessi decorsi sin al dì di della mia morte.

I)tem dechiaro, come tengo un altro instrumento contro detto Rinaldo mio Nepote di docati 800 con la percentuale, e interessi a raggione di 6 per cento fatto per mano di Notar Lorenzo Grimaldo, e questo detto Rinaldo per tutti l’interessi, che si trovasse non havermi pagati fin al dì della mia morte, verum detto Rinaldo tiene in suo potere due polize una contro Boetio Guarino in testa di Diana Vigilante mia Madre, et un'altra contro Honofrio Forino mio fratello cogino, onde lascio, che quello si riuggirà di dette polizze si debbia dividere fra detto Rinaldo mio Nepote, e Francesco Antonio Morena mio Nepote, del che se ne debbia stare a volontà di detto Rinaldo e si rilascino a loro l’interessi, cioè a detti debitori, che doreranno in sin’ al dì di mia morte.

Item dechiaro, come tengo uno instrumento di docati 600 contro Francesco Antonio Morena mio Nepote, et anco alcune polize contro detto Francesco Antonio in testa mia, e giratemi da altri, quali scritture, et instrumento li per rotti, e cassi a detto Francesco Antonio e gratiosamente li rilascio quanto si troverà dovermi dare fio al dì della mia morte per capitale, et interessi in qualsivoglia modo, con conditione po’, che lui debbia pagare annui carlini 18 per Capitale di detti docati 20 per li quali sono obbligato al Monastero di S. Agostino in virtù di instrumento censuale tanto circa il Capitale, quanto circa le terze decorse e docorrente.

Item dechiaro, che trovandosi polizze a mio beneficio contro detto Rinaldo Giliberto juniore mio Nepote in mia casa, le dette polize le do per rotte, e casse, stante la soddisfazione fattami, salva per la poliza ch’è contro l’instrumento di docati 800.

Item dechiaro, come tengo alcune polize contro diversi, che si troveranno in mio potere et in dorso di esse si troverà quel, ch’effettivamente ne devo conseguire.

Item lascio per malo oblato carlini 2.

Itam lascio per decima fraudata et penitentia non fatta t 3.

Item lascio l’essegue e la sepoltura ad arbitrio delli miei heredi.

Item ho pattuito col notare che per stipulatione, scrittura, e copia del presente testamento se gli diano dalli miei heredi docati 3.

Qual ultima volontà io predetto Dottor Honofrio Giliberto della terra di Solofra ho’ scritta, e sottoscritta di mia propria mano. Solofra die quo supra.

Io dottor Honofrio Giliberto confermo ut supra.

(Archivio di Stato di Avellino, Notai, Aniello Ronca, busta B 6656, f 43r e v)

 

 

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Lettere dedicatorie alle opere di Onofrio Giliberto

 

 

Ars clamat artes. Il Vinto inferno da Maria di Onofrio Giliberto da Solofra

di Carlo Coppola

 

 

 

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